Premi Hugo e Nebula

Una passeggiata al Sole, l’ho letto su qualche antologia, me lo ricordo poco ma con piacere.

E non sono state spese parole per la Macchina della Realtà ! Mi ricordo che trovai il paperback in inglese da ragazzo e provai a leggerlo. Eh, era un tantinello troppo - visto anche la mia scarsa conoscenza che avevo ben sopravvalutato - perché il libro recupera il linguaggio di Dickens, la tipografia d’epoca e una sequenza di citazioni oscure, minuzie che costruiscono un mondo (mi colpì tanto la citazione del Vin Mariani, una bevanda alcolica a base di foglie di coca che è considerato uno dei precursori della Coca Cola). Quanti conoscevano Ada Byron, nel 1991? Insomma, non era solo citazionismo ma vera cultura.

Poi lo lessi anni e anni dopo in una piattissima traduzione Mondadori che lo rendeva un libercolo senza spessore, ma ricordiamoci che ha dato il via (dopo tanto tempo) al cosiddetto Steampunk.

Che poi è un genere abbastanza travisato, perché spesso privo di quella satira sociale (di cui Sterling è maestro e Gibson invece avulso) in cui non è tanto FS ambientata nel passato, come si vorrebbe, ma una visione postmoderna del passato. Si guarda al passato che guarda il suo futuro che è l’oggi, in un corto circuito e gioco di specchi.
Certa messa così il genere avrebbe vita breve, mentre alleggerendo di tale carico, si è potuto spaziare molto - pure troppo.

Il primo Terminator era il primo - fatto in anni in cui gli effetti speciali che aveva erano più che degni. Oggi, le scene in CGI che ha fanno pena, ma resta un gran film lo stesso. Il due è anni luce avanti, ma erano anni luce avanti gli effetti speciali per tutti. Sì, la signora Connor nel due è decisamente esagerata, però ci si passa sopra: comunque il film, nonostante tutto, si fa guardare, e un 8/9 glielo dai.

The Abyss, invece, faceva schifo, lo dico.

Presentato come A Fantasy for Technophilles è stato finalista anche al World Fantasy Award, mi ha sempre attirato molto, è un po di anni che devo leggerlo … insieme ad altre n-mila cose

:whip: :face_with_symbols_over_mouth:
Visto un bel po’ di volte, sempre splendido.
Da vedere ovviamente la Director’s Cut.

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Beh, non è che i gusti siano uguali per tutti, altrimenti avresti la casa invasa dai Tassorosso.

1993

Per l’Hugo al migliore romanzo, un ex-aequo, vincono infatti

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e

con quest’ultimo che vince anche il Nebula.

