Premi Hugo e Nebula

Essendo uno di quei film che trasmettono di solito di notte quella parte in genere me la risparmio. Crollo prima. :grin:

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1995

Al tempo, sul sito il cui Forum è ora irraggiungibile ma che presto tornerà online, facevo il punto su Nebula e Hugo. Ricordavo che il Nebula 1994 si può paragonare all’Hugo 1995: entrambi vennero infatti decisi nel 1995, più esattamente a New York ad aprile (Nebula) e in agosto in Scozia (Hugo).
Inoltre citavo un completo e divertente reportage sulla convention per l’Hugo, ritrovabile qua

nel quale ci si stupisce dell’indifferenza degli autori anglofoni verso i fan dell’Est, della spropositata percentuale di obesi presenti e delle belle ragazze europee piacevolmente presenti. Pare non sia stata una Convention particolarmente ben organizzata, a leggere i commenti di altri autori. Qualcuno andò pure a vedersi il film Galaxis, proiettato in anteprima, faticando poi a ricordare un film più brutto di quello (deve essere una porcheria con Brigitte Nielsen, su IMDB ha un chiaro voto di 3,6); al solito c’erano una montagna di proposte e riunioni, impossibili da seguire tutte, e su tantissimi temi diversi. Interessante quella dal titolo “La crescita tecnologica significa genocidio per gli indigeni?”, o anche quella “Perché si pubblicano così tante porcherie?”.

Ma bando alla ciance!!

Vince l’Hugo per il migliore romanzo

Vince invece il Nebula per il migliore romanzo

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Il libro vincente della Bujold, ovvero Mirror dance, è sì uscito a suo tempo in Italia (una sola volta, nel 1995), ma ora è molto difficile da reperire. Qualche tentativo si può fare su Ebay, dove non sempre si trova (anzi) e, se c’è, raggiunge velocemente cifre vergognose. E pertanto alla fine l’ho letto in straniero, cioè in originale. NB: oggi direi che è facilmente ritrovabile in Urania Collezione.
Torna vincente la saga di Miles Vorkosigan, e sono passati solo 3 anni dall’ultimo romanzo premiato. Ci sono personaggi nuovi, pure un clone, sono successe nel frattempo varie vicende…ma rimane sempre la stessa fluidità di lettura, il divertimento nel leggere questi libri, i carismatici protagonisti. Questa saga rimane un piacere, qua sono 600 e rotte pagine che si leggono in scioltezza, anche perché c’è un continuo sottofondo di sottile ironia, che appare qua e là, anche inaspettatamente, come se l’autrice un po’ giocasse e un po’ scherzasse coi suoi protagonisti (a cui comunque fa passare dei gran brutti quarti d’ora). L’opera è un crescendo di interesse, finchè questo si fa scandalosamente esagerato, una sensazione familiare che ti costringe a continuare a leggere o a smettere a malincuore. L’autrice, non sarò il solo a pensarlo, ha un grande talento narrativo, addirittura magnifico nei dialoghi. Magari il tutto non è sofisticatissimo e potrebbe essere soggetto a “critiche”. La Bujold ha uno stile troppo semplice? Non riempie le righe di interminabili e superflue descrizioni noiosissime? Non fa sfoggio di ricercata cultura fine a sé stessa? Non segna una svolta con le sue opere, stando invece sui binari della più consolidata tradizione? Ma avercene! Direi anzi che tra tutti i romanzi premiati della saga (e che dunque ho letto), questo è il più maturo. Premio molto meritato, come voto direi più sul 9 che sull’8.

Con il vincitore del Nebula si torna ancora su Marte, allora molto in voga. Qua la colonizzazione è cosa fatta, e come insegna la Storia, le colonie alla fine vogliono l’indipendenza. E la Nazione “madre” non vuole mai darla. Anzi, qua farà un terribile attacco preventivo, pure. L’opera si può definire come “onesta”: non mediocre, non un capolavoro. Sembra scritta da una donna, non solo perché è scritta in prima persona singolare, e la protagonista è una ragazza, ma anche per le osservazioni che si trovano qua e là. Mah, confidando nell’onestà intellettuale di Bear, un piccolo dubbio comunque rimane. Il libro sconta un’eccessiva lunghezza (500 pg circa) che diluisce forse un po’ troppo le avventure e le emozioni che presenta (tranne che nel finale, avvincente); una piccola sforbiciata (un centinaio di pagine, mica molte) sarebbe stata probabilmente giustificata. Peraltro non annoia quasi mai; ripeterei che è un libro in media con le buone produzioni, anzi forse anche qualcosa in più: si legge con buon interesse e premiarlo non scandalizza. E’ comunque nettamente inferiore al vincente l’Hugo di quest’anno, anche se molto meglio del vincente l’Hugo nell’edizione scorsa, dove arrivò (ingiustamente, a questo punto) secondo.

Sconfitti. Per l’Hugo Sistema virtuale XV (irriconoscibile dal titolo originale, Mother of storms), di John Barnes; Mendicanti e superuomini, della Nancy Kress; Fragili stagioni, di Michael Bishop (alla decima nomination e zero vittorie, allora) e L’ultimo viaggio di Dio, di James Morrow. Non eleggibile La parabola del seminatore, della Octavia E. Butler, perché del ’93.
Per il Nebula, La parabola del seminatore, della Octavia E. Butler; Concerto per archi e canguro (ma anche il titolo originale era forte, Gun, with occasional music), di Jonathan Lethem; L’ultimo viaggio di Dio, di James Morrow; l’inedito Temporary agency, di Rachel Pollack; l’inedito Green Mars, di Kim Stanley Robinson (vincente l’Hugo nella scorsa edizione, ora invece uscito anche in Italia) e l’inedito A night in the lonesome october, di Roger Zelazny.

Romanzi brevi. Doppietta, vince Nell’abisso di Olduvai , di Mike Resnick.
Romanzo veramente breve. L’Olduvai del titolo è la località africana dove è stata scoperta una serie impressionante di reperti che risalgono ai nostri antenati, ma anche ai loro antenati, habilis e quant’altro. E’ una valle ripida e stratificata, lunga varie decine di km, un paradiso per gli studiosi. Il titolo originale, Seven views of Olduvai Gorge, sette vedute di questo sito, era forse più efficace. Narra di una spedizione scientifica aliena, millenni dopo la totale estinzione dell’uomo, sia dalla Terra che nei milioni di mondi che aveva colonizzato. Uno di questi alieni entra in contatto con i reperti, li “assimila” e può sapere esattamente a cosa sono legati. Il primo reperto, ad esempio, una punta di lancia, è legato alla nostra preistoria, quando, con un vertiginoso flashback, l’autore descrive l’arrivo di alcuni alieni in zona, i quali notano queste strane scimmie senza coda. Non faranno una bella fine, a sottovalutarli. Seguono poi altri reperti e altri ricordi, legati a Olduvai e a un totale di 7 episodi in vari periodi, durante lo schiavismo nell’800, l’imperialismo nel ‘900, un safari nel 2103 (ma tutti gli animali selvatici del mondo sono quasi estinti), l’utilizzo nel futuro della Gola come discarica nucleare abusiva, la zona invivibile, di conseguenza, alcuni secoli dopo, e il colpo di scena finale che non svelo; sempre raccontati con ottimo stile e un briciolo di ironia (e un pizzico di polemica), e sempre dal punto di vista di un protagonista di allora, oramai polvere e dimenticato. Il tutto scritto come una specie di grande fiaba africana (ma non per bambini!). Un gran bel romanzo, assolutamente meritevole della doppietta ottenuta. E bravo il Resnick!

Persero: per l’Hugo l’inedito Les fleurs du mal, di Brian Stableford; Il giorno del perdono, di Ursula K. Le Guin; Cri de coeur (omonimo), di Michael Bishop e l’inedito Melodies of the heart, di Michael F. Flynn.
Per il Nebula: l’inedito Mefisto in onyx, di Harlan Ellison; l’inedito Haunted humans, di Nina Kiriki Hoffman; Il giorno del perdono, di Ursula K. Le Guin; l’inedito Fan, di Geoff Ryman e Freddo ferro, cuore d’acciaio, di Michael Swanwick.

Racconto. Altra doppietta, vince Il bambino marziano , di David Gerrold.
Questo racconto vincente la doppietta ha in realtà solo un’ombra di SF (o un sospetto, chi l’ha letto mi capirà); è un buon racconto, magari qua e là pure un po’ furbetto, ma in alcuni punti è anche toccante. Merita il bis – premio? Ma sì, dai, perché è scritto bene, parte bene, parla al lettore e tocca temi universali. Certo il finale, come dice lo stesso autore, non è fortissimo; autore che chiede infine al bambino “marziano” (suo figlio adottivo) di desiderare, per il papà, il premio Hugo….e anche questo desiderio, come altri nel racconto, nella realtà si è verificato. E mi sa che la giuria l’ha premiato anche per chiudere il cerchio. Per questo definisco un po’ furbetta questa opera, che comunque merita.
Il racconto è largamente autobiografico, nella realtà Gerrold ha realmente adottato un bambino, pure essendo lui single e dichiaratamente gay (per sua fortuna, non è italiano). Questo racconto potrebbe anche essere, se vogliamo, un modo per fare capire agli ottusi di mente (li chiamerò così, per polemica) quanto sterminato amore può dare un uomo a un bambino, e che per questo nulla contano le sue preferenze sessuali. Ma parlo per nulla, se non per i lettori italiani del 2250, a essere ottimisti.
Dal racconto è poi stato tratto un film The Martian Child, con John Cusack.

Persero l’Hugo Nel suo bozzolo, di Greg Egan; l’inedito A little knowledge, di Mike Resnick; l’inedito Solitude, di Ursula K. Le Guin; Le singolari abitudini delle vespe (alias Lo strano comportamento delle vespe), di Geoffrey A. Landis e l’inedito The Matter of Seggri, ancora di Ursula K. Le Guin.
Persero il Nebula l’inedito Necronauts, di Terry Bisson (uscito in Usa su Playboy, luglio ‘93); l’inedito The skeleton key, di Nina Kiriki Hoffman; Le singolari abitudini delle vespe (alias Lo strano comportamento delle vespe), di Geoffrey A. Landis; l’inedito The matter of Seggri, di Ursula K. Le Guin e l’inedito Nekropolis, di Maureen McHugh.

Racconto breve. Vince l’Hugo Nessuno è così cieco., di Joe Haldeman. Vince il Nebula l’inedito A defense of the social contracts, della Martha Soukup.
Haldeman vince con un raccontino nella norma, nulla di indimenticabile e incantevole, a premiarlo sono stati di manica (molto?) larga.
Quella della Soukup, inedito, non sono riuscito e reperirlo, e con questo erano 4 i Nebula che mi mancavano, al tempo (Hugo, invece, letti tutti).

I perdenti furono, per l’Hugo l’inedito I know what you’re thinking, di Kate Wilhelm; l’inedito Barnaby in exile, di Mike Resnick; l’inedito Dead man’s curve, di Terry Bisson; Accettare l’entropia, di Barry N. Malzberg e l’inedito Mrs. Lincoln’s China, di M. Shayne Bell.
Per il Nebula, l’inedito Inspiration, di Ben Bova; Nessuno è così cieco, di Joe Haldeman; Accettare l’entropia, di Barry N. Malzberg; l’inedito I know what you’re thinking, di Kate Wilhelm e l’inedito Virtual love, di Maureen McHugh.

Artista, torna a vincere Jim Burns.

Migliore lavoro artistico, vince Lady Cottington’s Pressed Fairy Book, di Brian Froud eTerry Jones.
Non conoscevo questa opera, illustrata alla grandissima da Brian Froud e ideata e scritta dal Monty Python Terry Jones. In pratica nessuno crede a una bambina, che vede le fate. E allora lei che fa? Le schiaccia nel suo libro, un po’ come si terrebbero delle foglie! Ma è terribile!! Ma pure è geniale.

