Premi Hugo e Nebula

Eh, lo so. Ma non mi sono ancora mai permesso di giudicare un libro o un film senza prima averlo visto tutto. Per quanto ciò sia masochistico, o roba da “chi te lo ha fatto fare”. finora ho fatto così.
Poi chiaro, se ti sei fatto due maroni, alla fine martelli, nel giudizio, che cavolo.

1990

Apriamo gli anni Novanta col botto.

Vince l’Hugo per il migliore romanzo

Decide, incredibilmente, in maniera diversa il Nebula, che assegna il premio a

Hyperion è un capolavoro. Stop. Fine della critica.

No, vabbè. Prima due note: Hyperion (il mondo) prende il nome dal satellite di Saturno, Iperione, ma pure ha dei rimandi all’opera di Keats, il poeta, che per molti aspetti è importante nel libro. Che poi il satellite di Saturno, a sua volta, prende il nome dal solito mito greco (in questo caso, uno dei Titani). Lo Shrike, invece, una delle creature più potenti e terribili mai immaginate, e uno dei protagonisti, è nella realtà di tutti i giorni il nome di un passerotto (da noi si chiama mi pare averla) che “impala” le sue prede, nel senso che le infilza nelle spine degli alberi, come una macabra dispensa.

ATTENZIONE più avanti un piccolo / grande spoiler, imo non proseguite se non avete letto il libro, che “DOVETE” leggere…
Il testo si riallaccia a una certa letteratura, che ha precedenti fulgidi (ad esempio, ma non solo), in Boccaccio e Chaucer, cioè la storia di un viaggio, durante il quale i viaggiatori raccontano storie (ok, ad essere precisi nel Decamerone non viaggiano, ma si ritrovano in un unico posto). Storie nelle storie, insomma, una cosa vecchia come il cucco, ma se fatta bene, non ha limiti nella qualità. E qua a mio parere siamo tra le vette di sempre della fantascienza. Con uno stile che mi ha ricordato il miglior Farmer (ma anche Silverberg), ma meglio, Simmons ti piazza lì una grande opera. Avvincente come non mai, calata in una realtà perfettamente consolidata, in cui è facile anche per il lettore entrare.
Un libro grandissimo, importante, una pietra miliare, una rivelazione, un capolavoro per 421 pagine su 422. E poi? E poi non finisce. Arrivi all’ultima pagina, sperando in un finale all’altezza…. Che non c’è. Non c’è proprio il finale. E il mio voto crolla, fino all’8. Capisco che poi è uscito un seguito che, e questo e quello, e la rava e la fava, ma non mi interessa una cippa. Sono incredibilmente tetragono a tutte le osservazioni che GIA’ mi furono mosse (“e leggiti il seguito, no, cretino!”). Qua si giudica un libro, tale Hyperion di Simmons. E questo libro non ha il finale.
Hyperion dunque NON è un capolavoro. Stavolta proprio stop. Meritava comunque l’Hugo? Ma stiamo scherzando? Se non lo premi, abolisci l’Hugo e ciaone.

L’altro, quello della Scarborough, vincente il Nebula, mai edito in Italia, non l’ho reperito; non solo, non l’ho neanche cercato a fondo, fiutando la mappazza (che magari non c’è), ma non me la sono sentita di imbarcarmi in una lettura in inglese su una roba mai sentita di un’autrice a me sconosciuta. Il libro, largamente autobiografico, parlerebbe di vicende in Vietnam, durante la guerra, dove un’infermiera fa del suo meglio nel lavoro ma a un certo punto si ritrova nella jungla, dispersa, con un ragazzo e un amuleto magico. Vabon. Però che la giuria del Nebula si faccia scappare Hyperion….mah. E che The healer’s war sia pure meglio….super mah. Già questo mi crea antipatia. E dunque questo è a tutt’oggi ancora il Nebula più vecchio che non mi sono mai letto.

Nicolazzini, il curatore dell’antologia degli Hugo dell’epoca, trovava senza rivali Hyperion, anche se ricorda con piacere Gli immortali (Anderson), Pianeta di caccia (Tepper), Fuoco nel Sole (Effinger), ma anche Fondazione Stileman (Haldeman) e l’inedito The child garden (Ryman). Non ha particolari parole di apprezzamento per Rama II (Clarke).

Gli altri in gara per l’Hugo erano Programma Fenice, alias Fuoco nel Sole, di George Alec Effinger; Alvin l’apprendista, di Orson Scott Card; Gli immortali, di Poul Anderson e Pianeta di caccia, di Sheri S. Tepper.
Per il Nebula, Gli immortali, di Poul Anderson; Alvin l’apprendista, di Orson Scott Card; l’inedito Good news from outer space, di John Kessel; l’inedito Ivory: a legend of past and future, di Mike Resnick e l’inedito Sister Light, Sister Dark, di Jane Yolen. Hyperion non viene preso in considerazione.

