Parliamo del 1980. Milioni di Calcoli, non operazioni, che è una cosa diversa: a quel tempo i computer volavano a MHz, quindi facevano, letteralmente, milioni di operazioni al secondo, ma quando si parlava di calcoli, beh era un’altra storia. I normali computer di casa eseguivano il calcolo del semplice modello di Mandelbrot in ore, e si trattava di una cosa relativamente semplice, ossia calcolare z_{i+1} = {z_i}^2+c in minuti. Figurarsi quando il calcolo comprendeva operazioni aritmetiche complesse come radici quadrate o matrici o tensori, specie a precisione fissa o arbitraria.
Quel che nessuno, al tempo, poteva prevedere è in quanto tempo si sarebbero raggiunte le capacità elaborative di oggi.
Quindi non trovo così fuori dal mondo che a quel tempo si pensasse al futuro (vago) in questi termini. In realtà la scienza dell’informazione ha fatto un balzo in avanti in modo imprevedibile rispetto tutte, ma proprio tutte, le branche della scienza in tutta la storia del mondo.
Retrospettivamente è facile criticare perché l’internet non l’aveva pensata nessuno, né i cellulari, né l’IoT. Di converso, abbiano sbagliato di molto in tutti gli altri campi: l’intelligenza artificiale non si è evoluta così tanto (se non negli ultimi 5/10 anni, con risultati più eclatanti che altro), le auto volanti di Blade Runner non ci sono, il volo spaziale è al palo, replicanti boh, robot meh, genetica nah.
Insomma, fare critiche in retrospettiva è molto più facile che fare previsioni .
Certamente, ma qua non parliamo di stime ipotetiche fatte da scienziati, basandosi su fatti e supposizioni, bensì parliamo di autori di SF, dove il limite è solo la fantasia.
Asimov immaginò Robot che ancora oggi sono di là da venire, e le tre leggi della robotica sono degli anni '40. Sulla psicostoria, siamo ben che vada agli albori.
Ma che ve lo dico a fare.
HAL è di fatto un super computer, moderno e Odissea nello spazio è del 1968, e non si può negare che sia una intelligenza artificiale (mi sembra che si parli di lui come costruito negli anni '90, tappa obbligata, dato il titolo del film).
Poi chiaro, se vogliamo parlare di sciocchezze immaginate…
Come dici tu giustamente, a posteriori è facile vedere ipotesi tramontate nella realtà.
Ecco, l’esempio di hal è esattamente un esempio perfetto di come sia difficile immaginare il futuro.
Hal che regredisce alla fase di bambino, e inizia a cantilenare una filastrocca. Sicuramente molto notevole dal punto di vista cinematografico, soprattutto per le considerazioni che ne scaturiscono, ma scientificamente ridicolo, alla luce di quel che conosciamo oggi della intelligenza artificiale.
L’errore di non comprendere a fondo la legge di Moore (moooolto semplificando in realtà), mi sembra molto indicativo soltanto della difficoltà di comprendere la complessità dei problemi di tutti i giorni. La capacità di fare calcoli era considerata solo appannaggio di una certa fetta della popolazione, nessuno immaginò la diffusione dei computer in questi termini (noi ne abbiamo almeno un paio a testa… Gli smartphone sono a tutti gli effetti compoter ovviamente), e ricordo che più di qualche autore e scienziato pensava che le risorse di allora fossero sufficienti a risolvere i problemi della maggior parte dei centri ricerca di allora.
Certo non in molti pensavano che l’intelligenza artificiale potesse aiutare la simulazione del folding delle proteine e sintetizzare nuovi farmaci… Ovvero mancava la percezione non tanto di come sarebbe evoluta la tecnologia, ma forse più quali nuovi problemi si sarebbero posti.
Beh, adesso, se uno è così bravo da immaginare esattamente quale sia e cosa comporti una certa innovazione, gli converrebbe fare come quel tale che brevettava le cose non ancora realizzate. Tipo un aereo di linea 100 anni prima. …
1981
Vince l’Hugo per il migliore romanzo questo qua:
Decide diversamente il Nebula, per il quale il migliore romanzo è questo qua:
Chi aveva ragione??
