Nope.
Ma d’altra parte raramente accendo la tv.
Freelance (2023)
Classica Action Commedy americana con John Cena.
Film onesto, ti da esattamente quello che ti aspetti, ha persino una trama con un minimo di senso.
Per passare una serata leggera va bene.
Ah, si, visto.
Meh.
C’è molto di meglio, francamente. 6+, a quanto ricordo. Giusto qualche decimo in più di Mulan.
Mulan, l’animazione? Allora per me è un 9! Magari prima lo guardo, però.
O forse pocahontas (ribattezzata tantaonta)
Disonooore su di te, la tua famiglia, la tua mucca …
L’unico Mulan che vale la pena vedere è live action cinese … che il motore di ricerca mi da pure su youtube
Naaa, non c’è Mushu
si parlava di film di animazione. O, come diciamo noialtri bimbi, di cartoni.
Con dialoghi fantastici:
“Intimidatorio? Imponente?”
“Piccino”
“Sono in formato viaggio per tua convenienza!”
La cospirazione del Cairo (2022)
Il regista, lo svedese (!) di origini egiziane Tarik Saleh, aveva qualche anno fa diretto il bel Omicidio al Cairo, a cui diedi un 7; non le mandava a dire, nel fare vedere come è oggi l’Egitto, l’ennesimo Stato che sciommiotta usi e costumi di Nazioni socialmente più evolute, o diversamente evolute, che non sia mai che qualcuno si offenda. Laggiù è dunque normale che il poliziotto si tenga i soldi del delinquente arrestato, o morto, che se non lo facesse passerebbe per fesso, dato che tutti lo fanno; la società viene rappresentata viscida e servile coi potenti e prepotente coi deboli, ed è una società che credo fatichi assai a capire il nostro sdegno per il caso Regeni, dato che la tortura e l’eliminazione di persone scomode sono prassi statale. Orbene, qua, in questo nuovo film, pure peggio. Il Presidente della “Repubblica” non può tollerare che ci siano due faraoni, in Egitto, e dunque, quando si tratta di rieleggere il nuovo capo religioso, andrà bene solo un Imam (o Sceicco) che avrà le stesse idee del Presidente. Un bel film, pieno di intrighi tipo Roma antica, spie, gente furba, gente cretina anche ad alti livelli, con una bella storia, dove si inserisce la crescita del protagonista, che era capitato al Cairo come studente di islamismo. Tutto è molto credibile, veritiero, con attori bravissimi e il regime egiziano di merdina. Darò un 7/8 a questo film, recuperabile al momento su Raiplay. In Egitto, strano, non hanno preso bene i film di Saleh e, anzi, lo stesso è stato bandito dal Paese, permalosoni. Il film partecipò a Cannes, dove vinse per la migliore sceneggiatura; rappresentò la Svezia per gli Oscar, ma non entrò in cinquina. Incassi d’essai, ottimi in Francia.
The beekeeper (2024)
Film recuperabile su Amazon, è un action con Jason Statham, molto classico, molto secco, senza fronzoli, migliore nella prima parte, mentre nella seconda diventa completamente inverosimile (non che prima…., sia chiaro). Quarto in Italia negli incassi settimanali, va detto che, nel suo genere, funziona. Ovvio, si può criticare fino a che si vuole, ci sono cose impossibili, altre molto improbabili, i cattivi sono sempre pronti a farsi ammazzare in maniera idiota, non sparano da tre metri, preferendo chiudere la distanza e venire magari uccisi da un coltello, insomma, stronzate a go-go, ma chi vede questo tipo di film di solito le mette in conto. Però piace l’eroe invincibile in pensione, che si rimette in gioco per una grande ingiustizia subita da una vecchia amica rincoglionita. Costei si fa fregare tutti i soldi con una truffa online, dunque siamo tra i nuovi cattivi, quelli moderni, quelli del phishing, ma per Statham conta poco, sono comunque cattivi e vanno eliminati, preferibilmente fisicamente eliminati. Alla fine della fiera, per il suo genere, io un 6 lo darei, non sarà tutto meritato ma il film è un decente passatempo. E nel mondo è andato sorprendentemente bene, pure essendo un action di serie B.
Vabbè, non sarà da oscar, ma nel suo genere ci sta e scorre anche meglio della saga di John Wick - dove si ammazza per il gusto di ammazzare, qui invece si sta almeno un minimo di senso: il bee keeper si prende cura di tutto l’alveare. Se qualcosa minaccia l’alveare, fosse pure il figlio della regina, sono cavoli amari.
Poi si sa: Stathman: gli mandi contro la swat, in tenuta antisommossa e coi fucili d’assalto, e luite ne fa coriandoli usando un filo interdentale…Ma quello è, per quello si guarda: un B movie? Forse, però di classe.