E’ curioso come A fire upon the deep sia apparso in Italia sempre e solo come Universo incostante, malgrado le numerose riedizioni, e mai con la traduzione letterale. Opera che inizialmente ha una curva di apprendimento piuttosto ripida, volendo così dire che ha un inizio che potrebbe scoraggiare i lettori meno pazienti. I quali dovrebbero invece tenere botta per le prime 50 - 80 pagine, ma anche meno (il libro ne ha poi oltre 500). Mi sa tanto che l’editore di Vinge, alla lettura dell’opera, gli avrà detto, “Caro Vernor, hai fatto bingo!”, perché così è: questo libro è un mezzo capolavoro (o giù di lì), e di Vinge, qualunque cosa faccia, si dirà sempre “l’autore di Universo incostante”.
Un librone che è suddiviso in tre parti. La prima (le prime 200 pg circa, ma meno) riconcilia col piacere della lettura e con la migliore fantascienza, in una Via Lattea perfettamente definita, immaginata con tanta fantasia, sia nelle leggi fisiche, sia nelle razze aliene, e nel suo passato di eoni fa. (Nota a margine, fanno un po’ tenerezza le velocità di trasmissione, in kb al secondo, forse in futuro tornano ai modem analogici, boh, anche perché parliamo in un futuro VERAMENTE lontano). Bella la prima parte, minore la seconda, anche come respiro e aspirazioni, troppo lunga, che fa sembrare a sua volta lunghissimo il viaggio di salvataggio (chiamiamolo così). 2-300 pagine che si potevano sicuramente sfoltire, a mio parere, senza perdere granchè, e facendo così rimanere il libro nell’ambito “capolavori”, invece di farlo uscire da quella ristretta cerchia.
La terza e ultima parte sono cento pagine scarse, di pura adrenalina, con un degno finale. Sicuramente un libro meritevole, ma peccato, un po’ più di sintesi e essenzialità e avevamo un capolavoro facile facile.
L’opera della Willis è della Classe 600-, dove le centinaia sono le pagine. Nel futuro del 2054 della Willis non ci sono i cellulari, e ci sono invece mini - impianti sottocutanei da 2,5 MB (no comment?). Da subito avvincente, molto ben scritto, fluido, scorrevole. A differenza del precedente, non ci sono difficoltà di approccio iniziale, di nessun genere. Giri la prima pagina e sei già dentro la storia. Storia che narra di una studiosa mandata nel 1320 (circa…non dico di più per evitare spoiler) con un viaggio nel tempo, e delle grandi difficoltà nate là nel passato e qua nel “presente”, a causa di contagi di vario genere. La questione è che questa opera, buona, di sicuro non è un capolavoro, e neanche un quasi capolavoro. E risente anch’essa della moda di scrivere, scrivere, scrivere…. Quasi come se fosse che più scrivi, più sei bravo. O forse, più venale, più un libro è grosso e più soldi puoi chiedere ai lettori. E questo è il primo difetto: è prolisso oltre il lecito. Il secondo, più grave, è la soluzione che trova per dare una svolta al libro e la spiegazione a quanto successo. Soluzione inaccettabile, inverosimile, quasi un colpo di magia, non credibile e che svilisce un po’ il romanzo. A cui avrei dato un 8 e qualcosa, invece do 7 e qualcosa. Peccato, perché è godibile per molti tratti, interessante, ben scritto e descritto. Ma meglio Universo incostante, non li metterei ex aequo (come hanno fatto per l’Hugo) e non gli farei vincere il Nebula, ma lì è un discorso diverso. La Willis descrive molto bene gli avvenimenti e la vita quotidiana del ‘300, questo avrà “fatto figo” e avrà inciso, temo, nella scelta dei Nebuloni. Una botta di cultura che non avranno non potuto premiare. E vabbè.

Gli altri erano: per l’Hugo Il rosso di Marte, di Kim Stanley Robinson; Angeli di seta, di Maureen F. McHugh e La spiaggia d’acciaio, di John Varley.
Per il Nebula: Un milione di porte, di John Barnes; l’inedito Sarah Canary, di Karen Joy Fowler; Angeli di seta, di Maureen F. McHugh; Universo incostante, di Vernor Vinge e l’inedito Briar Rose, di Jane Yolen.

Romanzo breve: l’Hugo va a Barnacle Bill lo spaziale, alias Solitaire station, di Lucius Shepard. Il Nebula va a Il ribelle di Veritas, di James Morrow.

Solitaire station, nella versione Odissea Delosbook, viene accreditato di tutti i premi, sull’onda dell’entusiasmo. Tra questi il Nebula, che, come si vede sopra, in realtà non vinse. Inoltre in copertina viene citato come capolavoro, cosa che non è. E’ una buona cosa, un libretto breve che si legge abbastanza volentieri, tranne che per le noiose considerazioni dell’autore, riversate nel protagonista. Un’opera che direi di routine, una cosa venuta benino come ce ne sono parecchie, ma da qua al capolavoro….
Invece non so che pippe si sono fatti all’Hugo per non considerare Il ribelle di Veritas, ovvio vincitore del Nebula. Ovvio perché questo sì è un capolavoro. Un libro bellissimo, che tocca in profondità, che affascina, diverte e colpisce duro, molto duro. Un grande libro che non si può non associare a 1984 di Orwell, ad esempio, che non raggiunge per qualità, ma vicino al quale non sfigura.
E’ la storia di una società (la nostra) dove dall’età di 10 anni si viene condizionati a dire, per il resto della vita, solo la verità. Spunto magari non originale, ma è magnifico come l’autore tratta le relazioni interpersonali, sulla base che tutti DEVONO dire la verità. E per come è magistralmente definita la società risultante. Il risultato è sempre curioso, spesso spassoso. Inoltre, invece che menarla per centinaia di pagine (che comunque sarebbero state ben accette), l’autore porta subito avanti la sua storia, che è quanto gli interessa di più, e vedremo perché il protagonista deciderà di rompere il condizionamento e vorrà dire bugie. Un capolavoro di 150 pagine, che offre molti piani di lettura, alcuni molto profondi. Peccato che sia uscito in Italia solo una volta, nel 1997, Cosmo Argento. Certo, ma forse, per apprezzarlo al meglio serve avere un po’ vissuto ed avere avuto alti e bassi, nella vita, essere adulti, meglio se con figli, ma magari piace pure a tutti gli altri, chissà. Io lo consiglio.