Il romanzo della Vinge sembra dal titolo molto “fantasy”, invece è sicuramente SF (in inglese il titolo è identico). Ci mette 80 pagine buone a rullare sulla pista e a decollare. La pazienza del lettore è premiata? Mah, il volo ha alti e bassi, e poiché è molto lungo, ci sono anche momenti di noia. Spesso la quota è piuttosto bassa: la scrittrice se la cava benino, con lo stile; la storia ha pure spunti piacevoli… ma nell’insieme c’è qualcosa che fa scadere la somma del totale rispetto al singolo valore delle parti. Sarà che è TROPPO lungo, sarà che qua e là c’è sempre una frasetta che non serviva, mah… Nel complesso una lettura un po’ faticosa e che non attrae moltissimo, anche se di veramente brutto alla fine non c’è nulla. Discreto è il termine più giusto: non c’è niente di particolarmente sbagliato o fastidioso, ma neanche nulla che esalti. E pure il finale è troppo lungo. Come dice giustamente il curatore dell’antologia degli Hugo, ricorda un po’ Dune, ma paragonarlo è blasfemo, anche se in mente era venuto anche a me.
Il premio Hugo non ha tenuto in considerazione il vincitore del Nebula, ed ha sbagliato, perché è un filino superiore al vincente dell’Hugo. Con questo romanzo di “Hard SF” di Benford si verifica un fatto strano: il filone principale del racconto è avvincente, ma l’autore se ne allontana spesso, lo emargina in periferia, quasi si sentisse in obbligo di inventarci intorno una storia, dei personaggi, le loro storie, le loro vite. Questo potrebbe anche andare benissimo, se:
- l’autore fosse un bravo narratore; e non lo è (almeno qua), dato che proprio quando si ingegna a scrivere sto “contorno”, la qualità scade;
- avesse almeno qualcosa di interessante da dire in merito alle vite dei protagonisti.
Non so, tutte le storie che esulano dallo spunto principale mi sembrano artificiose e un’inutile divagazione. Mentre quando l’autore torna nel suo ambiente (è pure lui un fisico, e si capisce che conosce bene la vita universitaria e quella dei ricercatori), il libro ne guadagna parecchio. Avrà avuto paura forse di scrivere più un saggio che un romanzo, chissà.
In definitiva due libri premiati che non faranno (e non hanno fatto, direi, soprattutto quello della Vinge) la “storia” della fantascienza, pure avendo entrambi degli spunti di interesse anche notevoli.
Per l’Hugo c’erano anche:Il castello di Lord Valentine, di Silverberg; I costruttori di Ringworld, di Niven; Oltre l’orizzonte azzurro, di Pohl; Nel segno di Titano, di Varley.
Per il Nebula: Oltre l’orizzonte azzurro, di Pohl; Solo il mimo canta al limitar del bosco, alias Futuro in trance, di Tevis; l’inedito The Orphan, di Stallman; L’ombra del torturatore, di Wolfe e La regina delle nevi, della Vinge.
Romanzo breve, anche qua nessuna doppietta. Vince l’Hugo Il Dorsai perduto, di Dickson. Vince il Nebula L’arazzo dell’unicorno, della Charnas.
E qua??
Il libretto di Dickson, se posso permettermi, è un brodetto allungato, stiracchiato, dalle frequenti digressioni sulla psiche dei protagonisti e su cosa c’era a monte delle loro scelte (pochissime scelte, nel libro non accade in pratica nulla). Poteva essere un raccontino breve forse degno di nota, così è un romanzetto dimenticabile e non meritevole di premi.
Fuori tema con la Charnas e il suo vampiro; non è Sf, non è Fantasy, non è neanche horror, che è? Boh, forse un thriller psicologico, ma forse. Non malvagio, leggibile, qua e là gradevole, ma che c’entra?
Due premi decisamente discutibili.
Gli altri per l’Hugo erano Un’ala (seconda parte del libro Il pianeta dei venti), di G. RR Martin e Lisa Tuttle; Dieci piccoli umani, ancora di G. RR Martin; Il bravo piccolo tostapane, di Disch; Tutte le menzogne che sono la mia vita, del caro Ellison.
Gli altri per il Nebula: L’autopsia, di Shea (che l’Hugo considera un racconto); Il bravo piccolo tostapane, di Disch; l’inedito Dangerous games, della Randall; Il Dorsai perduto, di Dickson; l’interminabile titolo (inedito) There beneath the silky-trees and whelmed in deeper gulphs than me, di Davidson.