Romanzo breve, vince sia Hugo che Nebula Le montagne del dolore, della Lois McMaster Bujold.
Siamo nella saga più famosa della Bujold: compare Miles Vorkosigan. L’autrice ha una notevolissima capacità di avvincere in breve il lettore, quanto meno qua e nel libro vincente il Nebula lo scorso anno. Lo stile è fluido, facile, accattivante. La storia non è molto fantascientifica, piuttosto è un bel giallo. Il romanzetto è molto compiuto in sé, ma rimane la voglia, alla fine, di vedere altre vicende di questo Miles, e l’autrice “mi pare” abbia provveduto ad accontentare.
Nel complesso, direi che il tutto fila che è una meraviglia e premio meritato.

Concorrevano per l’Hugo Il padre delle gemme, di Lucius Shepard; l’inedito A Touch of Lavender, di Megan Lindholm; l’inedito Time-Out, di Connie Willis e Tiny Tango (edito in Italia con lo stesso nome), di Judith Moffett. Ritiratosi George Alec Effinger, con l’inedito Marid Changes his Mind.
Per il Nebula, Ingranaggi del tempo, di John Crowley; l’inedito Marid Changes his Mind, di George Alec Effinger; l’inedito A Touch of Lavender, di Megan Lindholm; Tiny Tango, di Judith Moffett e l’inedito A Dozen Tough Jobs, di Howard Waldrop.

Racconto, vince l’Hugo Crea un soldato, poi creane un altro, alias, e più precisamente, Entra un soldato. Più tardi: ne entra un altro, di Robert Silverberg.
Vince il Nebula Hotel Rialto, alias Al Rialto, della Connie Willis.
Chi è meglio? Tutti e due.
Il raccontone di Silverberg è quasi più filosofia che SF, in pratica fa incontrare Pizarro (il conquistatore) e Socrate, e li fa dialogare assieme. Il tutto, un filino ripetitivo, ha però il suo perché e non ultima una notevole originalità. Leggibile e abbastanza godibile.
Ancora più originale è il buon racconto della Willis, che applica a modo suo le leggi della quantistica a un convegno (dedicato, guarda un po’ , alla quantistica). L’effetto è spiazzante, ma una volta capito il meccanismo il tutto ha un fascino oserei dire indimenticabile. Ad esempio, la protagonista va una sera a una conferenza, ma la sala è vuota, e nessuno sa indicare come e perché. Il giorno dopo, a un’altra conferenza, l’amica le parla della bella serata alla conferenza di ieri sera, piena di gente (nella sala che lei aveva vista vuota). Per non parlare delle prenotazioni all’albergo Rialto, o delle stanze…
Due premi meritati.

Sconfitti per l’Hugo Una volta ho toccato il cielo, di Mike Resnick; l’inedito Everything But Honor, di George Alec Effinger; Hotel Rialto, alias Al Rialto, di Connie Willis; 1937: andata e ritorno, alias Il prezzo delle arance, di Nancy Kress e Dogwalker (edito così anche in Italia), di Orson Scott Card.
Per il Nebula, l’inedito Sisters, di Greg Bear; La dama d’argento e l’uomo di mezz’età, di Megan Lindholm; Una volta ho toccato il cielo, di Mike Resnick; l’inedito Fast Cars, di Kristine Kathyrn Rusch e Crea un soldato, poi creane un altro, alias, Entra un soldato. Più tardi: ne entra un altro, di Robert Silverberg.

Infine, racconto breve. Vince l’Hugo Plenilunio, alias Le mie notti di luna, alias Tette (!), della Suzy McKee Charnas,
Vince il Nebula Increspature nel mare di Dirac, di Geoffrey A. Landis, l’anno scorso in lizza per l’Hugo.
E qua, cosa è meglio? Se la giuocano.
Bello il racconto della Charnas, più horror che SF, con questa adolescente tettona che si scopre lupa mannara. Notevolissima la capacità di descrizione delle sensazioni della ragazzina. Mi è piaciuto molto.
Tristissimo invece quello di Landis; bellino, per carità, ma applica i viaggi del tempo a una storia veramente triste. Comunque niente male.
Il Nicolazzini ricorda con piacere l’inedito Lost Boys, di Orson Scott Card e Il margine del mondo, di Michael Swanwick.

Persero: per l’Hugo l’inedito Lost Boys, di Orson Scott Card; Un computer per amico, alias Computer compatibile, di Eileen Gunn; Il ritorno di William Proxmire, di Larry Niven; Il margine del mondo, di Michael Swanwick e Dori Bangs (edito così anche in Italia) di Bruce Sterling. Non eleggibile Rifare la storia, di Kim Stanley Robinson.
Per il Nebula, l’inedito The Adinkra Cloth, di Mary Aldridge; l’inedito The Ommatidium Miniatures, di Michael Bishop; l’inedito Lost Boys, di Orson Scott Card; Plenilunio, alias Le mie notti di luna, alias Tette, della Suzy McKee Charnas e Dori Bangs di Bruce Sterling.