Persero: per l’Hugo l’inedito Stopping at Slowyear, di Frederik Pohl; l’inedito Protection, di Maureen F. McHugh; Uh-Oh Lallà, di Jonathan Carroll e l’inedito The territory, di Bradley Denton.
Per il Nebula: Oro e argento, di Emma Bull; l’inedito The territory, di Bradley Denton, l’inedito Protection, di Maureen McHugh; l’inedito Contact, di Jerry Oltion e Lee Goodloe; Barnacle Bill lo spaziale, alias Solitaire station, di Lucius Shepard; L’uovo di grifone, di Michael Swanwick (in gara lo scorso anno negli Hugo).

Racconto. Vince l’Hugo Il golpe dello schiaccianoci, della Janet Kagan. Vince il Nebula Danny va su Marte, della Pamela Sargent.

Cosa è meglio? Il vincente l’Hugo è molto disneyano, nei personaggi alieni, nel loro rapporto con gli umani, e pure nel loro golpe, ma disneyano anche nell’accezione negativa del termine, cioè troppo sdolcinato. Il racconto è spesso noioso e poco interessante. Troppo buonismo, che infastidisce; mancavano solo Bambi e la protagonista che accarezza pure le zanzare. Un discreta palla.
Premio sbagliato, anche perché il vincente il Nebula, anche qua, è nettamente superiore. Bella l’idea, la prima spedizione su Marte che ha, come passeggero civile il vicepresidente USA. Peccato che, durante il viaggio di andata, dopo un pisolino, lui si riaggrega all’equipaggio …e li trova tutti morti. Racconto interessante, ricco di sottile umorismo, finale un po’ minore ma premio direi meritato.
NB il racconto della Sargent uscito solo una volta in Italia (se non erro), nel Isaac Asimov’s SF magazine dell’ottobre ’94. In tale rivista c’è pure la recensione a L’anno del contagio, della Willis. Che dire, ci vanno giù pesanti. Le parole più usate sono “mattonata” e “merda” (cito testuale); addirittura invitano a rivenderlo, scrivendo nelle prime pagine “Attenzione, potenziale lettore e compratore, questo libro fa cagare!” (cito a memoria).
Sempre nella rivista, molto interessante, un articolo di Curtoni, che prende lo spunto dai libri grossi, troppo grossi, del periodo, osservando che questa bulimia è tipica della nostra cultura, che vuole sempre di più, di tutto, che soprattutto in USA investe pure le abitudini alimentari, con un mangiare ossessivo e compulsivo. Fa l’esempio di King, che è passato dalle prime opere sulle 200 pg a opere che superano le 1.000. Insomma non sono l’unico (ovviamente) che si è accorto che in questi anni si è giunti a scrivere tanto, troppo, col sempre pericolo orchite in agguato.

Sconfitti per l’Hugo Danny va su Marte, di Pamela Sargent; l’inedito True faces, di Pat Cadigan; l’inedito Suppose they gave a peace…, di Susan Shwartz e La casa di pietra, di Barry N. Malzberg.
Sconfitti per il Nebula l’inedito Matter’s end, di Gregory Benford; l’inedito The July Ward, di S. N. Dyer; l’inedito The Honeycrafters, di Carolyn Gilman; l’inedito Suppose they gave a peace…, di Susan Shwartz e l’inedito Prayers on the wind, di Walter Jon Williams.

Racconto breve: c’è la doppietta Hugo - Nebula.
Vince Anche la regina, della Connie Willis.

