1993
Per l’Hugo al migliore romanzo, un ex-aequo, vincono infatti
e
con quest’ultimo che vince anche il Nebula.
E’ curioso come A fire upon the deep sia apparso in Italia sempre e solo come Universo incostante, malgrado le numerose riedizioni, e mai con la traduzione letterale. Opera che inizialmente ha una curva di apprendimento piuttosto ripida, volendo così dire che ha un inizio che potrebbe scoraggiare i lettori meno pazienti. I quali dovrebbero invece tenere botta per le prime 50 - 80 pagine, ma anche meno (il libro ne ha poi oltre 500). Mi sa tanto che l’editore di Vinge, alla lettura dell’opera, gli avrà detto, “Caro Vernor, hai fatto bingo!”, perché così è: questo libro è un mezzo capolavoro (o giù di lì), e di Vinge, qualunque cosa faccia, si dirà sempre “l’autore di Universo incostante”.
Un librone che è suddiviso in tre parti. La prima (le prime 200 pg circa, ma meno) riconcilia col piacere della lettura e con la migliore fantascienza, in una Via Lattea perfettamente definita, immaginata con tanta fantasia, sia nelle leggi fisiche, sia nelle razze aliene, e nel suo passato di eoni fa. (Nota a margine, fanno un po’ tenerezza le velocità di trasmissione, in kb al secondo, forse in futuro tornano ai modem analogici, boh, anche perché parliamo in un futuro VERAMENTE lontano). Bella la prima parte, minore la seconda, anche come respiro e aspirazioni, troppo lunga, che fa sembrare a sua volta lunghissimo il viaggio di salvataggio (chiamiamolo così). 2-300 pagine che si potevano sicuramente sfoltire, a mio parere, senza perdere granchè, e facendo così rimanere il libro nell’ambito “capolavori”, invece di farlo uscire da quella ristretta cerchia.
La terza e ultima parte sono cento pagine scarse, di pura adrenalina, con un degno finale. Sicuramente un libro meritevole, ma peccato, un po’ più di sintesi e essenzialità e avevamo un capolavoro facile facile.
L’opera della Willis è della Classe 600-, dove le centinaia sono le pagine. Nel futuro del 2054 della Willis non ci sono i cellulari, e ci sono invece mini - impianti sottocutanei da 2,5 MB (no comment?). Da subito avvincente, molto ben scritto, fluido, scorrevole. A differenza del precedente, non ci sono difficoltà di approccio iniziale, di nessun genere. Giri la prima pagina e sei già dentro la storia. Storia che narra di una studiosa mandata nel 1320 (circa…non dico di più per evitare spoiler) con un viaggio nel tempo, e delle grandi difficoltà nate là nel passato e qua nel “presente”, a causa di contagi di vario genere. La questione è che questa opera, buona, di sicuro non è un capolavoro, e neanche un quasi capolavoro. E risente anch’essa della moda di scrivere, scrivere, scrivere…. Quasi come se fosse che più scrivi, più sei bravo. O forse, più venale, più un libro è grosso e più soldi puoi chiedere ai lettori. E questo è il primo difetto: è prolisso oltre il lecito. Il secondo, più grave, è la soluzione che trova per dare una svolta al libro e la spiegazione a quanto successo. Soluzione inaccettabile, inverosimile, quasi un colpo di magia, non credibile e che svilisce un po’ il romanzo. A cui avrei dato un 8 e qualcosa, invece do 7 e qualcosa. Peccato, perché è godibile per molti tratti, interessante, ben scritto e descritto. Ma meglio Universo incostante, non li metterei ex aequo (come hanno fatto per l’Hugo) e non gli farei vincere il Nebula, ma lì è un discorso diverso. La Willis descrive molto bene gli avvenimenti e la vita quotidiana del ‘300, questo avrà “fatto figo” e avrà inciso, temo, nella scelta dei Nebuloni. Una botta di cultura che non avranno non potuto premiare. E vabbè.
Gli altri erano: per l’Hugo Il rosso di Marte, di Kim Stanley Robinson; Angeli di seta, di Maureen F. McHugh e La spiaggia d’acciaio, di John Varley.
Per il Nebula: Un milione di porte, di John Barnes; l’inedito Sarah Canary, di Karen Joy Fowler; Angeli di seta, di Maureen F. McHugh; Universo incostante, di Vernor Vinge e l’inedito Briar Rose, di Jane Yolen.