Artista: vince Don Maitz.
Bravo, molto bravo. Nel suo sito ufficiale chiede di fare i bravi, di rispettare il copyright e di non scaricare le immagini. Giusto, giustissimo, così farò, ma peccato.

Spettacolo: tempi d’oro, quesi tempi. Vince Indiana Jones e l’ultima crociata.
Il terzo della serie. Il primo era stato un po’ tutto: nuovo, moderno, divertente, affascinante, etc… e al cinema avevo goduto come un pazzo. Il secondo mi aveva fatto cagare, né più né meno, ma magari davanti a tanta attesa, la delusione era forse prevedibile. In questo terzo abbiamo il binomio Harrison Ford – Sean Connery, che funziona alla grande, con sempre Spielberg in sella, alla regia. Connery attraversava un momento di grazia, aveva girato da poco Highlander, Il nome della rosa e Gli intoccabili, così, giusto per gradire. Harrison era al top e sulla bocca di tutti, e aveva già 47 anni, anche se non li dimostrava affatto, tanto che Connery, (che ha solo 12 anni di più, nella realtà), gli faceva da padre. Il compianto River Phoenix faceva Indy 13enne (ma allora ne aveva 19!!); ci sono pure un sacco di caratteristi che danno lustro a una bella storia, che ebbe una complessa lavorazione. Costato una gran cifra, ebbe un mostruoso successo economico, battendo vari record dell’epoca. Vinse pure un Oscar per gli effetti speciali ed ebbe altre due nomination per musiche e suoni. Voto su IMDB, 8,2.
Gli altri? Batman, di Tim Burton e The abyss, tra gli altri.

Le foto al solito sono tratte da IMDB.

Ho provato a leggere qualcosa a riguardo, credo si una di quelle cose che molto particolari in cui si inseriscono elementi fantasy in romanzi legati alla guerra.
Mi ha fatto pensare a The Red Magician di Lisa Goldstein, fantasy ambientato nell’olocausto.
Probabilmente molto di nicchia, ma che in ottica originalità è sicuramente interessante, lo metto in wishlist, metti che capiti un offerta :slightly_smiling_face:

Letto, molto bello e complesso il mondo che ritrae, ma effettivamente Hyperion… Cmq va sottolineato che da solo non è un libro completo, va letto anche il seguito La caduta di.
E ricordo che è uscito il ciclo come volume della collana Draghi Mondadori!

Mi sento blasfemo.

Hymperium l’ho trovato veramente noioso, lento e senza senso.

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Se non erro lo lessi sula AISFM italiana degli anni '90. una collana magnifica, che invito tutti a recuperare!!

ha delle parti sicuramente lente, e acquisisce un senso maggiore se accopiato con la seconda parte. Senza, ovviamente non si concretizza nulla di quanto si preparato nel libro. Però sono 7 romanzi uno dentro l’altro, che toccano tutti i generi e con riflessioni non da nulla (una su tutte, sul perché non ci potrà mai liberare del petrolio, anche con fonti energetiche alternative).

Anche la divina commedia se leggi solo l’inferno non finisce.
Hyperion è un capolavoro, punto.

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1991

Vince l’Hugo per il migliore romanzo

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Mentre lo stesso premio, per il Nebula, va a

Il romanzo della Bujold è ancora incentrato sulla figura di Miles Vorkosigan, a cui viene assegnato il primo incarico da ufficiale. Al solito, la scrittura scorre liscia come l’olio, divori pagine senza accorgerti, anche perché la Lois sa bene come avvincerti. Semplice, diretta, intrigante, e sei fregato. Uno stile che riporta indietro alla Sf classica, e che paragonare al migliore Asimov (ad esempio) non mi pare sacrilego. Qualche piccola pausa qua e là mi paiono lecite e non inficiano. I primi capitoli formano il romanzo breve Il meteorologo, alias Miles Vorkosigan, l’uomo del tempo (v. sotto), e direi che dopo, finito questo, la Lois fatica un po’ a carburare, nella parte centrale. Frequenti diventano i riferimenti ad avvenimenti passati, raccontati in L’onore dei Vor e L’apprendista ammiraglio (che non ho letti), ma comunque il libro è leggibile anche da solo. La parte centrale è troppo parlata e pensata, poco “mossa”, a volte ripetitiva. Nell’ultima parte il tutto si risolleva e scorre tranquillo e ben guidato verso un buon finale. Un libro in gran parte leggibile, godibile, divertente; non un ottimo libro, ma un’opera onesta. Se posso dire, mi sembra notevole la traduzione di Zuddas.
Il libro della LeGuin è pura fantasy. Streghe, maghi, magia, draghi, re, etc… Un romanzo inoltre fatto da una donna per le donne, direi, le quali sono le protagoniste indiscusse e che si decantano tra di loro le infinite qualità femminili, purtroppo per la mia infinita orchite, tipicamente maschile (anzi, esclusivamente). I maschietti del romanzo, tranne in qualche caso, non ci fanno belle figure: sono cattivi, o pedofili, o meschini, o senza poteri, o irriconoscenti. Si salva in pratica solo il nuovo re. Sarà che non è facile fare fantasy originale, che appena ne leggi 50-100 libri, poi ti sembra sempre quella; sarà quel che sarà, ma questo libro, pure ben scritto, non mi invogliava a continuarlo. La lettura è proceduta a rilento; forse una causa è stata che da poco avevo visto I racconti di Terramare, film d’animazione, che prendeva spunto proprio da questo libro; pertanto la trama mi era già nota a priori, anche se presentava innumerevoli e grandi differenze. Ti credo che la LeGuin ha poi disconosciuto il film, la storia alla fine è completamente diversa.
Tornando al libro, ci mette un cento pagine buone a decollare, che non sono poche, su duecento e rotte. Dopo di che, finalmente, risveglia l’interesse del lettore, o almeno il mio, in un bel crescendo, e proprio quando ti sei appassionato, finisce. Mannaggia. Anche qua alla fine hanno premiato un’opera onesta, ma direi nulla di più.
In un confronto con la scelta dell’Hugo, li metterei più o meno sullo stesso piano.
Tra gli sconfitti, scopro che Terra di Brin azzecca molte previsioni, tra cui il Web, i blog, forse lo stesso Twitter, forzando di molto tale ipotesi (“the twitterings of data and opinions on the Net are my subjective world”), lo spam delle e-mail, l’allarme per il riscaldamento globale. Pure Bear con La regina degli angeli anticipa (di poco, ormai) una specie di World Wide Web.