Chissà come hanno fatto due giurie, pure diverse tra loro, a premiare lo stesso terribile raccontino schifoso. Perché a dirla tutta, quello della Willis è veramente brutto e stupido. Uno dei peggiori premiati di sempre, a mio parere ha l’unico pregio che finisce abbastanza presto. Brutto brutto, nello spunto, nei dialoghi, nei rapporti interpersonali, nella storia, nella sciocca conclusione, veramente una porcheria. L’Anche la regina del titolo intende che anche la regina ha le mestruazioni. Il fatto che TUTTI i finalisti, in entrambi i premi, siano rimasti inediti in Italia, forse testimonia un’annata catastrofica, per i racconti brevi. Era meglio, allora, non dare il premio, piuttosto.

Gli altri erano l’inedito The Mountain to Mohammed, di Nancy Kress; l’inedito The Lotus and the spear, di Mike Resnick; l’inedito The arbitrary placement of walls, di Martha Soukup e l’inedito The Winterberry, di Nicholas A. DiChario. Per l’Hugo.
Per il Nebula erano l’inedito Life regarded as a jigsaw puzzle of highly lustrous cats, di Michael Bishop (che titolo?!); l’inedito Lennon Spex, di Paul Di Filippo; l’inedito The Mountain to Mohammed, di Nancy Kress; l’inedito The arbitrary placement of walls, di Martha Soukup e l’inedito Vinland the dream, di Kim Stanley Robinson.

Artista, non partecipa Whelan, dunque vince Don Maitz.

Opera artistica, vince Dinotopia, di James Gurney.
Bellissima l’idea di base, oltre alle illustrazioni, per me eccezionali, fantastiche, ispirate, geniali, etc….che aspettano a portarlo sul grande schermo?
Fatevi un giro (fantastico) su www.dinotopia.com e sarà come scoprire un mondo nuovo, se ancora non lo conoscete. Se lo conoscete, un ripasso non fa male.

Spettacolo, vince l’Hugo Star Trek: The Next Generation – “Una vita per ricordare”, dunque un prodotto televisivo.
Si riferisce alla quinta stagione di Next Generation, e questo premiato è il 25° e penultimo episodio della stagione. Premetto, non l’ho visto. Apprendo però che questo episodio, per molti, è forse il più bello IN ASSOLUTO della saga Star Trek, di tutte le Generation passate e future. E’ quello dove il capitano Picard sviene sull’Enterprise e si risveglia su un pianeta, con moglie e amico, che lo convincono che quella è la realtà e invece la vita sull’Enterprise è solo un sogno. Il tempo passa e lui invecchia sul pianeta, succedono varie cose, fino al risveglio in plancia, solo 25’ dopo lo svenimento. Non aggiungerei altro, per non esagerare un pieno spoiler, certo che a leggere la storia (su Wiki in inglese) si rimane colpiti dalla ricchezza e dalla poesia della stessa.
Più di tutti saranno rimasti colpiti i partecipanti all’Hugo, visto che non hanno avuto dubbi nel segnalarlo come la migliore cosa dell’anno. Altissimo pure il voto su IMDB, addirittura 9,4.
Foto da IMDB

Gli altri in gara: Aladdin, il Dracula di Coppola, Batman returns e Alien 3.

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Eh, sì, episodio celeberrimo. Premio meritato.

Maledetti Trekkòsi!

E ti credo , la recensione era di Filippo Scòzzari, uno che di certo non te la manda a dire!

L’anno del contagio è bellissimo.
Vi consiglio vivamente di leggerlo, ha delle oarti veramente struggenti e geniali.

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1994

Per me questa annata, per i miei gusti, intendo, fu un disastro per i romanzi. Feci una gran fatica a leggermi le opere vincenti, che a volte si riferivano a Marte anche tra gli sconfitti. Dal 1992 la NASA aveva ripreso a osservare Marte come si deve, si programmavano lanci di sonde, e chissà se qualche autore abbia pensato, ok, la moda ora è Marte, avanti!
Ma magari anche no.