Racconto: vince l’Hugo Il mantello e il bastone, di Dickson. Vince il Nebula l’inedito The ugly chickens, di Waldrop.
Altra scelta diversa.
Il racconto di Dickson: abbiamo finalmente un racconto bello, che in poche pagine delinea situazioni e avvenimenti di cui il lettore vorrebbe subito sapere ancora. Agile, avvincente, non dà tregua; non è autoconclusivo e questo lascia l’amaro in bocca, ma solo un pochino. Premio meritato, adesso sì.
Per trovare The ugly chickens ho fatto una bella fatica, e mi sarei anche rotto, ma gli inediti in futuro aumenteranno, pazienza. Peccato, perché lo stile di Waldrop, qua, è moderno, divertente; in realtà non siamo nella SF, se non allargando molto tale definizione, e il raccontino, sicuramente inferiore a quello vincitore l’Hugo, ha molta forma ma pochissima sostanza.
Concorrevano per l’Hugo: l’inedito Savage planet, di Longyear; Beatnik bayou, di Varley; l’inedito The lordly ones, di Roberts; L’autopsia, di Shea; l’inedito The ugly chickens, di Waldrop.
Cercarono di vincere il Nebula: Beatnik bayou, di Varley; l’inedito The Feast of St. Janis, di Swanwick; l’inedito Ginungagap, ancora di Swanwick; l’inedito Strata, di Bryant; La stazione di posta, di Stephen King.
Racconto breve: abbiamo l’unica doppietta. Vince Hugo e Nebula La grotta dei cervi danzanti, di Simak.
Doppietta meritata, serve un vecchietto per arrivare a un premio indiscutibile, difficilmente dimenticabile. Ok, forse prende qualcosa da Sidney Jordan, che ricorda terribilmente, ma allora sarebbe da capire chi copia chi, etcc… Comunque, avercene.
Persero per l’Hugo: Nostra signora dei Sauropodi, di Silverberg; l’inedito Spidersong, di Petrey; gli inediti Cold hands e Guardian, entrambi di Duntemann.
Persero per il Nebula: l’inedito Secrets of the Heart, di Grant; A Sunday Visit to Great-Grandfather (ma forse è A Sunday visit with great father, cioè Una domenica in visita al nonno, o giù di lì… mah, questione difficile, forse il secondo titolo inglese è un’invenzione italiana, esiste solo il primo), di Strete; l’inedito The War Beneath the Tree, di Wolfe e Finestra, di Leman.
Artista: vince ancora il grande Michael Whelan.
Spettacolo: si continua alla grande, vince l’Hugo L’Impero colpisce ancora.
Mah, che dire, io lo vidi al cinema, bello era bello, ma secondo me aveva già perso il suo sense of wonder per trasformarsi pian piano in una soap opera. Che il cattivo sia il papà del buono, fa molto telenovela. All’epoca rimasi sconcertato. Eppure mi sento in minoranza, molti invece lo considerano il migliore di tutti e 6 della serie (NB.altro che sei, oramai…). Oscar per gli effetti sonori; premio speciale per gli effetti visivi (immagini da IMDB)
A proposito di Timescape riporto qua il mio post su TF :
Finito finalmente Timescape, devo dire che l’ultimo 100naio di pagine, sono state al 99% Hard FS pura, quindi il romanzo lascia un sapore decisamente diverso, in un certo senso ingannevole, perché il libro nel totale è una lettura a spesso “fastidiosa”.
Nel complesso la parte Hard SF è veramente molto bella, diciamo che almeno capisco cosa hanno premiato al Nebula.
Il problema grosso è quella quantità impressionante di pagine che si occupa dei personaggi e del sociale.
Le prima 150 pagine mi sono parse totalmente inutili, il più delle volte fastidiose.
Sia la società anni 60, che quella fine anni 80 (per il romanzo è il futuro prossimo) mi fanno pensare a qualche tipo di soap, le donne sono tutte stereotipi, belle con corpi perfetti, quasi tutte mogli e casalinghe, viste oggi non hanno nessun senso. Le ho trovate veramente insopportabili, anche i personaggi maschili non sono il massimo e tendono sempre allo stereotipo.