I perdenti furono: per l’Hugo Terra, di David Brin; La caduta di Hyperion, di Dan Simmons (solo terzo); Progetto Diaspora, di Michael P. Kube-McDowell e La regina degli angeli, di Greg Bear.
Per il Nebula La governante del dott. Jekyll, di Valerie Martin; Nel nome della figlia, di James Morrow; La caduta di Hyperion, di Dan Simmons; Astronave Redshift, di John E. Stith e l’inedito White Jenna, di Jane Yolen.

Detto inter nos, mi dà da pensare che La caduta di Hyperion, che non ho letto non sia riuscito a sconfiggere i due libri vincenti. Chi ha ragione???

Romanzao breve. Doppietta: vince Hugo e Nebula Il paradosso di Hemingway, alias La burla di Hemingway, di Joe Haldeman.

Il buon Joe si era un po’ perso di vista, tra i premiati. Lo stile è sempre simpatico, i dialoghi intelligenti (a volte troppo, nella realtà non sono sempre così…). Lo dico, questo romanzo breve mi ha appassionato come da molto non succedeva. Tranne un inizio un po’ poco SF, poi il libro diventa una figata, pieno di sorprese, situazioni bizzarre e avvincenti. Francamente, ho cercato di leggerlo in ogni momento del giorno, rubando minuti qua e là, tanta era la voglia di sapere come andava a finire. Non so se è COSI’ bello, personalmente mi ha preso un sacco (e comunque la doppietta Nebula – Hugo testimonia che non sono stato il solo). In Italia è stato pubblicato un po’ di volte, fino al 1996.
Lo consiglierei. Molto adulto in parecchie situazioni, in altre ai limiti della pornografia, senza mai essere volgare, mantiene un interesse costante. Peccato per il finale, un po’ deludente, un po’ minore, un po’ confuso, perché se no starei a parlare di vero capolavoro. Rimane comunque una doppietta meritata.

Persero, per l’Hugo Bully!, di Mike Resnick (edito così anche in Italia); Anello intorno al mondo, alias (più esatto) Un breve, brusco brivido, di Kim Stanley Robinson; l’inedito Bones, della Pat Murphy e Chi credi di essere?, di Pat Cadigan. Declina la nomination Il meteorologo, alias Miles Vorkosigan, l’uomo del tempo, di Lois McMaster Bujold. (che dovrebbe corrispondere ai primi 6 capitoli de Il gioco dei Vor, vincente l’Hugo – v. sopra).
Per il Nebula, Il meteorologo, alias Miles Vorkosigan, l’uomo del tempo, di Lois McMaster Bujold; Chi credi di essere?, di Pat Cadigan, Mr. Boy, alias Mister boy, di James Patrick Kelly e l’inedito Bones, di Pat Murphy.

Racconto, l’Hugo va a La Manamouki, di Mike Resnick. Il Nebula, invece, va a La torre di Babilonia, di Ted Chiang.