Spettacolo: anno minore, forse.anno scalognato, con poco o nulla che si eleva tra i capolavori o anche lì vicino.
Comunque, vince un telefilm, e precisamente l’ultimo episodio di Star Trek: The Next Generation, il 178°, dopo 7 stagioni, dal titolo “Ieri, oggi, domani” (All good things…, in originale) e che chiudeva definitivamente la serie. Episodio di durata doppia, fu giudicato da Entertainment Weekly come il quinto migliore di tutto il ciclo. Il comandante Picard si ritrova a viaggiare senza preavviso nel suo passato e nel suo futuro. Il colpevole è quel birichino di Q, con tanto di anomalie potenzialmente distruttive e test di dubbio gusto. Mah, l’episodio non l’ho visto (ma nulla di quella serie, pure), in realtà pure il voto IMDB di 9,1 testimonierebbe invece che meritava. Immagini da IMDB.

Tra gli sconfitti The mask e Stargate.

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Magari avessero chiuso davvero là. :grin:

Dal racconto è poi stato tratto un film The Martian Child, con John Cusack.

Ah, sì, carino.

Il racconto di Joe Haldeman me lo ricordo molto buono anche se lo lessi una trentina di anni fa.
Il racconto di Ellison mi manca e ci sono parecchi titoli che stuzzicano, devo dire, a guardare le edizioni passate
Ah Resnik penso abbia dato il meglio di sé con le sue storie “africane”, con un bel po’ di domande profonde ed interessanti.

Passi per stargate, ma the Mask è molto meglio di qualsiasi StarSpeck!

:yoda:

1996

Vennero premiati due romanzi che magari non sono i primi che vengono in mente, ma che non sono da sottovalutare.

Vince l’Hugo per il migliore romanzo

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Vince invece il Nebula per il migliore romanzo

Il libro vincente l’Hugo assomiglia inizialmente un po’ al Tutti a Zanzibar di anni prima, per il modo in cui il lettore viene immediatamente fatto calare in una realtà futura, e per la similare costruzione a capitoli. Tale costruzione qua è esasperata: i mini capitoli si succedono rapidamente, ognuno con poche pagine (anche una o due) e con il suo titolo riassuntivo (e spesso un po’ ironico). Alla fine di ognuno, l’attenzione si sposta sulle vicende di altri protagonisti. Questo saltare continuamente di palo in frasca è faticoso e pure un po’ spiazzante, almeno per le prime 100 pagine, diciamo, finchè cioè la storia non decolla. Un breve cenno alla trama: viene prodotto un libro per educare giovani bambine, ma in realtà è un manufatto di ingegneria di altissimo livello. Nelle mani delle ragazzine, durante gli anni, insegnerà loro… tutto, direi: leggere, scrivere, fino all’informatica e alle arti marziali, mediante fiabe raccontate a voce, filmati, storie, esercizi, etc… Le vicende, ambientate per lo più in Cina, ruotano in definitiva attorno a questo e alle persone implicate nella cosa, in maniere molto diverse.
Pure, è scritto bene, e il continuo sottofondo di ironia è apprezzabile. Arrivi a pg. 300 (su 429 dell’edizione italiana) e ti accorgi che a) sei oramai calato in un mondo parallelo, reale e realistico (dove imperversa la nanotecnologia), e ti sei appassionato alle vicende dei protagonisti; b) che tali vicende, dopo 300 pg, potrebbero essere riassunte tutte in una paginetta. Non succede molto, per usare un eufemismo; pure, la cosa non pesa necessariamente. Si arriva in seguito a un finale onesto. Direi un’opera buona, sicuramente non un capolavoro, sicuramente non fondamentale, ma insomma apprezzabile. Siamo su un livello decente ma non eccellente; pesa in senso negativo la fortissima frammentazione del narrare, che forse è pure un po’ troppo fine a sé stessa. Parametrando, direi un 7 abbondante, anche un 7,5 ma di sicuro non un 8. Un pizzico di delusione, forse, perché poteva avere uno svolgimento migliore. Occhio alla quarta di copertina, un gigantesco spoilerone che per fortuna non ho letto prima di leggere il libro. In definitiva, un’immersione di cyberpunk più che discreta. Magari una delusione se uno aveva letto prima Snow crash, dello stesso autore, ma io non l’ho letto, e magari non avevo chissà che aspettativa e forse l’ho apprezzato di più.
Guardando al vincente il Nebula, l’edizione italiana di Killer on-line riporta una bella fascetta cattura – attenzione, con un evidente errore, millantando il premio Nebula 1996 (il solito casino, insomma, perchè ha appena vinto il Nebula 1995). Stile di scrittura elementare ed agile, per un libro che cattura molto bene l’attenzione, ricco di dialoghi che facilitano la lettura. Ti trovi a pagina 100 in un lampo. Le vicende hanno uno sfondo meno “epico” o grandioso del vincente l’Hugo, qui si ha solo ha una visione limitata alle vicende quasi personali, anche se poi le invenzioni del protagonista cambiano per sempre il mondo, nel romanzo. Ho trovato notevole la capacità di approfondimento psicologico da parte dell’autore. I ragionamenti e i pensieri del protagonista sono a mio parere giusti e realistici.
Il libro era uscito in USA a capitoli, sotto il titolo La scelta di Hobson; poi pubblicato per intero col titolo The terminal experiment, fino ad arrivare qua da noi con il titolo italiano “finto inglese” e un po’ grezzotto (come la pessima copertina) di Killer on-line. In breve, racconta di questo ingegnere medico (lo definirei così) che non solo costruisce una macchina con cui vedrà, letteralmente, uscire l’anima dal corpo, provandone così scientificamente l’esistenza, ma pure una tripla copia virtuale di sé (una di controllo, una puro spirito, una pura materia), copie che gli daranno bei grattacapi gironzolando sulla grande Rete.
Il libro è ambientato nel 2011, anche se pubblicato nel 1995. Illustra direi molto bene la nostra società, ci azzecca su molte cose (es. delle specie di Kindle, che qua sono dei lettori portatili di giornali e libri), su altre sbaglia, per fortuna (Stephen Hawking è dato per già morto nel 2011, in California non c’è stato nessun terremoto con 200 mila morti), ma su una mi è venuto un colpo, quando dà notizia di sua Santità il papa Benedetto XVI!!! Pagina 219 per chi non ci crede, certo che una simile previsione ha un che di INCREDIBILE. Azzeccare il nome del papa con 15-16 anni di anticipo… penso che i bookmaker l’avrebbero pagata proprio bene, sta cosa!
Alla fine il libro mi è piaciuto parecchio, anche per la sua estrema fluidità, che rende la lettura una pacchia (mentre la lettura di L’era del diamante è un po’ ostica). Io addirittura lo preferirei al vincente l’Hugo, ma è molto una questione di gusti. Qua sì darei un 8 .
In definitiva due libri vincenti che al tempo non conoscevo e che si difendono bene.

Solito elenco sconfitti; Hugo: L’incognita tempo (alias Il secondo viaggio), di Stephen Baxter; Il pianeta proibito, di David Brin, Killer on–line, di Robert J. Sawyer e Strani occhi, di Connie Willis.
Nebula: Sistema virtuale XV, di John Barnes; Mendicanti e superuomini, di Nancy Kress (questi due romanzi erano in gara lo scorso anno per l’Hugo); l’inedito Celestis, di Paul Park; Metropolitan (titolo analogo in inglese), di Walter Jon Williams e l’inedito Calde of the Long Sun, di Gene Wolfe.

Romanzo breve, vince l’Hugo La morte di Capitan Futuro , di Allen Steele. Vince il Nebula l’inedito Last Summer at Mars Hill, della Elizabeth Hand.

Capitan Futuro è in realtà un personaggio degli anni ’40 inventato dallo scrittore Hamilton. Questo capitano era il classico eroe buono, giusto, che sconfiggeva immancabilmente i cattivi, e andava a zonzo per il sistema solare. Tutto molto ingenuo e tipico di una SF che fu. Onestamente di quel Capitan Futuro non ho mai letto nulla, a differenza del capitano del romanzo, che si fa chiamare così (non è mica lui redivivo) e crede / spera di vivere le avventure del suo eroe preferito. Il vero protagonista però non è lui, ma l’ufficiale in seconda, ovviamente sbigottito dalla “mania” del suo comandante. So che a molti non è piaciuta, questa opera, ma l’ho trovata divertente e ben scritta, con il disincanto del protagonista, molto terra – terra, che fa da contrasto alle visioni e mattane del presunto autonominatosi Capitan Futuro. Non svelo come va a finire, anche se poi il titolo è già un mezzo spoiler. Per quanto mi riguarda, premio meritato e romanzetto molto gustoso.
Se ad alcuni non è piaciuto, dovrebbero cimentarsi con la lettura dell’inedito vincente il Nebula. A volte ti chiedi perché certe opere vincenti sono inedite, poi le leggi e capisci molte cose. Questo romanzo breve (ma mai abbastanza breve) è una vera e propria rottura di palle. A volte si deve dire: pane al pane, vino al vino. Ambiente bucolico, hippie fuori tempo massimo; la madre della protagonista è molto malata, il padre del suo amico pure. Ma in questo posto vivono degli strani spiriti, che qualcuno vede, e che provvederanno. Fine. Sessanta pagine di descrizioni, di pensieri e situazioni, riassunte in 4 righe. Fantascienza, zero. Un briciolo di fantastico, scopiazzato più o meno da Cocoon. Ma la ricercatezza di alcune parole, che ha reso la lettura ancora più difficoltosa, avrà bene impressionato la tecnica giuria del Nebula, e arriva così il premio, per questa opera che è un bel viatico alla depressione e al toccamento di maroni. Mah.

Persero: per l’Hugo Liberazione della donna, della Ursula K. Le Guin; Bibi (analogo in inglese), di Mike Resnick e Susan Shwartz; Un uomo del popolo, ancora della Ursula K. Le Guin e l’inedito Fault lines, di Nancy Kress.
Per il Nebula, Bibi, di Mike Resnick e Susan Shwartz; l’inedito Mortimer Gray’s history of death, di Brian Stableford; l’inedito Soon comes night, di Gregory Benford e l’inedito Yaguara, di Nicola Griffith.

Racconto. Vince l’Hugo Pensare da dinosauri , di James Patrick Kelly. Vince invece il Nebula l’inedito Solitude, della Ursula K. Le Guin.

Curioso il racconto vincente l’Hugo. Una razza simile ai dinosauri (vagamente) aiuta gli umani a raggiungere le stelle. Grazie ai loro macchinari, chi vuole (studiosi, etc…) viene replicato e inviato istantaneamente su mondi distanti decine e centinaia di anni luce. L’originale rimasto qua, però, schiatta. Il protagonista ha il compito (terribile!) di spingere il bottone che termina senza dolore la persona originale, rimasta lì. Ma succede un imprevisto: la copia arriva a destinazione, l’originale si libera prima di essere terminato. E ora che si fa? L’esistenza di due “io” creerebbe paradossi e lacerazioni, la poveretta (è una lei) va eliminata, se c’è il coraggio di farlo…
Il protagonista è all’inizio descritto (involontariamente?) dall’autore come una persona che mi è parsa proprio viscida. Le scelta che farà alla fine ha cambiato il giudizio su di lui, e non dirò ovviamente come. Racconto che ho trovato originale e certamente drammatico; non è niente male. Ne fu tratto anche un episodio tv.
La LeGuin, vincitrice del Nebula, descrive nella sua opera una civiltà umana su un pianeta che ha dimenticato le origini, e oramai è regredita e ha messo su una società dove, più o meno, si vive come vivono i gatti (almeno, questa è la mia netta impressione). Le femmine stanno coi bambini, che cacciano quando questi diventano adolescenti; i maschi vivono chissà dove, e talvolta uno appare su una collina, canta finchè una femmina si decide a passare qualche giorno con lui, tornando poi incinta. Il pianeta viene raggiunto da umani “normali”, i quali non riescono in alcun modo a comunicare con i nativi, se non quando una studiosa decide di crescere i suoi due figli sul pianeta (e saranno perfettamente integrati), nella speranza di imparare da loro cosa cavolo sta succedendo. Finale un po’ “molle”, ma è notevole la padronanza del racconto da parte della Ursula, di cui noti subito il “manico”, l’esperienza qualcosa conta.
Due opere vincenti oneste e direi anche alla pari.