La fantascienza inizia dopo le prima 150 pagine ed decisamente interessante, ma i romanzo procede a fasi alterne fino all’ultima parte dove si concentra totalmente sulla fantascienza ed il risultano è una ottima hard SF.
Nel complesso è un romanzo in cui il voto va diviso, 10 per la parte hard SF, 2 per la parte “umanistica” (società e personaggi).
Il grosso problema sono le proporzioni, la parte scientifica è rada fino alle ultime 100 pagine, inizia a prendere la scena dopo le prime 150, quando si alterna con queste parti “sociali” fino all’ultima parte dove diventa dominante in un ottimo finale.
Credo che almeno un 60% del libro sia da dimenticare/evitare.
Se uno non ha problemi a saltare capitoli interi potrebbe essere un’ottima lettura, per gli altri ci vuole veramente pazienza.
Personalmente mi sono trovato parecchie volte ad arrancare nel mezzo di un capitolo, probabilmente se non leggessi più libri per volta questo sarebbe stato abbandonato.
l’ho iniziato due volte, mai superato le prime 50 pagine.
Pagherai per questo affronto, maledetto miscredente!
Comunque sì, l’impero colpisce ancora lasciava con un sapore amaro in bocca - in effetti, era stato pensato come ponte tra Guerre Stellari e il Ritorno dello Jedi. Ci sarebbe voluto che il terzo fosse proiettato la sera dopo.
Ma te resti un eretico, di quelli da bruciare sulla pira per la mancanza di fede nel vero Lukas, sappilo.
1982
Più qualità al cinema che sui libri, sarebbe quasi da dire.
Vince l’Hugo per il migliore romanzo
Vince il Nebula per il migliore romanzo
A fronte di un cinema che sfornava anno dopo anno capolavori o quasi, i romanzi vincenti sono di un’aurea mediocritas. Anche quelli di quest’anno infatti, non sono memorabili. La vicenda dei ribelli, che avrebbe potuto / dovuto essere qualcosa di epico, si spegne nelle vicende individuali e poco interessanti dei vari protagonisti, con uno schema che ricalca molto le puntate dei telefilm, tanto che tra un capitolo e l’altro mi sarei aspettato qualche consiglio per gli acquisti. Il tutto inoltre si trascina per 500 pagine circa, suscitando momenti di noia e rendendo poco attraente la lettura. Non è proprio il classico mattone (ma poco ci manca), lo stile comunque c’è, ma se devi parlare di nulla per 250 pagine (e poco nelle restanti), o sei Proust, o sei un viatico alla peggiore orchite, non c’è molto da fare al riguardo. Inganna inoltre il titolo italiano, l’originale Downbelow station era più azzeccato, dato che in pratica tutte le quasi 500 pagine ruotano intorno alla stazione orbitante di Pell. Il bel finale non basta a salvare il risultato complessivo, anzi fa rimpiangere il bel libro che avrebbe potuto essere e che non è.
Il vincente il Nebula è il seguito di un fortunato romanzo, L’ombra del torturatore. E leggendo il seguito abbiamo subito la prima pecca: se non si legge prima quello precedente, si fatica, almeno all’inizio, ma spesso anche dopo, a capire cosa sta succedendo: nomi, fatti e avvenimenti che l’autore dà per scontati, non lo sono. Ma il Nebula venne assegnato non all’opera omnia, ma a questo romanzo, e se tale romanzo non è autosufficiente, problemi suoi, io lo giudico “stand alone”. Il mondo di Severian il torturatore è ben tratteggiato nella sua cupezza, mancanza di speranze e abissi di disperazione medievale. Il protagonista l’ho trovato sorprendentemente meschino, pronto a giurare fedeltà a tutti (sovrani e avventurieri) come una banderuola; felice poi di rivedere la sua amata, salvo cornificarla poco dopo. Per il resto…mah, meno lungo di quello che vince l’Hugo, un po’ meno noioso (lampi di interesse ma anche periodi di stanca), ma mica tanto, in realtà non mi ha entusiasmato, anzi, non lo ritengo meritevole di nessun premio (e poi è fantasy), così come non merita quello della Cherryh. Potevano non assegnarli che facevano meglio.