Chi era meglio?
Ordunque, Resnick aveva già vinto un Hugo per un racconto ambientato, diciamo, in un nuovo Kenia, ricostruito fuori dalla Terra, in una colonia orbitale, dove però usi e tradizioni rimanevano quelli di secoli fa. Ora ci riprova, paro paro, e gli va di nuovo benissimo. Racconto che in realtà è simpatico e scorre bene, anche se sembra più una favoletta africana che un vero racconto di fantascienza. Comunque godibile. Certo che è ambientato nel futuro e cita le pellicole delle macchine fotografiche…Beh…Vabbè.
Il ragazzino (allora) Chiang immagina una Torre di Babele decisamente immensa, fuori da ogni canone costruttivo, in cui la salita alla cima dura mesi. Lo stesso Universo è visto con occhi “babilonesi”, e durante la salita si va più alti della Luna, del Sole, delle stelle, verso la volta celeste, dove vanno in effetti i protagonisti, dei minatori, per romperla e continuare a costruire. Una storiella decisamente interessante, che, in confronto a quella vincente l’Hugo, è probabilmente superiore per contenuti.

Perdenti: Un atto di coraggio, alias Qualcosa di eccezionale, di Charles Sheffield; La torre di Babilonia, di Ted Chiang; Il procione rotolò giù e si ruppe la laringe, un racconto strizzolino del signor Moffetta, di Dafydd ab Hugh (che titolo!) e l’inedito Over the long haul, di Martha Soukup . Non eleggibile, perché pubblicato ufficialmente l’anno prima, La clinica del dottor Pak, alias La prescuola del dottor Pak, di David Brin. Questi per l’Hugo.
Per il Nebula, Il procione rotolò giù e si ruppe la laringe, un racconto strizzolino del signor Moffetta, di Dafydd ab Hugh; La Manamouki, di Mike Resnick; l’inedito Over the long haul, di Martha Soukup; La storia degli Shoby, di Ursula K. Le Guin; l’inedito 1/72nd scale, di Ian McLeod; l’inedito A time for every purpose, di Kristine Kathryn Rusch e l’inedito Loose cannon, di Susan Shwartz.

Racconto breve. Altra doppietta, l’Hugo e il Nebula vanno a Gli orsi scoprono il fuoco (alias titoli simili), di Terry Bisson.

Il raccontino vincente lo definirei una poesia in prosa. Non accade molto, se non quanto detto nel titolo; ma è proprio quello che non accade, quello squarcio di vita quotidiana, che esercita un fascino molto forte. Un racconto che, finito, lascia un pochino perplessi, ma poi cresce dentro. E’ più bello di quanto appaia a una prima lettura. Mi sa che l’hanno pensata così (più o meno, oddio…) anche i premianti. Originale, non molta SF, ma premiabile.

Persero per l’Hugo Cibola, di Connie Willis; Godspeed, di Charles Sheffield (edito in Italia con lo stesso titolo); Extraterrestri in fabbrica, di Robert Reed e l’inedito VRM-547, di W. R. Thompson.
Gli altri per il Nebula erano l’inedito The power and the passion, di Pat Cadigan; l’inedito Lieserl, di Karen Joy Fowler; l’inedito Love and sex among the invertebrates, di Pat Murphy; Prima del risveglio, di Kim Stanley Robinson e l’inedito Story child, di Kristine Kathryn Rusch.

Artista: torna a vincere Michael Whelan.

Spettacolo, vince Edward mani di forbice, di Tim Burton.
E’ una celebre fiaba che è bene vedere, ogni tanto, anche perché è sempre attuale (la paura del diverso, etc…) e perché è bellissima. Il protagonista è l’attore feticcio del regista, e cioè ovviamente Johnny Depp, all’epoca neanche trentenne, che inizia proprio qua sia la collaborazione con Burton, sia a farsi un nome nel mondo, poiché all’epoca lo conoscevano forse solo i teen-ager. Qua è bravissimo. La leggenda narra che, per la parte, gli studios pensassero a Tom Cruise, o a altri (pure a Michael Jackson), mentre il regista aveva già capito che la parte era perfetta per Depp che, si dice, pianse alla lettura della sceneggiatura. Lei è Winona Ryder, allora appena ventenne, bella (qua un po’ meno), brava, che allora si iniziava a vedere spesso (mentre oggi si vede ancora in giro, magari in Tv, faccio solo un nome, Stranger things), ad esempio in Beetlejuice, Schegge di follia, Great balls of fire (a chi piace il genere) e Sirene, con la Cher. Insomma era la classica emergente, che azzeccava molti film. I due mi pare che all’epoca stessero pure assieme. Il film ebbe una nomination agli Oscar per il make-up, non fu di sicuro un grande successo al botteghino, anche se non andò male. E’ stato detto e sembra scontato, Edward ricorda visivamente il leader dei Cure, il grande Robert Smith. Su IMDB ha un bel 7,9 .
Secondo si piazzò Atto di forza, ossia Total recall, ma in finale c’erano pure Ghost e il terzo Ritorno al futuro.

Immagini, al solito, da IMDB.

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io comunque un premio ai geni di Ritorno al Futuro lo avrei dato. Senza togliere nulla a Mani di Forbice.

Parecchio, mi ricordo la delusione assoluta nel leggerlo.

Due dei miei romanzi preferiti :smiley:
No ricordo se ho letto Il Gioco dei Vor :thinking: avevo scaricato il cd con tutto il ciclo quando Baen lo aveva messo gratis e ricordo di aver iniziato il primo della serie di sicuro… poi buio, non il mio genere preferito.