Comunque, vince l’Hugo per il migliore romanzo

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mentre vince il Nebula, migliore romanzo

Per giustezza cronologica della serie, mi sono messo a leggere prima il vincente il Nebula.
Parla della colonizzazione di Marte, ed è un bel documentario, a cui Robinson, invano, cerca di dare veste di romanzo, immettendo personaggi e storie e dialoghi. Sempre un documentario rimane, un lungo documentario con “qualche” pausa inevitabile. Una sorta di mockumentary, insomma, come si dice oggi. Qua e là la storia decolla e avvince, a tratti, ma sono episodi. A meno che uno ami trovare un trattato scientifico al posto di un romanzo, ma quello non sono io, ho trovato la lettura piuttosto faticosa, con molto science e poca fiction. Qualcuno con meno pazienza e più sincerità di me, potrebbe definire questo romanzo una palla pazzesca o un mattone micidiale. Certo è che arrivi a pagina 200, a metà cioè (e sono pagine scritte pure molto fitte, normalmente sarebbe un libro da 600 pagine) e ti accorgi che le stesse cose tu le avresti raccontate in una decina di pagine (esagero). Insomma, spesso pesante, vorresti anche finirlo presto, ma ogni volta ti areni dopo una decina di pagine, e rimandi. Alla fine ti accorgi che non è successo granchè, anche perché i vari avvenimenti sono sommersi in un mare di parole. Terribile poi quando l’autore descrive con dovizia di particolari le varie rotte seguite, un insieme di nomi che non ti dice nulla. Insomma un libro pesante, che non sorprende sia apparso solo una volta in Italia. Premio non meritato. NB Edito in Italia con una bella fascetta (“Vincitore del premio Hugo ’94), riporta lo stesso errore pure all’interno. NB2 poi dopo 15-20 anni in realtà è stato ripubblicato, con tutta la trilogia.
Dopo quanto sopra, è intuibile con che entusiasmo mi sia messo a leggere il seguito.
(NB al tempo Green Mars non era mai stato pubblicato in Italia, dunque lo lessi in inglese.) Lo stile rimane pesante, la lettura faticosa. Alla fine questo libro se la gioca con i peggiori vincitori. Una mappazza terribile, anche per lo stile di Robinson, qua involuto, scarso qualitativamente nei dialoghi, ridondante, pesante. Non bastasse la forma, pure il contenuto è poco interessante e poco in tutto. Non succede molto e quel poco è allungato a dismisura in 600 pagine. Una vera porcheria? Direi di sì. Come abbiano fatto a votarlo, non lo so. Personaggi poco plausibili, anche situazioni poco plausibili, carenze tecniche dell’autore…pure la copertina è brutta assai. Sconsigliato.

Gli altri erano: per l’Hugo Marte in fuga, di Greg Bear; Mendicanti in Spagna, di Nancy Kress (da non confondere con l’omonima opera più breve, apparsa anche di recente; questo è apparso solo una volta nel ’97, Urania 1315); l’inedito Glory Season, di David Brin e Luce virtuale, di William Gibson. Non eleggibile, perché pubblicato nel periodo precedente a quello valido per questa edizione, Impatto mortale, di Algis Budrys.
Per il Nebula: Costruttori d’infinito, di Kevin J Anderson & Doug Beason; Impatto mortale, di A. J. Budrys; Mendicanti in Spagna, di Nancy Kress e l’inedito Nightside the long sun, di Gene Wolfe.

Romanzo breve: vince l’Hugo Laggiù nelle Terrefonde , (alias Dramma nelle Terrefonde) di Harry Turtledove, Vince il Nebula Sulla strada , di Jack Cady.

Bello il romanzo di Turtledove, che qua ricorda, da subito, Farmer e Zelazny, con una spruzzata di Vance, e considerando i tre nomi detti, è un signor complimento. La guida che porta i turisti a visitare il fondo del Mediterraneo, oramai completamente prosciugato e rinsecchito, si troverà invischiato in un bel affare di spionaggio. Libretto fresco, ben scritto, vivace, divertente, ha il principale difetto che finisce, quando vorresti leggerne ancora qualche centinaio di pagine. Bel premio, ottima scelta.
Il romanzetto di Cady è invece un po’ particolare. Cady racconta e scrive molto bene, nella migliore tradizione americana, ma….vi interessano le vaste praterie USA? La vita sonnolenta della provincia americana? I modelli automobilistici USA degli anni 40-50-60? No? Neanche a me. Peccato che si parli solo di questo, di lunghi viaggi su queste autostrade, a forte velocità, con un fiorire di miti, personaggi, auto memorabili, etc…ma in realtà miti creati da poveracci e fannulloni. E la fantascienza? Non pervenuta. Nel bel finale vira verso una specie di horror, del tipo Ai confini della realtà. In definitiva un romanzo non malvagio, ma fuori tema.