Per l’Hugo, c’erano Wolfe (L’artiglio del Conciliatore), Julian May (La terra dai molti colori), Simak (Il Papa definitivo) e Crowley (l’inedito Little, Big).
Per il Nebula, l’inedito Little, Big di John Crowley; La terra dai molti colori, di Julian May; l’inedito Radix, di Attanasio; l’inedito Riddley Walker, di Hoban e L’arazzo del vampiro, di Suzy McKee Charnas.
Romanzo breve, bella doppietta. Vince sia Hugo che Nebula Il gioco di Saturno, di Poul Anderson.
Il romanzo di Anderson è solido, ben scritto, richiama lo straniamento causato, talvolta, dai giochi di ruolo (certamente, in questo caso), molto moderno in ciò, ricordando la perdita di realtà che a volte viene denunciata ancora oggi, demonizzando ad esempio i videogames. Classico romanzo breve e bello, senza pecche, non un capolavoro ma degno sicuramente di essere ricordato. Si legge benissimo ancora oggi e doppietta meritata.
Per l’Hugo c’erano Eisenstein (l’inedito In the Western Tradition), Varley (Blue Champagne), la Wilhelm (Divoratori di morte), Vernor Vinge (Il vero nome) e Palmer (l’inedito Emergence). Per il Nebula, l’inedito Amnesia, di Jack Dann; l’inedito In the Western Tradition, di Phyllis Eisenstein; l’inedito Swarmer, di Gregory Benford; Il vero nome, di Vernor Vinge e l’inedito The Winter Beach, di Kate Wilhelm.
Racconto, vince l’Hugo La variante dell’unicorno, di Roger Zelazny. Vince il Nebula invece The Quickening, di Michael Bishop.
Chi era meglio?
Il racconto di Zelazny è una figata, sarà che ho un debole per tale autore, ma mi ha divertito un sacco. Diciamo che per certo nessuno mai aveva tratteggiato così unicorni, grifoni e company. Simpatico, agile, allegro, divertente, un racconto che magari non pretende molto ma rimane impresso. Avercene, non ce n’è mai abbastanza.
Per quello di Bishop non c’è speranza, nel confronto. L’inizio è folgorante, tuttavia, anche se debitore all’influenza di Farmer.
Il protagonista, come il resto dell’umanità, si risveglia in un posto completamente diverso da casa. Lui, americano, si sveglia a Siviglia. Che è una babele in preda al panico, dove nessuno parla la lingua altrui e tutti sono terrorizzati dall’evento.
Poi però il racconto prosegue maluccio, con l’apatia dei vari protagonisti e una situazione finale assurda e un po’ stupidina.
Inoltre, l’autore avrà capito che se uno dorme in USA, qua magari è già giorno? Mah.
Lottarono per l’Hugo l’inedito Guardians, di George R. R. Martin; l’inedito The Thermals of August, di Edward Bryant, l’inedito The Fire When It Comes, di Parke Godwin e l’inedito The Quickening, di Michael Bishop.
Persero per il Nebula l’inedito The fire when it comes, di Godwin; Quintana Roo, di James Tiptree, Jr.; Mummer Kiss (che dovrebbe essere ne Il tempo dei mutanti), di Michael Swanwick; l’inedito Sea Changeling, di Mildred Downey Broxon e l’inedito The Thermals of August, di Bryant.
Racconto breve, vince l’Hugo Lo spacciatore, di John Varley. Per il Nebula, di fatto non vince nessuno, se vogliamo vince Lisa Tuttle, con l’inedito The bone flute (premio rifiutato).
Il raccontino di Varley, pure ben scritto, non merita di essere ricordato, se non come uno spunto abbastanza interessante e poco altro. Quello della Tuttle, inedito, non l’ho trovato.
Ma perché Lisa Tuttle rifiutò il premio? Dopo varie ricerche ho capito che andò più o meno così. Lei aveva già comunicato a suo tempo ai tipi del Nebula che si ritirava dalla competizione, per protesta su come venivano condotte le cose. Ad esempio, non tutte le opere candidate venivano lette da tutti i giurati; i voti magari erano spinti qua e là da autori ed editori (tipo l’Oscar, oggi io voto te, domani tu voti me), diceva lei. Tre settimane prima del convegno, le telefonano dicendo che ha vinto. Ovvio che lei ribadì: “Ma siete matti? Mi ero ritirata!” e dopo: “Vabbè, fate come vi pare, io lo rifiuto e non sarò lì alla serata”. Le dissero che ok, avrebbero detto che il premio veniva rifiutato e spiegato il perché (gestiva la cosa Charles Grant). Invece il premio fu ritirato da altri in sua vece (senza accennare che era stato rifiutato!!), altro che spiegare le ragioni! E comunque lei alla fine lo rifiutò, punto.