Io ne avevo letto i primi due o tre. Il primo mi era piaciuto molto, anche il secondo non era male ma poi mi fermai , non ricordo bene il motivo, forse perché sono un po’ allergico ai cicli troppo, troppo lunghi.

Avevo letto su locus e mi ero fatto una risata, facevo fatica a credere che si trattasse di una truffa, mi sembrava piú opera di troll.
Interessante che ne parli ilpost.

@Jabbafar, che hai combinato?

ps

Quasi 400 dei voti registrati nel 2024, però, «sono stati espressi da account che non soddisfano i criteri di “persona fisica”, con evidenti nomi falsi e/o altre caratteristiche squalificanti. Per esempio c’era una serie di votanti i cui cognomi erano identici tranne per la prima lettera, che era stata cambiata in ordine alfabetico, nonché una serie di votanti i cui nomi erano traduzioni di numeri consecutivi».

Il comitato ha detto che la truffa era «sorprendentemente diversa» da qualsiasi cosa si fosse vista in passato agli Hugo. È un decennio, però, che il premio viene osservato con particolare attenzione e preoccupazione dalla comunità di amanti di fantascienza, per via di alcuni casi di manipolazione dei voti cominciati nel 2013.

I premi Hugo – per intero i Premi annuali per la fantascienza e il fantasy – vengono assegnati ogni anno durante la World Science Fiction Convention (Worldcon), il congresso mondiale degli appassionati di fantascienza. Prendono il nome da Hugo Gernsback, fondatore della prima rivista di fantascienza del mondo: Amazing Stories, uscita a partire dal 1926. A votare è il pubblico presente alla convention oppure gli iscritti alla WSFS che scelgono di votare da remoto, e in anticipo. Sono quindi premi popolari, pensati per riflettere il gusto medio dei lettori di fantascienza più appassionati, al contrario del premio Nebula, che premia sempre la fantascienza ma è assegnato da una giuria di scrittori.

Dunque 4000 voti in tutto, e questi pseudohacker hanno organizzato un assalto a colpi di click e vpn, con 400 mail temporanee fasulle e nomi palesemente identici o farlocchi? Che dilettanti. Meno male che è solo dal 2013 che ci provano…

Comunque interessante la differenza tra Hugo e Nebula - col Nebula vai sul sicuro: nessuno scrittore voterà l’opera di un amico, no? Né si farà corrompere da qualche casa edirtice (magari quella per la quale sta pubblicando lui). Vabbé.

Ehhh…i premi lasciano il tempo che trovano. Pure con gli Oscar hanno fatto dei gran casini, dei veri pasticci, tanto che la statuetta non è mai stata assegnata a

Charlie Chaplin
Hitchcock
Kubrick

che su un’isola deserta probabilmente ti basterebbero i film di questi 3.
Ma se proprio, ce ne sono anche altri TOP (intendo, top del top), senza la statuetta…

Però un premio che, diciamolo, ha collezionato n figure di cacca, e che è ancora ambitissimo, e dunque, questo è.

1992

Vince l’Hugo per il migliore romanzo

Decide altrimenti il Nebula, che premia come migliore romanzo

noto anche come Stazioni delle maree.

La Lois prosegue la saga dei Vor e continua a mietere successi. Con Barrayar torna cronologicamente indietro, nella serie, descrivendo l’avventurosa gravidanza della madre di Miles Vorkosigan. La quale è sì l’indubbia protagonista, ma attorniata da molti dei personaggi della saga, già celebri per i precedenti romanzi (ovviamente qui tutti più giovani). In effetti, pur uscito nel 1991, dopo molti altri, Barrayar è addirittura il secondo cronologicamente della serie, dopo L’onore dei Vor (ci sarebbe prima Gravità zero, ma in realtà non fa parte esattamente della saga, poiché parla di avvenimenti di almeno un secolo prima, non più collegati). Comunque pure questo si può leggere autonomamente, senza avere letto gli altri.
Al di là di un inizio un po’ sottotono (per qualche decina di pagine), l’opera poi avvince, in un notevole crescendo, verso la fine della quale le pagine si divorano. Decisamente un buon libro, che bilancia azione e approfondimenti psicologici, rendendosi sempre credibile e facendoti partecipare alle vicende dei personaggi, che sono “reali” come poche altre volte. Tra i premiati, lo ritengo il migliore della saga (finora, 1992). Premio meritato.
Il vincente il Nebula, in Italia, è l’Urania 1236 (uscì comunque anche in un Isaac Asimov SF magazine). Questo romanzo ha, spesso, un’atmosfera strana, quasi onirica, non so se voluta o a causa di carenze tecniche dell’autore, il quale talvolta non riesce a definire bene quanto racconta (IMO). Per questo e altri aspetti (anche cyberpunk), mi ricorda Neuromante, in alcuni momenti. In altri, e non riesco a trovare giustificazioni razionali di ciò, la storia mi rammenta, per qualche motivo, Hyperion. Di vagamente simile qui abbiamo un viaggio / ricerca, dove spesso i personaggi incontrati hanno qualcosa da dire al protagonista, nel merito, ma anche qualcosa di loro da raccontare che non c’entra con la trama principale. Il romanzo parla di un presunto furto di tecnologia avanzata, la quale sarebbe poi stata portata in un pianeta dove volutamente si voleva mantenere un livello di sviluppo inferiore. Il protagonista ha il compito di scovare tale presunto ladro e verificare cosa è successo.
Opera spesso e sicuramente adulta, se non addirittura “spinta”, senza causare fastidio, visto che anche le scene di sesso più esplicite fanno parte integrante del romanzo e non le ritengo gratuite o slegate dal contesto. Lo riterrei un buon libro, che pecca talvolta a causa di un cammino “a strappi”. Sicuramente un libro strano, per molti versi affascinante. Capisco che, per l’Hugo, sia stato messo in nomination (perché comunque è di qualità), ma capisco che sia arrivato ultimo (nella cinquina), perché non è proprio un libro per tutti (e forse anche perché gli altri erano meglio). Barrayar è sicuramente più tradizionale (molto tradizionale, peraltro), e lo preferisco a questo.