I perdenti. L’inedito When the old gods die, di Mike Resnick; l’inedito The good rat, di Allen Steele; Il dovere e la gloria, di Harry Turtledove; Luminous (così anche in originale), di Greg Egan e TAP (anch’esso identico in origine), sempre di Greg Egan. QUesti per l’Hugo.
Per il Nebula, l’inedito The resurrection man’s legacy, di Dale Bailey; l’inedito Tea and hamsters, di Michael Coney; l’inedito Jesus at the bat, di Esther M. Friesner; l’inedito Home for Christmas, di Nina Kiriki Hoffman; Pensare da dinosauri, di James Patrick Kelly e l’inedito When the old gods die, di Mike Resnick.

Infine, il racconto breve. Vince l’Hugo Il treno di Lincoln , della Maureen F. McHugh. Vince il Nebula l’inedito Death and the librarian, di Esther M. Friesner.
Il raccontino vincente l’Hugo lascia alla fine un po’ allibiti. Che chi scrive avesse intenzionalmente voluto prenderci per i fondelli? La giovane protagonista, proprietaria sudista, viene forzatamente espatriata, assieme a tanti altri, dai vincenti nordisti, verso una zona del Paese dove, forse, verranno abbandonati a sé stessi. Qualcuno le darà una mano. Il senso di tutto questo? Boh. Fantascienza? Nada. Che magari la protagonista fosse una figura storica famosa negli USA e siamo di fronte a una storia ucronica…non mi risulta. E allora? E che ne so. Perché premiarlo? Non ho idea. Penso sia l’opera che più mi abbia spiazzato, un raccontino senza senso, senza legami con la SF, fine a sé stesso, il cui significato mi sfugge, eppure premiato. Mah.
Il Nebula è inedito e non sono riuscito a reperirlo, anche se il titolo mi intrigava, mannaggia.

Chi perse? L’inedito A birthday, di Esther M. Friesner; l’inedito TeleAbsence, di Michael A. Burstein; l’inedito Life on the Moon, di Tony Daniel e l’inedito Walking Out, di Michael Swanwick. Per l’Hugo.
Per il Nubula, invece, l’inedito Alien Jane, di Kelley Eskridge; l’inedito Grass dancer, di Owl Goingback (ma è un nome vero?); l’inedito The Narcissus plague, di Lisa Goldstein; l’inedito The kingdom of cats and birds, di Geoffrey A. Landis; Il treno di Lincoln, di Maureen F. McHugh e l’inedito Short timer, di Dave Smeds.

Artista: vince ancora Bob Eggleton.

Spettacolo. Vince di nuovo un telefilm, ovvero Babylon 5 - episodio "Le ombre attaccano” (episodio numero 9 della seconda stagione).
Il vincente ha un voto di 9,1, ma senza troppi voti, segno che i voti stessi arrivano dai fan della serie. Io mi astengo da commenti, la serie è famosa ma io non l’ho mai vista. Scritta dal grande J. Michael Straczynski, che conosco solo per il lato fumetti (“solo” per modo di dire, per quelli è di sicuro un grande), come noto ha come fulcro la gigantesca stazione spaziale Babylon 5, e tutte le varie vicende che ci ruotano attorno. L’episodio vincente si vide in Italia per la prima volta nel 1999. E’ ritenuto dagli esperti un episodio chiave per tutta le serie, e per chi segue la serie, è quello dove l’Imperatore di Centauri viene in visita a Babylon 5. Tanto era da dirsi e lo dissi.
Solite foto da IMDB

Tra i perdenti: Apollo 13, L’esercito delle 12 scimmie, il primo Toy Story; non candidati Casper, Waterworld, Jumanji.

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Da un lato ha più senso come fa il nebula che nel 1996 si assegni il premio per le opere del 1995, però crea un po’ di confusione.

Veramente molto bello, un mix di magia e SF, con la magia inserita in un contesto fantascientifico in modo perfetto. Mi è sempre dispiaciuto, non trovare romanzi simili.
Forse i romanzi di Robert Jackson Bennet si avvicinano come stile.

:scream:

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Confermo il giudizio, anche se è stato un grande insuccesso commerciale e manca il seguito che avrebbe dato un finale alla vicenda.

Qui ne parla lui stesso

E Walter John Williams insieme a Swanwick era tra i miei preferiti di sempre.

EDiT: ehi forse le cose si stanno smuovendo!!

Questi due meritavano, però

1997

Che annata…e vabbè.

Vince l’Hugo per il migliore romanzo

Vince invece il Nebula l’inedito

Non è di certo con entusiasmo che al tempo mi misi a leggere il terzo libro della trilogia marziana di Robinson. I primi due non mi erano piaciuti per niente, e ora mi toccava leggere questo, in originale, e per tutte le sue (quasi) 700 pagine. Al tempo infatti era inedito, in Italia. Sicuramente il mio giudizio poi fu un po’ influenzato dal fatto che i primi due non mi sono piaciuti, ma insomma….Ritrovi i personaggi e le vicende esattamente dove li hai lasciati dopo Green Mars. E come sempre, i personaggi sono senza spessore, noiosi; i loro pensieri non interessano nessuno (me almeno), né tanto meno sapere il loro stato d’animo, la cui condizione ti viene ripetuta inutilmente per pagine. Neppure le loro vicende suscitano il benchè minimo interesse, vista la totale mancanza di plausibilità che permea la trilogia tutta. Non parliamo poi dello stile di scrittura, lentissimo, con frequenti descrizioni inutili, sovrabbondanti, che lasciano ben intendere che l’autore fu pagato un tot a chilo e a parola. Questo almeno immagino, perché le alternative sarebbero o che odia i suoi lettori, o che il suo editore, vinto dalla sonnolenza, non fu in grado di tagliare 3-400 pagine (a caso, tanto non cambiava nulla), per recuperare un minimo di leggibilità.
Questo terzo libro, non l’avrei ritenuto possibile, è pure peggio dei precedenti. Siamo su un voto di 3, era inedito in Italia e al tempo speravo lo rimanesse. Che poi fosse stato ritenuto il meglio dell’anno, riflette una crisi mica da ridere della Fantascienza scritta nel periodo. I dialoghi erano al solito mal fatti, mal congegnati, poco plausibili, facilmente intercambiabili da un personaggio all’altro; mai brillanti. Suonano fasulli e primitivi.
E’ un libro dove, tranne un blando interesse alla fine, non accade nulla, letteralmente nulla. A metà libro vanno a male le patate che stavano crescendo a un tizio, sul suolo marziano, e questo è probabilmente la cosa più emozionante di tutte le 700 pagine.
E’ il libro ideale, d’inverno, col freddo… se avete il caminetto e vi manca della carta per accenderlo, intendo, non come lettura.
C’è un concetto che l’autore in questa trilogia dimentica: scarsezza di risorse. Non si capisce da dove piovano le risorse per fare tutto quanto descritto nei tre libracci. Per lui la grana, la pecunia, non è mai un problema, tutto viene fatto senza patemi: su Marte milioni (!) di persone vagano per i c*i loro come se non ci fossero problemi a farlo, quando se anche vivi sulla Terra, il bighellonare senza un euro in tasca presenta i suoi enormi problemi. In questo terzo libercolo, pare che un milione di persone all’anno si trasferisca su Marte. Con che soldi? Uno pensa… boh, forse l’Autore immagina una Terra ricchissima, dove semini cacca e raccogli oro…macchè, la Terra è sempre quella. Sovrappopolata, in guerra, senza risorse, colpita tra l’altro da una catastrofe biblica, come lo scioglimento di gran parte delle calotte polari e alluvioni ogni dove (ma la vita, chissà come, prosegue più o meno come al solito). Eppure, per magia, invia centinaia di migliaia di persone su Marte, quando oggi, con problemi minori, è già fuori budget spedire una cartolina sulla Luna.
Pure su Marte, pertanto, il Nostro non si pone problemi a escogitare costruzioni faraoniche, senza dimenticare che già stanno terraformando il pianeta (con gli spiccioli, immagino). Ma superata la metà libro, non ci ho visto più: “…… At the new supercollider in Rutherford Crater’s rim, they had found the second Z particle that string theory had long predicted would be there.”
Cioè, per non farsi mancare nulla, da qualche parte si costruiscono pure il niu supercollider… MA VAFFANC.
Io come lettore mi sento preso per i fondelli, e da un’opera che, se stampata su carta ruvida, non sarà neanche buona per l’ultimo utilizzo possibile.
A 280 pg dalla fine (o all’alba sarebbe da dire, e chi ha fatto la naja, mi capisce) l’Autore prima inventa dal nulla un motore che permetterà il viaggio Terra – Marte in 3 gg; poi fa partecipare uno dei protagonisti alla corsa a piedi intorno al mondo (che dura 200 gg, ma si è capito che su Marte non serve lavorare, è una continua vacanza, sorretta non si sa da cosa). Che due maroni, mi mancava che l’autore mettesse dentro anche questo Forrest Gump (film uscito un paio d’anni prima… Idea originale, soprattutto, no?).
I vari protagonisti sono simpatici come il famoso piranha nel bidè. Prendiamo ad esempio l’odiosa Zo, la ninfomane: va a fare una passeggiata con un amico su Mercurio, rischiando ovviamente la pelle. Salvi per un pelo, sfuggono all’arresto, con l’accusa di manifesta idiozia (dico io) rifugiandosi nell’immunità diplomatica. Dunque, stronza e viziata. Anche perché, dopo un viaggio Marte – Mercurio, che manderebbe Bill Gates sul lastrico (ma di ciò, come detto, l’autore mai si cura), la tizia prende una navetta per la Terra, dove va a bighellonare (ripeto, non mi pare lavori nessuno, in sta trilogia), per poi prenderne un’altra per tornare su Marte (e anche lì, a non fare una fava). Ma forse gli uomini Sapiens, nel XXII secolo, cagano oro, perché altre soluzioni non ne vedo.
Uno dei grossi problemi che ha l’autore, evidentemente, è che deve raccontare qualcosa, quando oramai non c’è nulla da raccontare, quando non hai personaggi né interessanti né plausibili, e infatti per centinaia di pagine non accade nulla degno di nota. Non solo, ma l’autore, in spaventosa crisi creativa, davanti alla pagina bianca non riesce a inventarsi nulla: un dramma, una tragedia, un giallo, un thriller, un ca**o di qualcosa che almeno giustifichi altre 1.500 pagine dopo le 600 del primo libro. Solo il primo libro, che non mi era piaciuto, aveva qualcosa da dire, e c’era almeno un conflitto tra due protagonisti; negli altri due non c’è nulla.
Vabbè, per me abbiamo uno dei peggiori premiati della storia dell’Hugo, premio che doveva / dovrebbe avere il coraggio, in certe edizioni, di dire “Sorry, a nostro giudizio nulla merita di essere premiato”. Ma poiché a votare sono i convenuti, la colpa è loro. Loro la colpa, insomma, se con premiati come questo si infanga e riduce il prestigio di un premio.