Romanzo breve: l’Hugo va a Barnacle Bill lo spaziale, alias Solitaire station, di Lucius Shepard. Il Nebula va a Il ribelle di Veritas, di James Morrow.
Solitaire station, nella versione Odissea Delosbook, viene accreditato di tutti i premi, sull’onda dell’entusiasmo. Tra questi il Nebula, che, come si vede sopra, in realtà non vinse. Inoltre in copertina viene citato come capolavoro, cosa che non è. E’ una buona cosa, un libretto breve che si legge abbastanza volentieri, tranne che per le noiose considerazioni dell’autore, riversate nel protagonista. Un’opera che direi di routine, una cosa venuta benino come ce ne sono parecchie, ma da qua al capolavoro….
Invece non so che pippe si sono fatti all’Hugo per non considerare Il ribelle di Veritas, ovvio vincitore del Nebula. Ovvio perché questo sì è un capolavoro. Un libro bellissimo, che tocca in profondità, che affascina, diverte e colpisce duro, molto duro. Un grande libro che non si può non associare a 1984 di Orwell, ad esempio, che non raggiunge per qualità, ma vicino al quale non sfigura.
E’ la storia di una società (la nostra) dove dall’età di 10 anni si viene condizionati a dire, per il resto della vita, solo la verità. Spunto magari non originale, ma è magnifico come l’autore tratta le relazioni interpersonali, sulla base che tutti DEVONO dire la verità. E per come è magistralmente definita la società risultante. Il risultato è sempre curioso, spesso spassoso. Inoltre, invece che menarla per centinaia di pagine (che comunque sarebbero state ben accette), l’autore porta subito avanti la sua storia, che è quanto gli interessa di più, e vedremo perché il protagonista deciderà di rompere il condizionamento e vorrà dire bugie. Un capolavoro di 150 pagine, che offre molti piani di lettura, alcuni molto profondi. Peccato che sia uscito in Italia solo una volta, nel 1997, Cosmo Argento. Certo, ma forse, per apprezzarlo al meglio serve avere un po’ vissuto ed avere avuto alti e bassi, nella vita, essere adulti, meglio se con figli, ma magari piace pure a tutti gli altri, chissà. Io lo consiglio.
Persero: per l’Hugo l’inedito Stopping at Slowyear, di Frederik Pohl; l’inedito Protection, di Maureen F. McHugh; Uh-Oh Lallà, di Jonathan Carroll e l’inedito The territory, di Bradley Denton.
Per il Nebula: Oro e argento, di Emma Bull; l’inedito The territory, di Bradley Denton, l’inedito Protection, di Maureen McHugh; l’inedito Contact, di Jerry Oltion e Lee Goodloe; Barnacle Bill lo spaziale, alias Solitaire station, di Lucius Shepard; L’uovo di grifone, di Michael Swanwick (in gara lo scorso anno negli Hugo).
Racconto. Vince l’Hugo Il golpe dello schiaccianoci, della Janet Kagan. Vince il Nebula Danny va su Marte, della Pamela Sargent.
Cosa è meglio? Il vincente l’Hugo è molto disneyano, nei personaggi alieni, nel loro rapporto con gli umani, e pure nel loro golpe, ma disneyano anche nell’accezione negativa del termine, cioè troppo sdolcinato. Il racconto è spesso noioso e poco interessante. Troppo buonismo, che infastidisce; mancavano solo Bambi e la protagonista che accarezza pure le zanzare. Un discreta palla.
Premio sbagliato, anche perché il vincente il Nebula, anche qua, è nettamente superiore. Bella l’idea, la prima spedizione su Marte che ha, come passeggero civile il vicepresidente USA. Peccato che, durante il viaggio di andata, dopo un pisolino, lui si riaggrega all’equipaggio …e li trova tutti morti. Racconto interessante, ricco di sottile umorismo, finale un po’ minore ma premio direi meritato.
NB il racconto della Sargent uscito solo una volta in Italia (se non erro), nel Isaac Asimov’s SF magazine dell’ottobre ’94. In tale rivista c’è pure la recensione a L’anno del contagio, della Willis. Che dire, ci vanno giù pesanti. Le parole più usate sono “mattonata” e “merda” (cito testuale); addirittura invitano a rivenderlo, scrivendo nelle prime pagine “Attenzione, potenziale lettore e compratore, questo libro fa cagare!” (cito a memoria).