Gli altri erano: per l’Hugo l’inedito Bone dance, di Emma Bull; Nel tempo di Pern, di Anne McCaffrey; l’inedito The summer queen, di Joan Vinge; Ender III: Xenocidio, di Orson Scott Card e Stazioni delle maree, alias Domani il mondo cambierà, di Michael Swanwick.
Per il Nebula: l’inedito Orbital resonance, di John Barnes; Barrayar, della Lois McMaster Bujold; l’inedito Bone dance, di Emma Bull; Sintetizzatori umani, di Pat Cadigan e La macchina della realtà, di Bruce Sterling e William Gibson.

Romanzo breve. Doppietta Hugo - Nebula per Modificazione genetica, alias Dormire, forse sognare…, alias Mendicanti in Spagna, della Nancy Kress.
Dell’opera bi – vincitrice, la prima cosa che colpisce è lo stile semplice e fluido, che ti porta già a metà libro in un soffio. Inoltre, quanto racconta la Kress è pure estremamente interessante, moderno, che anzi ai giorni d’oggi pare materia di discussione attuale o da farsi tra pochi anni. In breve, nel libro, si possono decidere (pagando) le caratteristiche dei nascituri. Per la protagonista scelgono, tra l’altro, che non abbia bisogno di dormire (e senza alcun effetto collaterale). Tema affascinante, dato che il non dormire ti regala subito un 50% di tempo in più, al giorno, per fare un sacco di cose. Lei, come altri “insonni” si troveranno però in una società che, come sempre, è impreparata ad accogliere il diverso.
Bello bello bello. Non vorrei entusiasmarmi troppo, ma lo reputo già un classico. Alla Nancy è riuscito tutto bene, il libro fila via liscio come l’olio verso un bel finale, all’altezza di tutto il resto. Doppietta meritata, consigliato, compratelo, leggetelo.

Perdenti: per l’Hugo l’inedito The gallery of his dreams, di Kristine Kathryn Rusch; Jack (edito con lo stesso titolo), di Connie Willis; L’uovo di grifone, di Michael Swanwick e Spirito indomabile, della stessa Nancy Kress.
Per il Nebula: Bully!, di Mike Resnick (edito così in Italia, in corsa per l’Hugo l’anno prima); l’inedito The gallery of his dreams, di Kristine Kathryn Rusch, Jack, di Connie Willis; l’inedito Man opening a door, di Paul Ash e l’inedito Apartheid, superstrings and Mordecai Thubana, di Michael Bishop.

Racconto. Vince l’Hugo Oro, di Isaac Asimov. Per il Nebula, si decide di premiare l’inedito Guide dog, di Mike Conner.
La vittoria di Isacco deve tenere conto che la Convention iniziò qualche mese dopo la scomparsa del grande Asimov.
Il premio fu ritenuto da molti, leggo, senza merito e “alla memoria”. A essere trancianti, il primo giudizio che si può dare è “insignificante”. Non che sia brutto, è leggibile, ma che significa questa opera? Che aggiunge? Che scopo ha? In pratica viene immaginata una specie di rappresentazione teatrale senza attori e con forte uso del computer (non saprei spiegarla meglio), basandosi sul Re Lear di Shakespeare. Ha un successone, e al regista appare un tizio che vuole far rappresentare una sua (sconclusionata, direi) opera di fantascienza. Già dalle prove si intuisce un nuovo successone. Fine. Ma che senso ha? Premio regalato anche per me.
Da notare che su Millemondi estate 1993, dove è apparso, riescono a dire che ha vinto Hugo e Nebula ‘92, con tanto di “grido in copertina”: ma ci facessero il piacere…
Il racconto del Nebula credo sia rintracciabile, ora, ma non l’ho più cercato e dunque non l’ho mai letto.