Okay, la beekeper che lo sostituiva dopo il pensionamento era davvero una caciarata degna di altri film, ma gliela si perdona
Un altro mondo (2021)
Il protagonista di questo film è molto stressato. Sta affrontando un divorzio, con tanto di avvocati, da una moglie non simpaticissima e che, mi si perdoni, ma il trauma del divorzio (voluto da lei) mi sembra l’ultimo dei suoi problemi, per la sua stabilità mentale. Hanno un figlio adolescente che ha non si sa quali disturbi mentali, e deve essere seguito da una struttura. Come non bastasse, è il fulcro del film, lui è direttore di uno stabilimento francese di una multinazionale americana. La quale vuole fare un balzo in Borsa e, è cosa nota, uno dei sistemi è annunciare licenziamenti, per apprezzare così il titolo e fare felici gli azionisti. Ai quali ovviamente dei lavoratori non frega un tubo, per loro il tutto è un mero investimento finanziario. Per il direttore, però, sono cazzi. Il personale è già lo stretto necessario, e sotto pressione: mandare a casa altre 50 persone circa, su 500, vorrà dire per il futuro rendere insostenibile l’intera filiale. Lui fa riunioni e conti, per evitare il peggio; arriva anche a proporre una soluzione economica risolutrice, ma, come gli dice il grande capo americano, complimenti, ma gli azionisti se ne sbattono, della sua soluzione economica. Il fatto che il direttore dirà pure balle ai sindacalisti interni (per non allarmarli), però, sarà poi la scusa per licenziarlo in tronco, dato che alla fine non vorrà procedere ai licenziamenti. Insomma, uno spaccato realistico e di denuncia, come fa spesso il regista Brizè. Il film è forse troppo allungato, rispetto a quanto vuole e deve dire; tutto questo accumulo di stress del protagonista alla fine non sfocia in gente che sbrocca, ma in una lettera ricca di dignità, nella quale lui afferma che la sua “libertà ha un costo, ma non ha prezzo”.
L’attore principale è Vincent Lindon, faccia ormai nota a livello internazionale e soprattutto bravissimo. Il film è ben fatto, per quanto in definitiva un film triste, a cui darò un 6/7. Il film, tipicamente d’essai, partecipò a Venezia, senza fortuna.
Non mi era mai capitato di vedere per intero (ne avevo visto un pezzettino al volo chissà quando) Mediterraneo (Salvatores). Devo ammettere che mi è piaciuto molto, anche se qualche passaggio era perfezionabile (stiamo comunque parlando di un film di circa 30 anni fa, quindi forse a determinati passaggi non ci si badava) soprattutto sulle storie personali dei soldati rimasti bloccati nell’isola greca.
E poi ho visto Brenda Starr (su Prime). E’ un film fatto male, anzi parecchio. E voi direte… cos’è? Ma perché lo hai visto?
L’ho visto perché è un film con Brooke Shields. E questo basta.
Però è sceneggiato e diretto da un mentecatto, che pensava che una trasposizione a fumetti debba essere fer forza a livello di un cartoon. Non c’è da stupirsi che suìia stato bocciato.
Mediterraneo mi piace da morire.
Ci sono un sacco di battute che mi son rimaste in testa.
Il finale però è malinconico, se ricordo bene.
Comunque leggevo che ne furono montate varie versioni: c’erano ad esempio delle sequenze oniriche che sembra siano andate perdute.
Si il finale, ambientato ai tempi nostri è malinconico.
Perfect days (2023)
Il protagonista vive a Tokyo e pulisce i cessi pubblici della città (che peraltro sono spesso architettonicamente sorprendenti). Detta così, che aggiungere? Lui si dedica a tale lavoro con cura maniacale, dedizione, pure passione, se vogliamo, dato che pare che alcuni attrezzi li faccia da sé; certamente con assoluta competenza, degna di un hotel a 5 stelle. E’ una persona molto metodica, estremamente metodica, ogni giornata si svolge uguale alle altre, e anche le sue domeniche sono simili alle altre. Non ha una tv, non sente la radio; sente solo ottima musica in macchina, legge molto, fa foto analogiche, che poi scarta o conserva con ordine, a seconda di come sono venute. Ha passione per gli alberi, e le piantine in genere. E’ una persona felice? Certamente sì, se la felicità è assenza di desiderio. Altro non vuole e dunque direi che è molto felice; spesso sorride. Il film è questo, molto non tradizionale: non c’è un inizio, una fine, e qualcosa in mezzo. Non c’è una storia da raccontare, ma uno spaccato di vita, un po’ come nel film Paterson, di Jim Jarmusch (questo invece è un film di Wim Wenders). Il protagonista ovviamente entra poi in contatto con altri personaggi: il suo collega, un po’ squilibrato, la fidanzata dello stesso; un disabile affezionato al collega; la propria sorella e la sua figlia, dunque sua nipote; la signora da cui va a mangiare la domenica, il di lei ex marito. Ragionando, ma sarà già stato detto, tutte queste altre figure non sono felici, o hanno qualcosa che non va. Il suo collega poi si licenzia, la di lui fidanzata è in crisi, il disabile non trova più questo tizio con cui giocare; la sorella del protagonista, pure ricchissima, è infelice; sua figlia pure, e scappa di casa, andando dallo zio; la signora del ristorante è probabilmente ancora innamorata del suo ex marito, che peraltro ora è malato terminale. Per tutti questi, il protagonista ha parole di conforto e compassione, e davanti a loro scompare il fatto che lui pulisca cessi: rimane solo il fatto che lui è a posto e loro hanno invece problemi vari. Il film, ovviamente d’essai, è stato un fenomeno del passaparola, arrivando al secondo posto in Italia negli incassi settimanali, cosa quasi incredibile. Una nota per la bravura del protagonista, per lo sfondo (Tokyo), per la colonna sonora, assente se non per le canzoni top che sente il protagonista, in cassetta, e anche per i sogni, tutti in bianco e nero, quasi come se la realtà, per lui, fosse molto meglio dei sogni stessi. Il film doveva essere in origine un documentario sui bagni pubblici, ma così direi che è molto meglio. Critica e pubblico entusiasti, il film partecipò a Cannes dove il protagonista (Koji Yakusho, volto visto già altre volte) vinse come migliore attore. Partecipò anche all’Oscar come migliore film straniero, ma senza fortuna. Per me un film da 7,5.
Ho visto solo qualche sequenza del film, per ora; mi ha dato l’idea che per il protagonista il suo lavoro sia una forma di meditazione, se non di arte (nel contesto culturale giapponese le due cose possono facilmente coincidere).