Sempre nella rivista, molto interessante, un articolo di Curtoni, che prende lo spunto dai libri grossi, troppo grossi, del periodo, osservando che questa bulimia è tipica della nostra cultura, che vuole sempre di più, di tutto, che soprattutto in USA investe pure le abitudini alimentari, con un mangiare ossessivo e compulsivo. Fa l’esempio di King, che è passato dalle prime opere sulle 200 pg a opere che superano le 1.000. Insomma non sono l’unico (ovviamente) che si è accorto che in questi anni si è giunti a scrivere tanto, troppo, col sempre pericolo orchite in agguato.
Sconfitti per l’Hugo Danny va su Marte, di Pamela Sargent; l’inedito True faces, di Pat Cadigan; l’inedito Suppose they gave a peace…, di Susan Shwartz e La casa di pietra, di Barry N. Malzberg.
Sconfitti per il Nebula l’inedito Matter’s end, di Gregory Benford; l’inedito The July Ward, di S. N. Dyer; l’inedito The Honeycrafters, di Carolyn Gilman; l’inedito Suppose they gave a peace…, di Susan Shwartz e l’inedito Prayers on the wind, di Walter Jon Williams.
Racconto breve: c’è la doppietta Hugo - Nebula.
Vince Anche la regina, della Connie Willis.
Chissà come hanno fatto due giurie, pure diverse tra loro, a premiare lo stesso terribile raccontino schifoso. Perché a dirla tutta, quello della Willis è veramente brutto e stupido. Uno dei peggiori premiati di sempre, a mio parere ha l’unico pregio che finisce abbastanza presto. Brutto brutto, nello spunto, nei dialoghi, nei rapporti interpersonali, nella storia, nella sciocca conclusione, veramente una porcheria. L’Anche la regina del titolo intende che anche la regina ha le mestruazioni. Il fatto che TUTTI i finalisti, in entrambi i premi, siano rimasti inediti in Italia, forse testimonia un’annata catastrofica, per i racconti brevi. Era meglio, allora, non dare il premio, piuttosto.
Gli altri erano l’inedito The Mountain to Mohammed, di Nancy Kress; l’inedito The Lotus and the spear, di Mike Resnick; l’inedito The arbitrary placement of walls, di Martha Soukup e l’inedito The Winterberry, di Nicholas A. DiChario. Per l’Hugo.
Per il Nebula erano l’inedito Life regarded as a jigsaw puzzle of highly lustrous cats, di Michael Bishop (che titolo?!); l’inedito Lennon Spex, di Paul Di Filippo; l’inedito The Mountain to Mohammed, di Nancy Kress; l’inedito The arbitrary placement of walls, di Martha Soukup e l’inedito Vinland the dream, di Kim Stanley Robinson.
Artista, non partecipa Whelan, dunque vince Don Maitz.
Opera artistica, vince Dinotopia, di James Gurney.
Bellissima l’idea di base, oltre alle illustrazioni, per me eccezionali, fantastiche, ispirate, geniali, etc….che aspettano a portarlo sul grande schermo?
Fatevi un giro (fantastico) su www.dinotopia.com e sarà come scoprire un mondo nuovo, se ancora non lo conoscete. Se lo conoscete, un ripasso non fa male.
Spettacolo, vince l’Hugo Star Trek: The Next Generation – “Una vita per ricordare”, dunque un prodotto televisivo.
Si riferisce alla quinta stagione di Next Generation, e questo premiato è il 25° e penultimo episodio della stagione. Premetto, non l’ho visto. Apprendo però che questo episodio, per molti, è forse il più bello IN ASSOLUTO della saga Star Trek, di tutte le Generation passate e future. E’ quello dove il capitano Picard sviene sull’Enterprise e si risveglia su un pianeta, con moglie e amico, che lo convincono che quella è la realtà e invece la vita sull’Enterprise è solo un sogno. Il tempo passa e lui invecchia sul pianeta, succedono varie cose, fino al risveglio in plancia, solo 25’ dopo lo svenimento. Non aggiungerei altro, per non esagerare un pieno spoiler, certo che a leggere la storia (su Wiki in inglese) si rimane colpiti dalla ricchezza e dalla poesia della stessa.
Più di tutti saranno rimasti colpiti i partecipanti all’Hugo, visto che non hanno avuto dubbi nel segnalarlo come la migliore cosa dell’anno. Altissimo pure il voto su IMDB, addirittura 9,4.
Foto da IMDB
Gli altri in gara: Aladdin, il Dracula di Coppola, Batman returns e Alien 3.