Gli altri per l’Hugo: l’inedito The Woman the Unicorn Loved, di Gene Wolfe, l’inedito Absent Thee from Felicity Awhile…, di Somtow Sucharitkul e l’inedito The Quiet, di George Florance-Guthridge.
Gli altri per il Nebula: l’inedito Disciples, di Gardner Dozois; Crociera sul Titanic 2000, di Jack Dann; Johnny Mnemonico, di William Gibson; Lo spacciatore, di Varley; l’inedito The Quiet, di Florance-Guthridge; Venezia affogata, di Kim Stanley Robinson e l’inedito Zeke, di Timothy R. Sullivan.
Artista: ci ha preso gusto e vince ancora Michael Whelan.
Spettacolo: altro super classico, vince l’Hugo I predatori dell’arca perduta.
Visto al cinema quando ero ancora teenager, mi aveva entusiasmato. E in effetti ancora oggi tiene botta, coi vari seguiti. Era il momento d’oro di Harrison Ford, allora 39enne (ma possibile? Sì, ho ricontrollato), assoluto mattatore del film diretto da Spielberg. 4 Oscar minori, tra cui quello per gli effetti. Ce ne sarebbe da scrivere per ore, basta un salto su Wiki e già ci sono un sacco di aneddoti. Da Indiana, nome derivato da un cane (nella realtà, quando pensarono a come chiamarlo, e nel film viene riportato), a “Jones” (“Chiamalo Indiana Smith, Indiana Jones, come cavolo vuoi…”), a Tom Selleck che avrebbe potuto essere il protagonista (è quasi coetaneo di Harrison), ai molti errori storici e nel girato, etc…
Immagini da IMDB.
È il problema fondamentale della serie, altrimenti capolavoro assoluto. È esattamente il contrario di quello che uno si attende dal Fantasy classico, niente combattimenti, poche reminescenze medioevali, niente epicità, niente minaccia malvagia, gli intrighi politic sono una cosa molto distaccata e lambiccata, niente magia.
E più avanti di scoprirà che non è neppure un fantasy e quello che abbiamo letto ha una interpretazione differente.
Da solo è illeggibile ma in sequenza si entra nella testa di un sovrano che ricorda il passato, che non dice tutta la verità quando ci racconta le.cose, tipo che ha poteri sovraumani e non lo fa notare troppo, che tutto quello che vediamo in realtà è diverso da come ci viene fatto intendere. È un gioco in maschera che sembra banale finché non comprendi cosa si muove dietro le quinte ma nessuno viene incontro al lettore.
Se piace Tolkien è spazzatura se piace Pynchon è un capolavoro.
Anch’io. Peccato abbia tirato la saga del ciclo di Ambra un po’ troppo a lungo.
1983
Meglio il cinema dei romanzi, al tempo, ma lagnarsi non serve a nulla.
Vince l’Hugo per il migliore romanzo
Decide diversamente il Nebula, che dà il premio per il migliore romanzo a
Diavolo di un Isacco. Mi ricordo quando diceva che non aveva senso scrivere ancora qualcosa sulla Trilogia (della Fondazione), vecchia oramai di 30 anni (nell’83). In realtà, date le pressanti richieste, all’inizio degli anni ’70 aveva provato a mettersi davanti al foglio bianco, ma niente, non gli veniva in mente nulla.
Pertanto, chi pensava poi…che Asimov, dopo altri 10 anni, avrebbe invece prodotto questo libro inizialmente gustosissimo, scritto molto bene, fluido, avvincente? Ricco di dialoghi, spesso intelligenti, e dunque di facile lettura. Quanto detto è valido fino al finale, cioè fino alle ultime 60-70 pg. Finale invece debole, con un colpo di scena super prevedibile; Isacco si incarta, si dilunga, si incastra, lo stile si fa ridondante, prolisso; il finale stesso, come tema, non è molto convincente. Qualcosa non va, ma vabbè, comunque nel complesso l’opera non è malvagia, ma speravo meglio. Ah sì… azione, zero. E pure alieni, zero (non che siano pecche, ma uomo avvertito…). Il fatto è che tanta è stata l’attesa che la vittoria di Asimov, all’Hugo almeno, era scontata, datol’entusiasmo.