Persero, per l’Hugo Acqua, pietra, arte, di Walter Jon Williams; Il grande rift di Miranda, di G. David Nordley; Sulla strada, di Jack Cady; Un’infanzia americana, di Pat Murphy e l’inedito Mefisto in Onyx, di Harlan Ellison.
Per il Nebula, l’inedito The beauty addict, di Ray Aldridge; l’inedito Dancing on air, di Nancy Kress, che per l’Hugo è un racconto; Il grande rift di Miranda, di G. David Nordley; I nomi dei fiori, di Kate Wilhelm e Acqua, pietra, arte, di Walter Jon Williams.

Racconto. Abbiamo una doppietta per Georgia on my mind (edito in Italia con lo stesso titolo), di Charles Sheffield, che portò a casa Hugo e Nebula.

Racconto appassionante questo vincitore di entrambi i premi. In Nuova Zelanda vengono ritrovati, da due studiosi, materiali comprovanti un primitivo computer, costruito molto prima di quanto fosse possibile, ma pure chiare tracce di contatti alieni avvenuti nell’800. Peccato per il finale “aperto”, che sminuisce, a mio parere, la bontà dell’opera, che comunque rimane molto intrigante, ricordando il migliore Sydney Jordan e il suo Jeff Hawke. Buon premio.

In gara c’erano, per l’Hugo, l’inedito Dancing on air, di Nancy Kress; L’ombra lo sa, di Terry Bisson; Deep Eddy (edito in Italia con lo stesso titolo), di Bruce Sterling e l’inedito The franchise, di John Kessel.
Per il Nebula, England Underway, di Terry Bisson; Il golpe dello schiaccianoci, di Janet Kagan (vincente lo scorso anno l’Hugo); l’inedito The franchise, di John Kessel; Quello che non si vede, di Martha Soukop; Morte sul Nilo, di Connie Willis (per l’Hugo un racconto breve, addirittura vincente!).

Racconto breve. Vince l’Hugo, come detto, Morte sul Nilo , della Connie Willis. Vince il Nebula Salme , di Joe Haldeman.

Il raccontino (in realtà piuttosto lungo) della Willis si fa leggere volentieri, con la sua atmosfera onirica, anche se non ci si trova SF, caso mai venature horror. Non originalissima, viene scritto con sufficiente eleganza; un premio non scandalizza, anche se l’opera non è memorabile.
Stesso discorso per quella di Haldeman, che ci porta in Vietnam e, ancora, è sicuramente un racconto di guerra con una buona dose di horror (se non addirittura splatter), ma senza tracce di SF.
Anche qua, non memorabile, ma salvabile.

Migliore artista: Whelan solo secondo, perché ora vince Bob Eggleton. Costui è artista forse più fantasy che SF, ha una tecnica che non mi fa impazzire, più adatta, forse (ora la sparo grossa) a serbatoi di moto o a tatuaggi. Ma qua esagero e sto zitto.

Migliore opera originale: la serie di francobolli del 1993 (USA) per commemorare la fantascienza. Per me che sono amante dei francobolli, una pacchia, anche se non colleziono prodotti di quell’area. Francobolli gradevoli, con una grafica stilizzata accattivante e piacevole