Per il Nebula, in questa edizione Slow River batte addirittura L’era del diamante, vincente l’Hugo l’anno prima e che avevo trovato opera niente affatto malvagia.
Si fa un po’ fatica a classificarlo SF, questo romanzo. Ok, ci sono due – tre cosette che sono di là da venire, ma sono pure un po’ marginali, se vogliamo. La storia è quella di una ragazza riccona, che viene rapita per estorsione, riesce a scappare e si crea una nuova vita. L’opera parla delle sue vicende seguendo vari filoni, e alternandoli, con flash-back. Lei bambina, lei via via più grande; lei ora, operaia; lei appena dopo il rapimento, raccolta da una salvatrice, che però la porterà su strade particolari.
La protagonista, come l’autrice del romanzo, è donna e lesbica. Fa un po’ strano vedere che la salvatrice della ragazza è pure lei donna e lesbica; al lavoro poi, la sua capa è donna e chiaramente lesbica. Non è questo che però suscita perplessità, pure essendo una coincidenza molto rara, direi. Ma è il fatto che per ben tre anni la nostra eroina incontra un sacco di gente e nessuno la riconosce (anche se il suo rapimento monopolizzò i media). O il fatto che sta cretina, una volta salva, non si riavvicina alla famiglia, perché ritiene che le vogliano male (su basi esili e discutibili assai). O che per anni lei creda una cosa, quando poi una chiacchierata (di una pagina) con la capo operaia le dimostra che la sua convinzione era assurda.
Insomma, varie incongruenze, se non vere e proprie stupidaggini, inficiano un po’ il tutto, che comunque era partito bene ma poi si era largamente perso nell’eccessiva lunghezza; non in assoluto (3-400 pagine), ma in relazione a quanto c’era da raccontare. Per il resto, il libro è scritto bene e scorre piuttosto facilmente. L’autrice è brava (tra l’altro, la sua fidanzata è pure lei autrice nel settore), ma l’opera ha due difetti principali, per riassumere. Uno, non è fantascienza, se non in senso molto lato, e due, essendo un’opera da 6, alla fine, non meritava il premio Nebula. Meglio L’era del diamante, in concorso e vincente l’Hugo la scorsa edizione. E allora? Allora magari fa più radical chic premiare l’opera della autrice lesbica e la sua operina che ricorda molto il minimalismo a la La lingua perduta delle gru o Ballo di famiglia: ben scritti, ma dove non accade nulla o quasi, gente normale, gente che parla delle sue sfighe… Libri un po’ intellettuali e perfetti per il premio Nebula, che mi sembra punti spesso a premiare l’operina sfigatina ma ben scritta. Esagero ma mah, che dire.

Persero, per l’Hugo: Memory, di Lois McMaster Bujold (stesso titolo in originale), Non umano, di Elizabeth Moon, Starplex, di Robert J. Sawyer (stesso titolo in orginale), Fuoco sacro, di Bruce Sterling.
Per il Nebula: l’inedito The silent strength of stones, di Nina Kiriki Hoffman, l’inedito Winter rose, di Patricia McKillip, l’inedito Expiration date, di Tim Powers, Starplex, di Robert J. Sawyer e L’era del diamante, di Neal Stephenson, vincente l’Hugo l’edizione scorsa.

Romanzo breve, vince l’Hugo Sangue di drago , di George R. R. Martin. Vince il Nebula l’inedito Da Vinci rising, di Jack Dann.

L’Hugo per trovare qualcosa degno di nota deve addirittura buttarsi nel Fantasy, premiando il romanzo breve di Martin. Nel luglio ’96 codesto uscì su Asimov’s, precedendo di poco (agosto) l’uscita del romanzo completo, che si chiama Il trono di spade. Il resto è storia, sarebbe da dire, dato l’enorme successo che ha avuto la saga, per non parlare della serie tv. Questo romanzo breve è un definitiva un estratto, pari ad alcuni capitoli del libro completo.
Fantasy di ottima qualità. Niente di originale, ma scritta benissimo, con una prosa fluida e avvincente. La storia ricalca tante cose già viste, magari modernizzate nell’approccio, eppure funziona benissimo. Bravi, tutto bello, ma ahimè, confermerebbe che la SF traballa più del genere Fantasy, che pare essere in buona salute. Insomma, un premio fuori tema (ma estremizzo, chiaro). La storia non la narro… ma sì dai, accenniamo che narra la storia di questi due fratelli, un lui sfigato e una lei poi protagonista, che va giovanissima sposa a un re di un popolo barbarico (ma tutto il mondo narrato è barbaro assai). Seguono vicende avvincenti, in un gran crescendo.
Il Nebula ha ritenuto l’opera di Dann meglio di questa, e anche dell’onesto vincente l’Hugo nell’edizione scorsa. Il Da Vinci del titolo è proprio lui, il nostro genio Leonardo. L’operina parte bene, poi si arena, si incaglia e alla fine stuficchia pure. Si immagina il Leonardone, che a bottega ha pure il giovane Machiavelli (cosa che non mi pare vera), e che è intento a inventare il primo aereo. Poi però in seguito a tragici collaudi e a sopravvenuti scrupoli di coscienza, il Nostro lascerà perdere tutto. Ci sono Lorenzo Il magnifico, Botticelli, Firenze, la Toscana, ….il pubblico anglosassone sarà andato in visibilio. Molto meno il sottoscritto, però, a cui non basta sbolognare qualche collina o il Leonardo che scrive al contrario, per incantarlo. E la fantascienza? Boh, non pervenuta. Siamo nel fantastico, nell’immaginato, nell’immaginario. L’avesse chiamato Il codice da Vinci, magari l’autore avrebbe avuto più successo, ma sarebbe stato troppo avanti per i tempi. Sarebbe stato fantascienza, a pensarci, insomma. Opera inferiore a quelle premiate con l’Hugo.

Persero: l’inedito Immersion, di Gregory Benford; I viaggiatori del tempo non muoiono mai, di Jack McDevitt; l’inedito The cost to be wise, di Maureen F. McHugh; l’inedito Abandon in place, di Jerry Oltion; l’inedito Gas fish, di Mary Rosenblum. Questi per l’Hugo.
Persero per il Nebula Liberazione della donna, di Ursula K. Le Guin; Sangue di drago, di George R. R. Martin; I viaggiatori del tempo non muoiono mai, di Jack McDevitt; L’inedito The cost to be wise, di Maureen F. McHugh; La morte di Capitan Futuro, di Allen Steele (vincente la scorsa edizione l’Hugo).

Racconto, ancora una scelta diversa. Vince l’Hugo per il migliore racconto Il riparatore di biciclette, di Bruce Sterling. Il Nebula premia l’inedito Lifeboat on a Burning Sea, di Bruce Holland Rogers.
Per l’Hugo, finalmente un racconto di fantascienza e finalmente una cosa bella, e che è bello premiare! Una boccata di ossigeno, che ci regala un simpaticissimo riparatore di biciclette, con la sua peculiare officina, che vive d’amore (poco) e d’anarchia nel suo quartiere che ricorda il migliore Pennac. In tanta vita modesta ma onesta a modo suo, si intromette una specie di ninja pseudo governativa, esponente di quei gruppuscoli pseudo fascisti che fanno quello “che deve essere fatto”, per salvare la civiltà e la società (almeno nelle loro teste bacate). Che poi ciò sia completamente illegale, fuori da ogni controllo, e opinabile, non sfiora i loro cervellini.
Ma troverà una spassosa reazione, nel momento che cercherà di fregare il riparatore e i suoi fighissimi amici. Di più non è da dire, perché è un racconto che sarebbe da rispolverare e ritrovare (e leggere). L’ho trovato come una bottiglia di acqua fresca, in mezzo al deserto di proposte lette ultimamente. Premio meritato.
Molto minore invece il racconto vincente il Nebula, che deve molto a Killer on-line di Sawyer. Certi spunti sono presi di peso da quel romanzo, anche se con esiti molto modesti. Vorrebbe poi essere anche uno pseudo – thriller, ma non è all’altezza. Parla di queste persone morte, di cui si ricreano a computer le personalità, tanto che poi alla fine puoi dialogare coi loro ologrammi e vedere reazioni e sentire discorsi come fossero ancora vivi. Mah, è un’opera inedita in Italia e ciò non sorprende. Non completamente malvagio, ma una sufficienza stentata e discutibile non mi pare meriti premi di sorta.

Perdenti per l’Hugo: l’inedito Age of Aquarius, di William Barton; l’inedito Beauty and the Opéra or the Phantom Beast, di Suzy McKee Charnas; l’inedito Mountain ways, di Ursula K. Le Guin; l’inedito The Land of Nod, di Mike Resnick.
Perdenti al Nebula: Erase/Record/Play, di John M. Ford; l’inedito Mirror of Lop Nor, di George Guthridge; l’inedito The Chronology Protection Case, di Paul Levinson; Il dovere e la gloria, di Harry Turtledove; l’inedito The Perseids, di Robert Charles Wilson; Dopo un duro inverno, di Dave Wolverton.

Infine, il racconto breve. Altra scelta diversa. L’Hugo va a L’anima sceglie i propri compagni: Invasione e repulsione: Reinterpretazione cronologica di due liriche di Emily Dickinson: una prospettiva wellsiana , della Connie Willis.
Il Nebula va a A Birthday , della Esther M. Friesner.

Ordunque, l’opera della Willis è un piccolo e intelligente divertimento, un saggio in cui vuole dimostrare che la poetessa Dickinson ebbe una parte importante nel fare fuggire i marziani (a loro volta immaginati da Wells). Il tutto è fatto con garbo e umorismo, con tanto di finte note a piè di pagina, citazioni di libri mai esistiti, dai titoli divertenti… Insomma una cosuccia inoffensiva ma simpatica.
La Friesner che vince il Nebula invece deve essere stata incazzata assai (come ebbe a dire, peraltro), perché immagina una storia in cui mette tutto il suo livore. Immagina una società dove chi abortisce viene punito vedendo il proprio figlio mai nato in ogni dove (a video), non solo, durante gli anni il bambino cresce e interagisce a video con la donna che preferì abortire. La protagonista dunque per anni, ogni volta che accedeva a una tv, a un monitor, a un bancomat, veniva perseguitata da questo rimorso elettronico, e l’opera narra la fine della condanna, al compimento del sesto anno della figlia, che coinciderà con l’ultima visione della figlia stessa, a cui poi negli anni si è affezionata. La protagonista infine si suicida. Mah, trovo perfino spregevole questa impostazione e questa idea, malgrado il raccontino si faccia leggere bene. E’ proprio lo spunto iniziale che mi pare pornografia sentimentale. Chissà, si vede che l’autrice non ha in simpatia chi abortisce, che ne so, però che me ne frega a me dei pensieri della Friesner?

Artista: vince ancora Bob Eggleton.

Film e compagnia bella, vince Babylon 5: Sogni spezzati , decimo episodio della terza serie.
Come ho detto in altre occasioni, non ho visto la serie (che mi incuriosisce ancora assai); sono pertanto il meno indicato a parlare del premiato. Ricordo solo che su IMDB ha un incredibile voto di 9,6, evidente frutto di cultori della serie (infatti dopo tanti anni i voti sono ancora pochi). Questo episodio, citando Wiki, è quello dove il Presidente Clark cerca di prendere il controllo di Babylon 5 con la forza, costringendo Sheridan e il suo equipaggio a prendere le armi contro il proprio governo. Delenn si confronta con il Consiglio Grigio. Boh, per qualcuno sicuramente il tutto vorrà dire qualcosa.
Foto come sempre da IMDB

Tra gli sconfitti, Indipendence day e Mars attacks!