Il Nebula a sorpresa premia Bishop e Il tempo è il solo nemico. Il Michael scrive proprio bene, complimenti. E il risultato è una lieta sorpresa, per me almeno. Tolta qualche pecca (a inizio di ogni capitolo si salta di palo in frasca, rispetto al precedente, e alla lunga questo è un po’ faticoso), rimane un’opera decisamente buona, piena di garbo, humour, temi interessanti. Non so come mai questa opera nel tempo non sia diventata un piccolo classico, perché ne aveva le possibilità. Premio meritato, classico libro da 7,5 o magari anche 8, lo preferisco a quello di Isacco.
Persero per l’Hugo: L’orgoglio di Chanur, della Cherryh; 2010: Odissea due, di Clarke; Operazione domani, di Heinlein; Geta, di Kingsbury e La spada del Littore, di Wolfe.
Persero per il Nebula: il buon Isacco, con L’orlo della Fondazione; Operazione domani, di Heinlein; La primavera di Helliconia, di Brian Aldiss; La spada del Littore, di Gene Wolfe e La trasmigrazione di Timothy Archer, di Dick.
Romanzo breve: vince l’Hugo Anime della Joanna Russ. Vince il Nebula l’inedito Another orphan, di John Kessel.
La Joanna azzecca più o meno tutto in questo romanzetto: personaggi, tema affascinante e curioso, dialoghi avvincenti, punto di vista di chi racconta; non esagera neanche con il suo femminismo da battaglia. Uno spaccato di Medioevo che è difficile da dimenticare, premio strameritato e complimenti, pure.
Feci fatica a recuperare l’inedito del Nebula. Che dire? Beh, diciamo che ritengo ancora l’opera della Russ superiore, eppure, questo Another orphan non sfigura.
In breve, è la storia di un tizio di Chicago che, una mattina, si risveglia sulla nave del capitano Achab, che è a caccia di Moby Dick. Tutti si rivolgono a lui come se lo conoscessero da sempre, come se fosse uno dei tanti marinai; mentre lui, consapevole di vari film e racconti di SF, cerca di trovare una spiegazione plausibile e razionale.
Inoltre è un filino preoccupato, perchè sa che alla fine del libro non sopravvive nessuno, se non Ismaele.
Stile buono, romanzetto abbastanza avvincente, con quelche pausa, finale un po’ minore, ma insomma, a sorpresa, con un premio non ruba nulla, ci può stare, via.
Per l’Hugo c’erano L’uomo del giorno dopo, di David Brin; l’inedito Unsound Variations, di George R. R. Martin; l’inedito Brainchild, di Joseph H. Delaney; Emma Veil 2248 d.C., di Kim Stanley Robinson (che dovrebbe essere nel libro Icehenge); l’inedito Another Orphan, di John Kessel.
Per il Nebula: l’inedito Horrible Imaginings, di Fritz Leiber; Luna di ghiaccio, di Brad Linaweaver; Anime, di Joanna Russ; l’inedito Unsound Variations, di George R. R. Martin.
Racconto: ecco la doppietta. Vince Hugo e Nebula Squadra antincendio, della Connie Willis.
Il bis vincente ha il torto di essere un po’ demodè e quando cita qualcosa che accadrà nel suo futuro, non essendo poi né avvenuto ma neanche alla lontana, pesa un po’ e ne inficia la lettura ai nostri giorni.
Per il resto non è poi male, si fa leggere con interesse, magari non sorprende come vorrebbe, anzi, però dai, non un premio regalato.
I perdenti l’Hugo: l’inedito Nightlife, di Phyllis Eisenstein; l’inedito Pawn’s Gambit, di Timothy Zahn; Aquila, di Somtow Sucharitkul e Swarm, di Bruce Sterling.
Quelli del Nebula: La notte che bruciammo Chrome, di William Gibson; l’inedito The Mystery of the Young Gentleman, di Joanna Russ; Miti del futuro prossimo, di J. G. Ballard; Swarm, di Bruce Sterling e l’inedito Understanding Human Behavior, di Thomas M. Disch.