Perdenti. Per l’Hugo l’inedito Dispatches from the revolution, di Pat Cadigan; l’inedito Miracle, di Connie Willis; l’inedito Fin de cyclé, di Howard Waldrop e Capire, di Ted Chiang.
Per il Nebula: l’inedito Gate of Faces, di Ray Aldrige; l’inedito Black glass, di Karen Joy Fowler; l’inedito Standing in line with Mr. Jimmy, di James Patrick Kelly; L’uomo felice, di Jonathan Lethem; Il divoratutto, di Lucius Shepard e Robert Frazier; l’inedito Getting real, di Susan Shwartz.

Racconto breve: vince l’Hugo Una passeggiata al sole, di Geoffrey A. Landis; vince il Nebula Laggiù, di Alan Brennert.
Quello dell’Hugo è meglio, ma quello del Nebula non sfigura. Il primo parla di un terribile naufragio sulla Luna: mentre la superstite aspetta i soccorsi (per un mese!), non le rimane altro che restare sempre al sole, per ricaricarsi la tuta, costringendosi così al fior fiore di passeggiata del titolo. Bello, ti porta subito dentro il fatto, ti fa vivere tutto da vicino e viene valorizzato dalla brevità dell’opera, che non ha orpelli inutili. Anche qua, sprecherei la definizione di classico. Premio molto meritato.
Il secondo parla di uno spettro, un tipo morto in Vietnam, che però, per vari motivi (sovrannaturali e sinistri), lì deve rimanere. Affascinante, coinvolgente, intrigante, un altro bel premio.

Gli altri erano: per l’Hugo l’inedito One perfect morning, with jackals, di Mike Resnick; Nel cretaceo superiore, di Connie Willis; Solstizio d’inverno, ancora di Mike Resnick; Bancomat, di Terry Bisson; Buffalo, di John Kessel e l’inedito Dog’s life, di Martha Soukup.
Per il Nebula l’inedito They’re made out of meat, di Terry Bisson; Il buio, di Karen Joy Fowler; Buffalo, di John Kessel; l’inedito Dog’s life, di Martha Soukup e l’inedito The button, and what you know, di Gregory Stewart.

Opera non fiction, viene premiata con l’Hugo The World of Charles Addams, di Charles Addams.
Opera postuma; non tutti sanno che mr. Addams è il creatore della famiglia Addams (appunto), inizialmente un fumetto, poi una serie tv e infine una serie di film al cinema. Curiosamente, lui non aveva mai dato un nome a nessuno della famiglia, lo fece solo per la serie tv. Comunque il libro si trova su Amazon e costa pure la sua bella cifretta.

Artista, vince sempre lui, Michael Whelan.

Spettacolo: erano begli anni di vacche grasse. Vince l’Hugo Terminator 2: il giorno del giudizio, diretto da James Cameron.
Cameron non aveva avuto il successo sperato con The abyss, e allora tornava al facile, perché un seguito di Terminator garantiva code ai botteghini.
Il primo Terminator, sette anni prima, mi era sembrato magnifico. Arnold sembrava semplicemente inarrestabile; mentre seguivo le peripezie dei protagonisti, mi dicevo, “Ma io che cavolo farei? Questo è lento, ma non si ferma mai!”. E difatti quando i nostri si rifugiano nella centrale di polizia, un sospiro di sollievo “Certo, qua voglio vedere cosa fa, mi sembra ottima l’idea”. Poi si sa come entra e cosa combina Terminator. Insomma, un incubo, un grande film. Che poi in originale si chiamava The terminator, più definitivo e bello.
Il secondo ci ha sbigottito con effetti speciali, al tempo, ma ha quel non so che, in meno, che non me lo fa neanche paragonare al primo. Il cattivo è un signor cattivo (per la parte si pensava a Billy Idol, il cantante, poi escluso perché si era appena fatto male in moto, sfiga per lui), Arnoldo è sempre Arnoldo, lei invece non la sopporto, la Linda Hamilton, divenuta alla fine una specie di Rambo in gonnella (per me, implausibile).
Pure su IMDB ha 8,6, segno che di pregi ce ne sono una valanga (condivido). Vinse 4 Oscar (riguardanti tra gli altri effetti, suoni, make-up), più ebbe un paio di nomination per premi secondari. Costò molto, tantissimo, per l’epoca (anzi all’epoca era il più caro di sempre, un classico per Cameron), incassò 5 volte tanto (maggior incasso USA dell’anno). Comunque mi piace molto, a scanso di equivoci, ma è IMO inferiore al primo, sempre a scanso.

Un cenno alle nomination: c’erano tra gli altri La bella e la bestia (il cartone animato) e la Famiglia Addams.

Foto come sempre da IMDB

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Letto sulla IASFM di Daniele Brolli, in questa edizione. La prima volta mi lasciò molto perplesso, ma a rileggerlo era molto bello, davvero stile Jack Vance

Hasta la vista baby!

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