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MIgliore spettacolo, vince il grande Jurassic Park, che vidi al cinema a suo tempo, con tutto il suo carico di piacevole terrore.
Fu forse il primo film, tra i blockbuster, che fece capire le enormi potenzialità della Computer Graphic, che infatti sfrutta appieno e direi magistralmente. Alla vista di alcuni sbalorditivi (per l’epoca, ma buoni pure ora) risultati al computer, è famosa la frase di Spielberg “D’ora in poi siamo disoccupati” e l’altrettanto famosa risposta “Diciamo estinti”. Ok, di anni ne sono passati, meglio si potrebbe fare, non ultimo nella definizione dei velociraptor, ad esempio, che ora sono anche ritenuti più piccoli ma soprattutto piumati (ma cattivi uguale); grazie al film si scatenò, ricordo, la moda dei “raptor”, da cui, per esempio, il nome della squadra di basket NBA di Toronto. All’epoca ci fu anche un diffuso dibattito sulla clonazione, sugli errori scientifici del film, etc… ma a mio modo di vedere tutto ciò è errato, per un film che punta solo alla pura evasione. Era ambientato in un’isola dei Caraibi, anche se fu in realtà girato alle Hawaii e molto pure in studio (studi grandi, chiaro), ci vollero poi 6 mesi buoni per realizzare le immagini al computer. Sam Neil era il protagonista, attore solido e già noto (nello stesso anno farà anche Lezioni di piano), la parte venne rifiutata da William Hurt; lei era la brava Laura Dern, classica attrice più brava che famosa. L’altro protagonista è ovviamente Jeff Goldblum, forse più famoso allora che oggi. In una parte minore, c’è pure Samuel Jackson. Il bambino protagonista farà poi tanta tv, mentre la bimba è poi apparsa raramente nel mondo della celluloide. La regia è notoriamente di Spielberg, che trae la storia da un romanzo di Crichton, che curò anche la sceneggiatura. Il regista era già notissimo e aveva fior fiore di successi in saccoccia, tra cui 3 Indiana Jones e E.T., tra gli altri. E accanto a film di evasione, si dimostrerà poi un maestro assoluto, quell’anno, girando quel capolavoro indimenticabile di Schindler’s list. Tornando al Giurassico, tre Oscar tra effetti e suoni, su tre candidature, voto 8,2 su IMDB. Costato una barca di soldi, si rifece in pratica nel primo weekend. Interessante come allora Spielberg avesse i due maggiori successi di ogni tempo (Jurassic Park ed E.T.), un po’ come Cameron, che se non sbaglio ha 3 dei primi 4 maggiori incassi di sempre (vado a memoria).
Tra gli sconfitti, il cult Ricomincio da capo, con Bill Murray.
Le foto, al solito, provengono da IMDB

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Mi pare che il ruolo fosse stato proposto anche a Juliette Binoche, ma lei all’epoca era impegnata con la Trilogia di Kieslowski (Film Blu in particolare).

La Trilogia di Marte, per la parte tecnica, è basata sugli studi della NASA relativi alle missione umane su Marte, ai tempi, anni '90, c’era un bel sito (cmex.arc.nasa.gov - Center for Mars Exploration) in cui erano presenti le ricerche fatte con tanto di immagini, etc…
Molto carino, devo avere ancora un mirror salvato da qualche parte :nerd_face:
Molto degli “strumenti” di cui leggevi nel romanzo potevi trovarli sul sito.

Di fatto è una storia di frontiera, molto americana, se vogliamo pure un western. Territori inesplorati che vengono colonizzati, colonie che si ribellano alla madre patria, sfruttando molto i vantaggi logistici, etc… c’è tutto.

Robinson lo adatta a Marte, se vogliamo generalizza la modalità di progresso dell’umanità, con il ciclo colonizzazione, espansione, sviluppo tecnologico conseguente, creazione di nuovi modelli sociali e nascita di una nuova entità.

Personalmente La trilogia è una delle mie opere preferite, soprattutto per il realismo e la sua profondità. Ovviamente ci sono parti che possono essere pallose, semplicemente perché l’esplorazione e colonizzazione dello spazio è, in generale, fondamentalmente una noia mortale :innocent:
Muoversi su Marte vuol dire viaggiare per ore in territori desolati, viverci almeno all’inizio sarebbe altrettanto palloso, oltre che uno stress terribile.
Se vuoi scrivere un opera realistica sulla colonizzazione di Marte, deve avere delle parti estremamente lente.
Molti probabilmente preferiscono che queste vengano saltate, però, personalmente, quanto faccio un paragone tra questa trilogia e opere simili o cose tipo The Martian, rimango sempre molto scettico sulla validità delle seconde.
Lo stesso Moving Mars di Bear, finalista all’Hugo insieme a Green Mars, al confronto mi era sembrato un romanzetto d’avventura.
A volte ho l’impressione che in FS si tenda troppo spesso a usare la scusa del romanzo, per annacquare la parte scientifica ed usarla come sfondo per una storia che altrimenti sarebbe una classica avventura.