Racconto breve: l’Hugo va a Elefanti malinconici, di Spider Robinson. Il Nebula va a Una lettera dai Cleary, di Connie Willis.
Robinson ha un’idea intelligente, e giusta, direi, che esprime mediante questo breve raccontino, che fa la sua porca figura.
Inferiore direi quella della Connie, che risente molto del clima della guerra fredda (sì, è l’ennesimo racconto del dopobomba): scritto bene, però infastidisce al giorno d’oggi ed è terribilmente datato.
Per l’Hugo c’erano: Sur, di Ursula K. Le Guin; l’inedito The Boy Who Waterskied to Forever, di James Tiptree, Jr.; Spider Rose, di Bruce Sterling e l’inedito Ike at the Mike, di Howard Waldrop.
Per il Nebula: Meandri, di Barry N. Malzberg; l’inedito God’s Hooks, di Howard Waldrop; l’inedito High Steel, di Jack C. Haldeman; Petra, di Greg Bear e Il Papa degli scimpanzè, di Robert Silverberg.
Artista: momento d’oro per Michael Whelan, ennesimo Hugo.
Spettacolo: come detto, non ci poteva lamentare, vince l’Hugo l’ennesimo super classico, Blade runner.
E tra gli sconfitti…E.T, per dire, oltre a Interceptor – Il guerriero della strada, per dire ancora.
Di Blade runner, che dire, lo vidi al tempo al cinema, uscendo ebbro di gioia. Non era calato negli orrendi anni ’80 (per la moda), ma in una città (casualmente Los Angeles 2019) senza tempo, nel futuro prossimo ma potrebbe essere pure tra 100 o 200 anni.
Il regista era Ridley Scott, il suo film precedente si chiamava Alien, una doppietta da urlo; Harrison Ford era sui 40, tutti l’avevano notato con Guerre Stellari (e Indiana Jones), ma non era un attore famoso, prima di questi colossi, – se qualcuno ha buona memoria compare anche in Apocalypse now – ma poi la fama con la tripletta in due anni L’impero colpisce ancora, I predatori dell’arca perduta e appunto Blade runner, e a quel punto lo conoscevano anche i sassi. Lei è Sean Young, quasi all’esordio, sui 23 anni, bella bella ma non destinata a tale fama, anzi, oggi penso non la conosca nessuno (poi ha fatto tanta tv).
Il capo dei “cattivi” era il bravo Rutger Hauer, che non si direbbe, era un paio di anni più giovane di Ford, all’epoca era quasi sconosciuto, ma poi farà subito dopo Ladyhawke e The Hitcher, tra gli altri. Infine come non ricordare una splendida Daryl Hannah, anche lei quasi all’esordio (e anche lei sui 22 anni) e anche lei destinata a larga fama con Una sirena a Manhattan, poi tanti filmacci, un rapido oblio, con la felice interruzione per Kill Bill.
Il film non aveva effetti al computer, ma solo bravura artigianale. Un paio di nomination agli Oscar, un mezzo flop al botteghino (la gente voleva ET, Guerre stellari, non questa SF), un grande successo in Europa, dove trovava un pubblico forse più maturo, o più affine a certe tematiche, oggi un indiscutibile cult movie. Diverte il fatto che in Usa la critica lo bastonò, tutta gente da mandare a scopare il mare.
Per la parte del protagonista si pensò a lungo a Dustin Hoffman (???), ma tutto il casting fu complicato e poco convinto, come il rapporto tra il regista e Harrison Ford.
Immagini da Imdb
L’uomo del giorno dopo mi è piaciuto moltissimo: come un simbolo può riunire un intero popolo.
Blade runner??? ( visto un centinaio di volte, preferisco la versione narrante. Letto qualsiasi cosa inerente il film).
Il titolo della novella è To Leave A Mark.
vedi 1983 Hugo Awards | The Hugo Awards
Emma Veil 2248 d.C. è il titolo della prima parte di Icehenge (romanzo splendido), ed è leggermente diversa dalla novella originale.
Guarda di essere più preciso che mi hai fatto perdere mezz’ora a cercare di capire da dove era uscito il titolo