Il racconto di Sterling è magnifico, ancora molto bello e una perla del cyberpunk, altro che le distopie da quattro soldi che rifilano ogni dove!

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Severo ma giusto

:joy:

1998

Vince l’Hugo per il migliore romanzo

Vince il Nebula per il migliore romanzo

(NB la copertina ovviamente riporta delle stronzate, forse per il marketing)

Joe Haldeman tiene a dire in ogni dove che questo non è il seguito di Guerra eterna, libro di oltre 20 anni prima e considerato un capolavoro da molti (e da me). Ma un conto è l’autore, un conto il marketing, che ha ripetuto, anche lui in ogni dove, che l’ultima opera era frutto del lavoro dell’autore di Guerra eterna. Ma in effetti non è il seguito, in nessun caso. E’ una storia a se’ stante, che francamente mi pensavo anche peggio. Ora, è chiaro l’artificio di tutto il progetto: mi immagino sia andata così, penso che l’editore gli abbia detto: “Toh, tieni questo titolo, Pace eterna, costruiscici sopra qualcosa…” e in effetti il libro è finalizzato a questo, a una storia in cui i protagonisti agiscono per fare sì che si arrivi, nel mondo, a una pace eterna, togliendo agli uomini ogni istinto bellico, se non per autodifesa. Tracciata la linea, l’autore costruisce intorno tutta una storia, tutto un mondo; addirittura supponendo che un manufatto in costruzione vicino a Giove potrebbe portare a un nuovo Big Bang (parte secondaria e in definitiva neanche necessaria alla storia, ma comunque non annoia). Insomma, siamo lontanissimi dal capolavoro, pecche ce ne sono, ma pensavo peggio. Perché comunque il libro è una buona routine, si fa leggere; nel finale è addirittura adrenalinico, per rifarsi delle pause di troppo, forse, della prima parte. Per capirsi, io sono per un 6/7. Chiaro, un Hugo per questo libro è troppo, ma vuoi mettere, dare l’Hugo a Guerra eterna e poi ridarlo dopo oltre 20 anni a Pace eterna, fa molto figo, no? No. Vista ora la cosa, sembra un disperato aggrapparsi al nulla, per non vedere in faccia la realtà, cioè un momento in cui la SF scritta aveva forse poco da dire (o nessun capolavoro da tramandare). Il libro è dedicato polemicamente a John W. Campbell (che pare avesse detto che era impossibile che le donne USA combattessero e morissero in prima linea; ma che strano però, Campbell se non sbaglio era morto da decenni) ed è dedicato anche a Ben Bova, che invece ci credeva, da quanto ci dice l’Autore. Bova successe a Campbell alla guida di Analog, a suo tempo, la dedica è strana, ci saranno stati vecchi rancori legati a Guerra eterna, o chissà.
L’opera vincente il Nebula è un po’ un peccato sia inedita qua da noi (NMB, cioè nota molto bene: era inedito quando lo lessi, ora è edito), perché si legge molto bene e addirittura talvolta appassiona. Zero fantascienza: siamo piuttosto nel fantastico, o nel “avrebbe potuto succedere”, in cui si mescolano vicende e personaggi esistiti ad altri mai visti. Siamo nel 1693 (secondo i miei conteggi) a corte del Re Sole, quando il gesuita De la Croix torna dai suoi viaggi portando seco un mostro marino, una specie di sirena, con tanto di canto. La vera protagonista è però la sorella di lui, bellissima ma molto ingenua e a digiuno dei misteri della vita, e che poi scopriremo essere una specie di scienziata amatoriale ante litteram. Piacciono e prendono gli intrighi a corte, oltre che la vicenda dell’ascesa dei due fratelli. Siamo in piena unità di spazio, in quanto tutto il romanzo (tranne prologo ed epilogo) si svolge alla corte di Versailles. La storia è bella e raccontata bene; ricchissima di dialoghi che scorrono rapidi e avvincenti. Ok, la fantascienza latita, mannaggia; l’opera è comunque sicuramente superiore a Pace eterna, volessimo fare un confronto. I personaggi sono veramente “reali” e ti accorgi che il libro è bello, vivido, perchè ci ripensi qualche giorno dopo averlo finito. Stavolta è strano che il vincente sia inedito (ora non più!), mentre in passato ho letto cose giustamente inedite qua da noi e che non meriterebbero una pubblicazione. Io una chance in Italia a questo gliela darei (gliela hanno data!!!). Dirò di più: questo libro è perfetto per essere tradotto in un film o una serie tv. E brava la Vonda.
NBBMB (sigla a caso): lascio la rece quasi identica, perchè ci presi. Il libro è stato edito in Italia, come detto, e la storia del film è diventata realtà nel 2022, The king’s daughter, definitio pessimo dalla critica e poco piaciuto al pubblico.

I perdenti per l’Hugo furono Città di fuoco, di Walter Jon Williams; Il risveglio di Endymion, di Dan Simmons; Mutazione pericolosa, di Robert J. Sawyer e l’inedito Jack Faust, di Michael Swanwick.
Per il Nebula: Memory (titolo uguale in originale), di Lois McMaster Bujold; l’inedito King’s dragon, di Kate Elliott; Il trono di spade (ma anche Il gioco del trono), di George R.R. Martin; Città di fuoco, di Walter Jon Williams; l’inedito Ancient shores, di Jack McDevitt e Il fattore invisibile, di Connie Willis.

Romanzo breve: vince l’Hugo “…dove gli angeli temono di avventurarsi” , (proprio con le virgolette) di Allen Steele.
Vince il Nebula l’inedito Abandon in place , di Jerry Oltion,
Come avrete di certo già capito e sicuramente ricordato, il titolo del vincente l’Hugo è il finale di una frase di Alexander Pope (poeta inglese che la scrisse verso il primo Settecento, in un suo saggio sulla critica). La frase completa è “Solo gli stolti corrono dove gli angeli temono di avventurarsi”, che è molto bella e in originale è Fools rush in where Angels fear to tread. Verrà poi ripresa da Burke, da Thomas Hardy, da Forster (che pure lui intitolerà un’opera Dove gli angeli temono di avventurarsi) e anche dal Joyce. Se qualcuno vi dice che è un proverbio inglese o – ho anche trovato – un detto aeronautico, li potete mettere così a tacere.
Bello bello. Romanzo ambientato nel 1998 (ma anche negli anni ’30, no?), riprende qualcosa che già avevo sentito per spiegare gli UFO, e ci dà un bel punto di vista sui viaggi del tempo. Perché, si chiede un suo personaggio, se i viaggi del tempo saranno mai possibili (non conta se sono possibili oggi, ma anche tra un milione di anni), dove sono i viaggiatori? Scritto molto bene, il romanzetto breve avvince da subito e conquista fino all’ultima pagina. Non un capolavoro, ma sicuramente una bella opera per la quale il premio Hugo è giustificato.
Per il Nebula, questo inedito è probabilmente inferiore ai vincenti l’Hugo delle ultime due edizioni, però, a sorpresa, è roba buona. A sorpresa perché spesso gli inediti non sono poi sto granchè. Qua si parla di fantasmi, ma mica piccoli, razzi Saturn V fantasmi (non scherzo). Desta sconcerto quando ne appare uno dal nulla, in una base missilistica, accende i motori e se ne parte (viene poi seguito da Terra, per capire che cavolo succede). Passi anche per il secondo caso, ma al terzo, la Nasa decide di imbarcarci al volo un astronauta. La storia prende, non ha particolari cali di tensione (anche se i motivi di fondo sono opinabili), ha un finale magari un filino deludente, ma rimane la classica opera interessante. E un premio per ricordarla non scandalizza.

Persero: per l’Hugo La marcia funebre delle marionette, di Adam-Troy Castro; Ecopoiesi, di Geoffrey A. Landis; Niente fuori posto, di Paul Levinson e Marrow (identico in inglese), di Robert Reed. Tra l’altro, tutti i cinque romanzi si possono leggere raccolti nell’antologia Strani universi, Cosmo Argento n. 292, per quella che ritengo sia una bella iniziativa, cioè pubblicare assieme i cinque finalisti (quando ancora non si sapeva chi avrebbe vinto, tra l’altro) (però potevano già scrivere fuori, se volevano, “contiene il vincente il premio Hugo!”, a pensarci bene).
Per il Nebula La marcia funebre delle marionette, di Adam-Troy Castro; Niente fuori posto, di Paul Levinson; “…dove gli angeli temono di avventurarsi”, di Allen Steele; l’inedito Chrysalis, di Robert Reed e l’inedito Primrose and Thorn, di Bud Sparhawk.

Racconto: vince l’Hugo Berremo un pesce insieme , di Bill Johnson.
Vince il Nebula l’inedito The Flowers of Aulit Prison, della Nancy Kress.
Con l’Hugo siamo nel profondo Nord USA, dove le piccole comunità montane sono molto chiuse in sé stesse e guardano male, se non con astio, chi viene da fuori. Se poi a un funerale in loco partecipa anche un alieno (per vari motivi), le cose si ingarbugliano. Tanto più se altri ancora vogliono farlo fuori, l’alieno. Con questo racconto siamo nella routine, tra quelle opere non memorabili, non brutte, certo, ma neanche così sopra la media da essere premiate. E’ un buon racconto, da 7 per dire, si legge molto volentieri, ti lascia qualcosa, ma neanche poi tanto. Il titolo era un po’ sbruffone, del tipo “guarda un po’ noi scrittori di SF cosa ci inventiamo…” ma invece ha poi un suo perché. Comunque primo racconto pubblicato per Johnson e subito Hugo, complimenti.
Inferiore a questo è il vincente il Nebula. Racconta di un mondo alieno, visto con gli occhi di una del luogo, che è un informatrice del governo e si farà rinchiudere in prigione per avvicinare e raccogliere notizie da un terrestre, pure lui lì recluso. A parte le prime pagine, con la straniante ma ormai familiare sensazione di vedere le cose con occhi alieni, il resto va, fa il suo, ma non convince molto il discorso sulla schizofrenia che domina il mondo alieno, come pure il finale mi pare debole e non molto concludente. E un po’ tutta la storia, con studi e esperimenti terrestri e alieni su questa strana razza, mi sembra che stia in piedi un po’ per miracolo. Direi sì una sufficienza, ma mica di più. Tanto meno un premio.

Persero per l’Hugo l’inedito Three hearings on the existence of snakes in the human bloodstream, di James Alan Gardner; l’inedito Moon Six, di Stephen Baxter; l’inedito Broken symmetry, di Michael A. Burstein e Sconosciuto, di William Sanders (anche se arrivato quinto, è stato poi pubblicato anni fa in un Millemondi Urania).
Persero per il Nebula La storia del cane, di Eleanor Arnason; l’inedito Three hearings on the existence of snakes in the human bloodstream, di James Alan Gardner; Berremo un pesce insieme, di Bill Johnson; l’inedito The miracle of Ivar Avenue, di John Kessel; l’inedito The copyright notice case, di Paul Levinson e Sconosciuto, di William Sanders.

Infine, il racconto breve. Vince l’Hugo Le 43 dinastie di Antares , di Mike Resnick.
Vince il Nebula (tutti diversi, in questa annata) l’inedito Sister Emily’s Lightship, di Jane Yolen.
Carino il raccontino di Resnick, che lascia le atmosfere africane per portarci su Antares III, un tempo glorioso e ora terra di facile conquista per tutti. La guida turistica locale non è un personaggio che si dimentica facilmente, e la famiglia terrestre in gita è ben descritta, con tutti i suoi insopportabili vizi. Sembra quasi una famiglia tratta da un cinepanettone (Natale ad Antares?). Durante il racconto sono frequenti i ricordi del passato antichissimo e glorioso di quel mondo, dignitoso e nobile, e il contrasto con il presente, e questi sono forse una lezione che è superiore al valore del racconto, che comunque è godibile assai.
Ho trovato quasi illeggibile il raccontino della Yolen. La Emily del titolo altri non è che la Dickinson, si scopre poi, poetessa molto considerata dell’800 americano. Ebbe problemi mica da ridere in vita, tanto da auto recludersi negli ultimi anni. Morta non famosa, diverrà poi celeberrima e oggi in USA è idolatrata (più o meno). Fatto sta che è protagonista di questo raccontino, pesantino e farraginoso, e viene in contatto con uno dei Grigi (si, un classico alieno grigio, intendo), la qual cosa, secondo l’Autrice, aiuterebbe a spiegare meglio alcune delle liriche della poetessa, che talvolta, anche se scritte con parole semplici, appaiono oscure. E vabbè, ne facevamo anche a meno. Io almeno.

Perdenti: Ragnetto, bel ragnetto, di James Patrick Kelly; l’inedito No planets strike, di Gene Wolfe; l’inedito The hand you’re dealt, di Robert J. Sawyer; l’inedito Standing room only, di Karen Joy Fowler e l’inedito Beluthahatchie, di Andy Duncan (Hugo).
Per il Nebula, l’inedito The crab lice, di Gregory Feeley; l’inedito The Elizabeth complex, di Karen Joy Fowler; Ragnetto, bel ragnetto, di James Patrick Kelly; l’inedito The dead, di Michael Swanwick e l’inedito Burning bright, di K.D. Wentworth.

Migliore artista, vince ancora Bob Eggleton.

Film e compagnia bella: sono vacche grasse, perchè i perdenti sono Men in black, Gattaca, Il quinto elemento e Starship troopers.
Vince quello che probabilmente gradisco meno dei 5, e cioè Contact.
Mica è brutto, capiamoci. Tratto da un libro di Sagan, ha secondo me il difettuccio di essere bello (molto) nella prima parte, e molto meno nella seconda (compresa quella dove, in fondo, scopiazzano Kubrick). Come noto, tratta del primo contatto alieno, e di come gli stessi alieni ci insegnino a costruire una macchina fighissima per viaggi spazio temporali.
Interpreta la protagonista “sua Simpatia” Jodie Foster, allora 35enne, qualche anno prima celeberrima protagonista de Il silenzio degli innocenti, a cui erano poi seguiti film così cosà, fino a questo. Era invece quasi sconosciuto Matthew McConaughey, che pure da qualche anno cercava di farsi conoscere.
Ci sono poi tanti altri bravi caratteristi, nel film, o star prestate a ruoli minori. Dirige Zemeckis, autore di film celeberrimi, che ho quasi tutti apprezzati più di questo. Su IMDB il film ha un buon voto, 7,5 . Ebbe dei gran bei costi, soprattutto per la parte di CG (che è presente un po’ dappertutto, anche nel discorso di Hitler). Non ebbe grandi incassi, anzi.
Foto come sempre da IMDB.

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A me piacque all’epoca, specie in lingua originale, e anche più del libro (che lessi quando uscì, una decina di anni prima). Oggi però ripensandoci ho l’impressione che ridimensionerei il mio giudizio; infatti non ho avuto gran voglia di rivederlo di recente, anche avendone l’occasione.

Ma alla fine lei ha viaggiato o è stato solo un sogno?

Ha viaggiato davvero.

1999

Vince l’Hugo per il migliore romanzo l’inedito (in Italia)

Vince il Nebula per il migliore romanzo

Eh sì, doppietta con l’Hugo della scorsa edizione.

La Connie Willis trae ispirazione, fin dal titolo, dal celebre Tre uomini in barca (per non parlare del cane), di Jerome K. Jerome, romanzo fortunato di fine ‘800 che non ho mai letto. Tale libro mi si dice essere frizzante e ricco di humour.
La Willis, financo nell’organizzazione dei capitoli (anche questi, come quello di Jerome, con sintetici riassunti iniziali di quanto accadrà) cerca di seguire le celebri orme, puntando anch’essa a un certo humour britannico. La cosa riesce a metà: alcune situazioni sono divertenti, ma l’autrice dà il meglio non quando cerca la battuta a tutti i costi, ma quando si limita a raccontare quanto succede. Lo stile di tutto il libro è verboso, verbosissimo, logorroico, direi: dialoghi, dialoghi, dialoghi continui, ininterrotti. Le descrizioni sono minime, se non fatte dai protagonisti stessi. Da un lato la mancanza di approfondimenti magari lo rende più leggibile, con tutto quel parlarsi, ma d’altro canto rimane un’impressione di una opera a volte superficiale e qua e là un po’ incasinata. La Willis si sopravvalutata troppo, piazzando un colpo di scena a ogni fine capitolo, ma sono colpi di scena innocui, telefonati, facilmente prevedibili, e il tutto pare piuttosto infantile. Il colpevole viene scoperto dal lettore dopo un terzo del libro, ed è paradossale (o fatto volutamente?) che i protagonisti invece non lo sospettino minimamente fino alla fine. Insomma, come “giallo” questo libro non vale nulla, e anche la ricerca principale, nella storia che viene raccontata (perché si narra di una ricerca viaggiando nel tempo), ha un finale insoddisfacente.
Coi difetti ho finito. Pregi: la nostra scrive bene. La Willis, in tutti le opere premiate e lette in precedenza, non mi ha mai entusiasmato. Carine, ben scritte (a volta neanche carine), ma mai nulla di imperdibile. Tra quelle lette finora, questa è secondo me la migliore. Tralasciando i difetti di cui sopra, la storia è spesso appassionante, si legge volentieri, il protagonista, ma invero tutti i personaggi, sono ottimamente definiti e hanno una loro vita propria. Magari definirla fantascienza è un po’ troppo, siamo nel fantastico, con temi già visti in altre opere dell’autrice, tra cui ovviamente i viaggi nel tempo, che qua la fanno da padrone; compresi gli immaginati e divertenti effetti collaterali per chi ne fa troppi.
Ecco, quando la Connie pensa a scrivere e non a fare la fighetta, il libro scorre che è una meraviglia, l’humour è apprezzabile, certe battute sono ottime, così come alcuni commenti del personaggio principale. A scapito di equivoci, malgrado i difetti, il libro mi è piaciuto e sono per un 7,5 . Un premio Hugo è forse troppo, ma probabilmente questo passa(va) il convento e amen.
Del vincente il Nebula ho scritto già in precedenza, nel commento all’edizione precedente. Riassumo: non male, ma niente di che. Non avrei dato un premio, anche perché siamo un filino sotto l’opera della Willis. Dargli Hugo e Nebula, poi….la doppietta andrebbe solo ai capolavori, IMO.

I perdenti: per l’Hugo l’inedito Children of God, di Mary Doria Russell; Darwinia (identico in inglese), di Robert Charles Wilson; Caos USA, di Bruce Sterling e I transumani, di Robert J. Sawyer.
Per il Nebula, tutti inediti: l’inedito The last hawk, di Catherine Asaro; l’inedito Moonfall, di Jack McDevitt; l’inedito How few remain, di Harry Turtledove; l’inedito Death of the necromancer, di Martha Wells e l’inedito To say nothing of the dog, di Connie Willis.

Romanzo breve, vince l’Hugo Il culto degli oceani , alias Oceanic, di Greg Egan. Vince il Nebula l’inedito Reading the bones, di Sheila Finch.

Il romanzo di Egan è debitore a molti, non essendo per nulla o poco originale. Tra gli altri, mi paiono evidenti la Bibbia, Zelazny e pure Silverberg, per il tono del romanzo tutto. L’autore vuole mettere troppa carne al fuoco, parlando della conversione del protagonista e della successiva sconfessione dello stesso. Interessante, ma compresso in così poche pagine risulta una corsa sui 100 metri (con conseguente mancanza di approfondimento psicologico) piuttosto che sui 10.000 metri. Insomma, ti pare strano che costui diventi un fervente religioso e dopo un’oretta (il tempo di finire il breve romanzo) sia diventato un eretico, senza che in mezzo ci siano stati plausibili motivazioni o travagliati pentimenti. Il tutto risulta comunque piacevole e leggibile, anche se per me non si va oltre a una sufficienza.
Meglio l’inedito della Finch. Ancora, anche questo non brilla per originalità, ma funziona molto bene e il tutto mi è sembrato carino, anche nel finale. Si racconta di un’umanità abituata a viaggiare nello spazio, e di come, su un mondo alieno, gli umani, inaspettatamente, scoprano che la specie locale non è proprio docile e citrulla come pensavano, e che anzi, erano molte le cose che non si sapevano. Un romanzo che è rimasto piuttosto stranamente inedito, a cui darei un 7. I due romanzi premiati, in definitiva, non mi paiono indimenticabili e forse neanche meritori di premi, ma non sono neanche ributtanti. E’ un’aurea mediocritas.

Persero, per l’Hugo, Aurora a quattro voci, di Catherine Asaro; La storia della tua vita, di Ted Chiang; In chiesa per tempo, di Terry Bisson e Le isole dell’estate, di Ian R. MacLeod. Come l’anno scorso, tutti e 5 i finalisti sono riuniti in un unico volume in Italia, Strani universi 2, Cosmo Argento 302. Plauso all’iniziativa.
Persero per il Nebula Aurora a quattro voci, di Catherine Asaro; l’inedito The boss in the wall, di Avram Davidson e Grania Davis (Davidson era in realtà morto da qualche anno); l’inedito Izzy and the father of terror, di Eliot Fintushel; Ascensore per la Luna, di David Gerrold e Ecopoiesi, di Geoffrey A. Landis, in gara la scorsa edizione per l’Hugo.

Racconto, vince l’Hugo 1999 Taklamakan (titolo uguale in inglese), di Bruce Sterling. Vince invece il Nebula l’inedito Lost girls, della Jane Yolen.

Per fortuna che c’è Sterling, sarebbe da dire. Il suo racconto è bello e riconciliante con la Sf. Un rendez-vous nel deserto del Taklamakan, in Cina (che esiste veramente) va a finire male. Le due spie presenti decidono comunque di portare avanti la missione, o almeno di andare a dare un’occhiata. Scopriranno parecchie cose, tra cui un esperimento cinese: rinchiudere migliaia di persone in 3 finte astronavi (facendo credere siano vere) e lasciarle dentro per anni, secoli, chissà quanto. Siamo un po’ dalle parti di Truman show? Vedi dopo, allora. Il tutto si svolge in un futuro abbastanza prossimo, anche se le spie hanno degli aggeggi tecnologici fantastici (fantascientifici, direi, no?) e pure fighissimi. Bello, scritto bene, affascinante, spiace pure finisca e ne vorresti leggere ancora: è il segnale che l’opera è buona. Io gli darei un 8,5 e anche l’Hugo.
Il racconto della Yolen è un attimo inferiore, ma mica poi tanto. Non è fantascienza, siamo nel vero fantastico. Le bambine perdute ricordano i bambini perduti di Peter Pan, e qui ti voglio, perché parliamo proprio di Peter Pan, Campanellino, Capitan Uncino, Wendy…ma il punto di vista è stravolto. Wendy sono LE Wendy, bambine assoldate (poco volenti o nolenti) perché servano Peter Pan e i Bambini, preparando da mangiare, pulendo casa, etc…Solo che l’ultima arrivata è tosta, ed è figlia di una mamma avvocato pure lei tosta, dalla quale ha ereditato tanto. Il racconto è molto bello, scritto bene, con momenti inquietanti e momenti divertenti (ci sarà pure il primo sciopero all’Isola che non c’è). Il finale è perfetto. Anche qua, darei un 8 e un premio Nebula, l’avessi in tasca.

Sconfitti l’inedito Echea, di Kristine Kathryn Rusch; l’inedito Zwarte Piet’s tale, di Allen Steele; l’inedito Steamship soldier on the information front, di Nancy Kress; Il tuffo di Planck, di Greg Egan; l’inedito Time gypsy, di Ellen Klages e l’inedito Divided by infinity, di Robert Charles Wilson. Questi per l’Hugo.
Per il Nebula, l’inedito The truest chill, di Gregory Feeley; l’inedito Time gypsy, di Ellen Klages; l’inedito The Mercy Gate, di Mark J. McGarry; l’inedito Echea, di Kristine Kathryn Rusch e Lete, di Walter Jon Williams.

Infine, il racconto breve. Vince l’Hugo La pulsazione della macchina , di Michael Swanwick. Vince il Nebula 1998 l’inedito Thirteen ways to water, di Bruce Holland Rogers.

Il racconto di Swanwick non è originale ma è piacevole. Narra di un naufragio su Io, dove la sopravvissuta cerca di raggiungere la salvezza prima che le finisca l’ossigeno. Comincerà ad avere allucinazioni, sentendo alla radio…Io, proprio lo stesso satellite, che le parla. Ma magari non sono allucinazioni. Raccontino “già sentito” ma ugualmente piacevole, sarei per il 7 ma forse non per dargli il premio Hugo, però.
Brutto invece il racconto di B.H. Rogers. Un cerebrale racconto simil – militare, o meglio, sui reduci di un qualche conflitto che naturalmente, secondo clichè, sono un po’ fuori di testa. Zero fantascienza, un pizzico di fantastico, per un raccontino da nulla, giustamente inedito e figurarsi se meritava il Nebula. Per me.

Gli sconfitti in gara per l’Hugo: Maneki Neko, di Bruce Sterling (uguale in originale); Porte radianti, sempre di Michael Swanwick; l’inedito Wild minds, ancora di Michael Swanwick; l’inedito Cosmic corkscrew, di Michael A. Burstein e L’altra metà del cielo, di Robert Reed.
Per il Nebula, l’inedito When the bow breaks, di Steven Brust; l’inedito Standing room only, di Karen Joy Fowler; l’inedito Fortune and misfortune, di Lisa Goldstein; l’inedito Winter fire, di Geoffrey A. Landis e l’inedito Tall One, di K.D. Wentworth.

Artista, vince ancora Bob Eggleton.

Spettacolo, vince The Truman Show , di Peter Weir.
La Convention era in Australia e vince un film di un regista australiano….favoritismi? Macchè, ci sarà un po’ di amor patrio, ma in effetti vince uno dei più bei film di quell’anno, in assoluto, non solo nella fantascienza. Che poi fantascienza….mah, forse nel fatto che la società descritta permetta che un tipo nasca e viva in un set, senza saperlo. Ops, forse ho fatto uno spoiler, ma cavolo, parliamo di parecchi anni fa, e di un film che VA visto assolutamente, e che penso ormai tutti abbiano visto. Il nostro regista era già celeberrimo: Picnic ad Hanging Rock, Gli anni spezzati, Witness, L’attimo fuggente….e tanti altri. Dopo questo film si prenderà una lunga pausa, interrotta con Master e commander.
Come protagonista, la scelta fu totalmente spiazzante: Jim Carrey. Chi? Quello di Ace Ventura, che finge di parlare col sedere? The mask, Scemo e + scemo… la scelta sembrava folle, ma come spesso accade, dietro a un comico si cela un grande attore, e questa volta, pure. Carrey sfodera una grande prova ed è perfetto per il film. Film che a sua volta attacca sia la tristezza e la finzione dei reality, sia lo strapotere degli sponsor che, nell’Italia 1998 magari sembrava un po’ impossibile, mentre ora sono cose ovvie (oddio, per tanti compatrioti pare comunque vada bene così). L’altro protagonista non è tra la folla del paesino immaginato, ma è il finto regista dello show, un ispirato Ed Harris, al suo meglio. Film che si presta a tantissime letture diverse. Ebbe candidature all’Oscar per regia, per Harris e per la sceneggiatura di Niccol (a cui venne vergognosamente preferito Shakespeare in love), che scrisse tra gli altri Gattaca e In Time. Il film ebbe un buon successo commerciale, anche se non memorabile. Apprezzato molto dalla critica e molto anche dal pubblico, come testimonia su IMDB il voto di 8,2 . Poco altro da aggiungere, è oramai un classico.
Tra i candidati perdenti, l’interessante Dark city e Pleasantville. Non candidato Armageddon.
Foto come sempre da IMDB.

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una delle letture obbligatorie nelle scuole che ho frequentato. Non ricordo nulla, a parte che ridevo abbastanza spesso. Chissà, magari un giorno lo riprendo in mano.

Sì, visto. Da vedere? Abbastanza. Un capolavoro? Non saprei - buono, non fondamentale, oggi.

2000

Vince l’Hugo per il migliore romanzo

Vince invece il Nebula per il migliore romanzo

Al tempo in cui li lessi subii la beffa delle beffe. Entrambi i vincitori erano usciti in Italia, ma Quando la luce tornerà era in pratica introvabile (o magari trovabile per una bella sommetta, ma mica sempre). Uscito nel 1999 in edizione Cosmo Oro, non era più stato pubblicato. Insomma, dovetti ripiegare nella sua versione originale inglese, e cioè A deepness in the sky. Stesso discorso per La parabola dei talenti. Uscito nel 2001 per Fanucci, anch’esso oggi è raramente disponibile, nei vari siti online.
Per entrambi non è una questione di prezzo (oddio…), ma proprio di poche copie rimaste nel mercato. Per entrambi, dunque, procedetti con l’originale in inglese.
Vinge scrive un librone, dato che nella sua versione “tascabile” sono oltre 700 pagine. Come il precedente bel romanzo premiato, Universo incostante, l’autore si diverte a mettere in pista un bel numero di personaggi, quasi tutti protagonisti, ed a seguire parallelamente le loro vicende. Si parte, poi ci si adagia, perché il nostro se la prende molto comoda, salvo poi precipitare sull’orizzonte degli eventi nelle ultime 150-200 avvincenti pagine. Il difetto maggiore, e forse l’unico, è l’essere eccessivamente prolisso nella fase centrale del romanzo, giusto per fare flanella e allungare la cosa. Non che annoi, non più di tanto, ma il sospetto è che quanto raccontato si poteva sintetizzare in qualche centinaio di pagine in meno. E’ stato detto, per Universo incostante, che le vicende “dei cani” potevano essere tralasciate; qua allora sarebbero da tralasciare quelle “dei ragni”, ma io in entrambi i casi non sono di questo parere. Se proprio proprio, avrei tagliato quella degli umani in orbita e in attesa. Detto del difetto, il resto. E il resto è roba proprio buona. La storia è una figata. Si immagina una stella variabile, ma variabile estrema: per un paio di secoli si spegne completamente, tanto da diventare difficilmente rintracciabile (anche dal pianeta che vi orbita attorno!), poi per qualche decennio torna a brillare come devono fare le stelle. E questo con costante regolarità nei millenni. L’autore, non pago, immagina pure un pianeta attorno a questa stella, e inventa una civiltà aliena (più o meno come la nostra verso gli anni ’30, o giù di lì, per tecnologia) che comunque, da millenni pure lei, tiene botta in una situazione diciamo eufemisticamente non facile (cavolo, ti si spegne il sole per due secoli, bello!). Due spedizioni umane, indipendenti, giungono assieme in quel sistema solare, in un momento di stella off (la stella si chiama così, la stella On / Off). Ne verrà fuori un gran casino. Tutto avviene ere geologiche prima di Universo incostante.
Tra i protagonisti, Pahm Nuwen, già a suo modo in Universo incostante; qua, migliaia e migliaia di anni prima, viene tratteggiato in tutta la sua grandezza, nel suo mito e nella sua quotidianità. Ne esce uno dei maggiori personaggi negli ultimi anni della SF (o degli anni ’90, via). Vinge non ha problemi a trattare secoli e millenni come fossero noccioline, sempre con coerenza e appassionando, figurarsi i decenni lungo cui si sviluppa ora la storia. Partito con molti personaggi e molte storie, tutti e tutto convergono alla fine, come verso una singolarità, e ci sono un sacco di rese dei conti, di sbocchi, soluzioni, confronti e scontri finali. Pure il villain è un signor cattivo: intelligente, totalmente privo di scrupoli, calcolatore, grande stratega e pianificatore, e molto, molto cattivo.
Notevole anche la civiltà aliena immaginata, quella “dei ragni”. Essa viene descritta senza tratteggiare le creature, “giustamente”, dato che nessun umano è ancora là per vederli e giudicarli. Ok, qualcosa intuisci, l’alienità e la ragnosità delle creature è palese, però…però ti appassioni alle loro storie, non li vedi come i mostri che sono (ai nostri occhi). Insomma un libro con tante idee, tanta carne al fuoco, senza parlare dei localizzatori, altra “invenzione” riccamente fantasiosa, o del terribile “focus”. Io però non posso perdonare le 700 pagine lette, pure in inglese, cioè l’eccessiva lunghezza, e sarei alla fine per un 7/8 .
Il libro è dedicato a Poul Anderson, che dall’autore è ritenuto il modello da imitare e con il maggiore impatto sulla sua carriera. La dedica prosegue ringraziando dell’ospitalità che gli venne data dalla famiglia Anderson negli anni ’60, agli inizi della sua carriera. Un annetto dopo la premiazione, il buon Poul ahinoi avrebbe lasciato questo mondo.
Come spesso accade, il vincente il Nebula è un tantino più fighetto, più radical – chic, diremmo oggi. La Butler scrive bene, e narra la storia, in un prossimo futuro, dove ci sarà un crollo globale: dell’economia, del potere centrale, della situazione climatica…un po’ di tutto. Negli USA degli anni ’30 (duemila e 30) il potere centrale è debole. Molti sono i delitti, vige la legge del più forte, raramente viene fatta giustizia, le piccole comunità di gente perbene sopravvivono come possono e sempre con gli occhi ben aperti. Il libro è il seguito di un altro romanzo della Butler, La parabola del seminatore. La protagonista di entrambi è in pratica una copia dell’autrice, una signora nera con i tratti un tantino androgini (non mi permetto di dirlo io, ma l’autrice) che ha inventato una specie di primitiva religione, a cui hanno aderito al momento pochi, un movimento che si basa sul cambiamento, (che è notato in natura come altrove), e che decide, contro ogni razionalità, di rimanere nella sua piccola comunità; questo anche se come Presidente è stato appena eletto un razzista pseudo cattolico (un leghista, diremmo noi, o oggi un Trump); anche se è incinta e anche se il suo saggio marito la consiglia altrimenti. Lei pagherà duramente la sua stupida scelta che, come ribadisce, è in pratica un sacrificio per potere affermare la sua pseudo religione, che lei vede come un dono all’umanità.
Il romanzo è visto come una sorta di diario, letto dalla figlia, ormai grande, che legge passi di quanto scritto da sua madre, nel 2032 e seguenti, o giù di lì. La figura della protagonista, come tratteggiata sopra, sarebbe oggettivamente odiosa, se non fosse che sì, un tantino odiosa rimane, ma la Butler ha l’onestà intellettuale di dipingerla anche come una persona a tutto tondo, magari un tantino troppo fredda, ma con dubbi e perplessità, anche se IMO il ritratto più interessante che emerge è proprio quella della figlia.
I temi trattati non sono niente di nuovo, i soprusi dei forti sui deboli, con tanto di campi di concentramento, sono realtà storiche, purtroppo, e non romanzate, e anche nel civile Occidente, per dire, ancora oggi, nel nostro piccolo, abbiamo ancora Guantanamo o i campetti di raccolta – concentramento degli extracomunitari in Italia, senza poi che nessuno se ne freghi o si scandalizzi più di tanto (per non parlare della vita in galera dei condannati, et so on).
Tornando a noi, la protagonista perderà tutto, tranne la dignità, non sarà una bella vita e forse non farà sto grande affare.
Fantascienza? Mah. C’è un po’ di fantasocietà, indubbiamente, mentre pare quasi patetica la parte sulla visione della conquista delle stelle, che tralascerei. Ecco, fantascienza intesa come fanta politica, o fanta-sociale; ma il romanzo potrebbe essere anche visto come un qualcosa fuori dal tempo, perché tratta temi universali. La parte della pseudo religione è quella che è, un tantino triste perché viene presentata chissà come quale rivelazione, con tanto di brani estratti da un qualche libro “sacro” a inizio di ogni capitolo, e invece è un po’ una mezza cagata. Il titolo dell’opera è curioso, prende lo spunto dalla omonima parabola che c’è nella Bibbia, una parabola controversa, dato che un tizio dà del denaro (i talenti) a diversi schiavi, i quali, al suo ritorno, glielo tornano raddoppiato; tranne uno, il quale aveva ricevuto un solo talento e preoccupato di perdere anche quello, lo nasconde e lo torna poi al padrone. Che a sua volta, invece di ringraziarlo comunque, lo condanna, e in maniera assolutamente sproporzionata, lodando invece gli altri. Tale parabola vorrebbe insegnare che chi è dotato di un talento (c’è il doppio senso) deve farlo fruttare –perché è ritenuto un dono di dio, e se non metti a frutto un dono di dio, questi si incazza di brutto, o chissà. Peccato che il finale della parabola biblica – IMO – mandi in vacca il tutto, che poteva in effetti filare benino.
Pertanto il titolo vorrebbe magari dire che la protagonista, inventrice di una nuova religione, ha dovuto farla fiorire, anteponendola a ogni rapporto umano e a ogni sevizia patita. Mah…non concetti validi per me. Comunque, se devo dare un voto, un 7, dai.

Corsero e persero per l’Hugo: Guerra di strategie, di Lois McMaster Bujold; Cryptonomicon (uguale in inglese), di Neal Stephenson; Il risveglio di Erode, di Greg Bear e Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, di J. K. Rowling.
Per il Nebula: La divisione Cassini, di Ken MacLeod; Lo scontro dei re (che in Italia uscì su due volumi, la prima parte in Il regno dei lupi, la seconda in La regina dei draghi), di George R.R. Martin; l’inedito Mission Child, di Maureen F. McHugh; l’inedito Mockingbird, di Sean Stewart e appunto Quando la luce tornerà, di Vernor Vinge.
Che poi non so se tutti sti inediti (e quelli prima) tali sono rimasti…lo erano quando lessi i vincenti, per certo.

Vince l’Hugo '00 per il migliore romanzo breve I venti di Marble Arch , della Connie Willis. Vince invece il Nebula Storia della tua vita , di Ted Chiang.

La Willis, tanto per cambiare, e si fa per dire, fa l’ennesima opera che ha a che fare i bombardamenti aerei sulle città, nella seconda GM. Sarà il millesimo che fa con questo argomento? In questo caso, siamo a Londra, dove il nostro protagonista gira come un pazzo in metropolitana (la Willis stabilirà qua il record mondiale, credo, di fermate di metropolitana citate in un’opera, e anche citate più volte), dove a volte sente dei “venti”, dei veri colpi di vento, anche dolorosi, che portano odori sgradevoli, di morte e distruzione…peccato che lui sia l’unico ad avvertirli. O quasi. O forse no….
Romanzetto ben scritto che desta un immotivato interesse, ma non appena capisci dove stiamo andando a parare, alla fine si rivela un’opera che non emerge dal mucchio e a cui non avrei dato un premio. Non vorrei dedicare altro spazio a questo romanzetto da 5.
Neanche da mettere a confronto con la delicata e intelligente opera del giovane (al tempo) Chiang, nettamente superiore (aveva anche corso per l’Hugo la volta prima).
Si narrano le vicende di una esperta in lingue, che viene assoldata dal Governo perché sì, sono arrivati gli alieni. Non assomigliano a nulla di conosciuto, non si capisce se parlano o tossiscono, e insomma, comunicare non è facile. Loro in realtà sono rimasti in orbita, e hanno mandato, in varie parti del globo, dei giganteschi “specchi” tramite i quali vedere e farsi vedere, parlare, sentire.
La protagonista, dialogando e alla fine apprendendo lingua e scrittura, comincia a ragionare come loro, in modo tale che il tempo, per lei, non è più una successione di eventi, ma una contemporaneità degli stessi, senza fare caso a presente, passato e futuro (teoria da sempre molto affascinante). Ciò le dà modo di ricordare la figlia che le nascerà in futuro (Storia della TUA vita, il titolo, scritto in prima persona dalla protagonista che si rivolge alla figlia che nascerà), ricordare cosa farà, e alternare il racconto del rapporto con gli alieni ai discorsi che rivolge alla figlia, di cui conosce già la vita futura.
Ottime intuizioni, ottima tecnica dell’autore, un romanzo breve che a parte alcune ingenuità (penso dovute alla gioventù di Chiang, e forse anche al fatto che è maschio – e chissà se aveva figli) merita ampiamente di essere ricordato, letto e premiato. Bel finale, pure. Un 8 meritato e inevitabile, minimo otto, peraltro. Decisamente meglio di Oceanic, che l’anno prima lo battè per l’Hugo. Questo romanzo breve meritava la doppietta.
NB oggi come è noto sappiamo che ne hanno tratto un gran bel film, Arrival.

Persero, per l’Hugo, l’inedito Forty, counting down, di Harry Turtledove; l’inedito The astronaut from Wyoming, di Adam-Troy Castro and Jerry Oltion; l’inedito Hunting the snark, di Mike Resnick e l’inedito Son, observe the time, di Kage Baker .
Per il Nebula, l’inedito Reality check, di Michael A. Burstein; l’inedito The astronaut from Wyoming, di Adam-Troy Castro and Jerry Oltion; l’inedito Living trust, di L. Timmel Duchamp; l’inedito The executioners’ guild, di Andy Duncan e Album di nozze, di David Marusek.

Vince l’Hugo per il migliore racconto 10^16 di 1 (alias 1x 10-16), di James Patrick Kelly. Vince invece il Nebula l’inedito Mars is no place for children, della Mary A. Turzillo.

Premi ai bambini, sarebbe da dire, per le due opere vincenti. O meglio, ai bambini protagonisti di entrambi. Nel primo, un bambino, nel 1962, incontra quello che lui crede un alieno, o un uomo del futuro, ma che invece è probabilmente un automa del futuro. Che ha una missione, fare scoppiare la III GM, e la crisi dei missili a Cuba gli pare l’occasione migliore. Dice infatti che nel futuro, nel 2009 (fiuuu…ci è poi andata bene) scoppierà inaspettatamente la III GM, e nessuno sopravviverà. Farla scoppiare nel 1962 provocherebbe stragi ma, dice, con la successiva sopravvivenza del genere umano. Per varie vicende, l’automa va fuori uso, e spera che il bambino faccia la missione al posto suo, anche se deve uccidere un uomo e se la percentuale di successo prevista è ora infima (la calcola in una su 10 alla sedicesima, da cui il titolo). Narrato in prima persona, il racconto è carino e si fa seguire bene, senza entusiasmare.
Un po’ meglio quello vincente il Nebula, dove si narrano le vicende di questa bambina nata su Marte nel Duecento (2.000 e duecento e rotti) e, come tutti i bambini nati là, ammalatasi gravemente (da cui il titolo). Però la bambina è tosta, e se servono soldi per le sue cure, in qualche modo li troverà, a modo suo e sfruttando abilmente alcuni poteri di cui dispone. Anche qua, racconto scritto in prima persona, spesso sotto forma di diario, opera decisamente buona, premio meritato. Una delle bambine più toste della storia della SF.

Gli altri erano, per l’Hugo l’inedito Stellar harvest, di Eleanor Arnason; Guardie di confine, di Greg Egan; l’inedito The secret history of the ornithopter, di Jan Lars Jensen, Giochi fossili, di Tom Purdom e l’inedito The chop girl, di Ian R. MacLeod.
Per il Nebula, l’inedito The island in the lake, di Phyllis Eisenstein; l’inedito How to make unicorn pie, di Esther M. Friesner, l’inedito Five days in April, di Brian A. Hopkins; l’inedito Good intentions, di Jack McDevitt & Stanley Schmidt, il bel Taklamakan, di Bruce Sterling.

Infine, vince il premio Hugo per il migliore racconto breve Scherzo con il tirannosauro , di Michael Swanwick. Vince invece il Nebula The cost of doing business , della Leslie What.

Veramente notevole il raccontino di Swanwick. Parla di viaggi del tempo, e di conseguenti paradossi, che possono sfuggire anche all’espertissimo protagonista, il quale sta organizzando una serata di gala, per beneficenza, nel Cretaceo, con tanto di vecchio T-Rex vero (all’esterno dell’edificio). Racconto adulto, per le tematiche trattate e per qualche scena erotica, è divertente, originale, sintetico ma profondo, e con un azzeccato finale. Recuperatelo che vale la pena.
Decisamente minore quello dell’autrice che si firma Leslie What (What non è il vero cognome). Parla di un futuro dove i reati ci sono, ma si può assoldare qualcuno che le prende in vece tua, con regolare contratto, che viene rispettato anche dai delinquenti. La nostra eroina lo fa di mestiere, si offre perciò per denaro, per prendere legnate e peggio. Il termine “surrogate” (in inglese) mi aveva fatto supporre che la protagonista fosse un androide, e il tutto era allora decente, ma poi si capisce che è un’umana, la quale così vuole espiare volontariamente sue colpe passate….una mezza cretina, insomma, e tutto scade ad appena una sufficienza.

Migliore artista: Michael Whelan vince l’ennesimo Hugo.

Spettacolo e compagnia bella. Qua, secondo me, la giocarono sporca.
Vinse Galaxy Quest, non vinsero gli altri candidati, tra cui The Matrix (!!!), Il sesto senso (!) e Il gigante di ferro (!).
Come è noto, il vincitore è una simpatica presa per i fondelli (ma non solo, e non proprio) sia della fantascienza, sia dei suoi appassionati, soprattutto del mondo di Star Trek. E’ quel film dove gli attori di una ipotetica serie tv (cancellata) si barcamenano, finchè non vengono reclutati da una razza aliena, che crede vere le loro avventure televisive, e assoldati per combattere il cattivone di turno.
Lo ricordo come un film piacevole, per carità, che anche consiglierei, però diffcilmente preferibile agli sconfitti. Un punto di forza del film era sicuramente lo strampalato equipaggio, dal capitano Tim Allen, nella realtà una vita dedicata a brutte commedie, potremmo brutalmente sintetizzare, che lo hanno comunque reso popolarissimo; alla nostra Sigourney Weaver, che qua è una specie di bellona inutile (si sarà divertita), a tutta una serie di celebri spalle.
Eppure questa operazione un po’ strampalata non costò neanche poco, incassando mica tanto (non un successo, certo) ed è nel tempo diventata un piccolo cult. Un cultino. Su IMDB ha voto 7,4 , e ci sta. Non ci perderei altro tempo. Una rivincita del fandom, più che altro.
Foto da IMDB.

Per carità, mi ha fatto anche sorridere, Galaxy Quest e ho apprezzato un po’ tutti, però dai: the Matrix, almeno il primo, era nettamente superiore.

Certo, se c’è da prendere per i fondelli i Trékkòsi…