Un altro elemento che evidenzia la qualità dell’opera è la sua longevità.
Anche leggendola oggi, non risente dell’invecchiamento, anzi sembra più attuale di allora. Per un romanzo che si sviluppa entro la 50ina di anni nel futuro è qualcosa di notevole.

Andando più nello specifico dei due romanzi Red Mars è più classico come struttura, con una parte legata alla soluzione di un omicidio ed una che si focalizzava sulla colonizzazione.
Mentre Green Mars risente di quella che io chiamo “sindrome del romanzo di mezzo”.
Spesso e volentieri il secondo volume di una trilogia lascia un po’ incerti, perché ti trovi a leggere una storia già iniziata, ma che soprattutto non finisce.
Nel caso di Green Mars c’è anche il fatto che si concentra molto dettagliatamente sulla terraformazione, pure con un linguaggio tecnico e spesso molto ricco.
Questo appesantisce decisamente la storia.
Ricordo ancora il secondo capito, letto in inglese quando ancora non avevo una conoscenza della lingua adeguata, un vero e proprio massacro, ci avrò messo un anno a leggere 40 pagine :expressionless:
Almeno la metà delle parole non la trovavo neanche sul dizionario, alla fine avevo chiesto ad una amica laureata in lingue come facevano i traduttori, mi aveva spiegato che devi prendere i dizionari tecnici.
Quindi chiaramente non un romanzo per tutti, soprattutto in originale.
L’Hugo a Green Mars mi è parso più un Hugo alla trilogia, che al romanzo singolo.
Personalmente avrei probabilmente votato per Beggars in Spain della Kress, primo romanzo di un’altra delle mie trilogie preferite.

Per quel che riguarda il discorso italia, i diritti della trilogia finiro nelle mani di Mondadori, se non ricorso male, a seguito dell’acquisizione di Interno Giallo.
Questa stava pubblicando Robinson con la trilogia Three Californias e appunto la Trilogia di Marte.
I risultati furono devastanti.
Il Rosso di Marte venne pubblicato in edizione rilegata con un ottima traduzione di G.L. Staffilano, ma non venne pubblicizzata minimamente, per di più non era un periodo molto felice per l’editoria FS in italia.
Quindi vendite minime e addio alla pubblicazione dei restanti volumi delle trilogie.
Solo una volta scaduti i diritti da parte di Mondadori, una ventina di anni dopo, abbiamo potuto vedere finalmente l’opera completa pubblicata da Fanucci.
Personalmente mi ci imbattei un agosto degli anni '90 in una libreria vecchio stile, dove mi era toccato andare a prendere dei libri di scuola per un cugino … quando si dice il destino.
Green Mars e Blue Mars li comprai invece alla FNAC di Bruxelles durante una vacanza.

Nel complesso la Trilogia di Marte è una delle opere fondamentali della storia della fantascienza, l’opera da leggere se si vuole una visione completa e realistica sulla colonizzazione di Marte.

Mi hai fatto venir voglia di leggerlo

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A me questo attore piaceva e piace tanto. Sarà che la Mosca del 1986 - soprattutto dopo aver visto quella del 1958 -mi era parso un vero capolavoro anche grazie alla sua interpretazione. Cuirosamente, l’avevo rimosso dal ricordo del primo jurassic park

Che bello quel film! Il genere di Horror che oggi non fanno più.

Interpretava se non sbaglio lo scienziato esperto di teoria del caos che prevede tutti i possibili problemi del sistema. All’epoca la teoria del caos era molto popolare, oggi abbiamo buttato la teoria, perché inutile, e tenuto il caos.

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È lui che disse qualcosa del genere " mi dispiace di aver avuto ragione" in Jurassic?

A mia moglie fece talmente impressione ne “La mosca” che ancora oggi storce il naso se in un film c’è Godblum. :smiley:

A me è piaciuto anche in Indepence Day

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Per me rimane associato a questo:

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Devo averlo visto, ma non lo ricordo - sarà anche stato bello, però la mosca resta la mosca

Secondo me è giusta causa di divorzio. Oppure le organizzi una serata horror ogni mercoledì, tanto per farle capire chi comanda.

:vampire:

E la Pfeiffer resta la Pfeiffer. :grin:

Comunque più che il film di Cronenberg ricordo l’originale:

Con la vocina finale “aiuto aiuto!” :smiley: