È un po’ come quando, da noi, si fa l’applauso alle bare delle vittime di qualche organizzazione criminale e la scena viene ripresa e rilanciata nei tg: ho sempre avuto il dubbio che il risultato finale per la maggioranza fosse un richiamo al detto che insegna come campare più a lungo.
A proposito di oppositori di Putin, il prof Savino segnala in uno dei suoi articoli il movimento Put’ domoj – la strada di casa, nome del canale Telegram e poi del movimento – costituito da mogli, madri e sorelle dei coscritti, le quali si sono ritrovate
inizialmente nelle chat per discutere di quali prodotti, vestiti, stivali, equipaggiamento avessero bisogno i propri uomini, raccogliendo soldi per le necessità di ogni tipo: fatto che spesso passa inosservato, i soldati dell’esercito russo spesso devono provvedere da soli o con l’aiuto delle famiglie all’acquisto di provviste, indumenti pesanti
ecc.
Poi
da loro è partita l’iniziativa di spostare la discussione su un altro piano, dall’essere sostegno al fronte a rivendicare il ritorno a casa dal fronte, ponendo apertamente la domanda sussurrata nella società russa: quando finirà l’operazione speciale militare? Inizialmente a essere predominante è stato il risentimento verso chi non era stato mobilitato
successivamente
l’insoddisfazione per la mancata rotazione e per gli avvicendamenti al fronte promessi ma mai avvenuti è quindi sfociata in una posizione di contrarietà a una guerra di cui il senso sfugge ma se ne vedono gli effetti immediati: l’assenza dei mariti, dei figli e dei fratelli, o il loro ritorno a casa, mutilati nel corpo e nell’animo se non, cosa ben peggiore, in una bara di zinco.
Le modalità scelte per far sentire la propria voce sono originali, perché riescono a mettere in contraddizione le autorità, come la deposizione dei fiori al Milite Ignoto a Mosca e ai monumenti ai caduti della Grande guerra patriottica (com’è nota la Seconda guerra mondiale in Russia) in altre città. In silenzio, il capo coperto da uno scialle bianco che richiama (forse senza saperlo) le madri di Plaza de Mayo, in fila le donne lasciano dei garofani rossi per poi andar via, seguite da altri parenti e simpatizzanti. Arrestarle diventa a prima vista difficile: come si fa a metter le manette a chi onora i caduti?
Questa difficoltà si è vista anche domenica 4 febbraio, cinquecentesimo giorno dall’inizio della mobilitazione, quando nella capitale russa circa trecento tra donne del movimento e sostenitori si sono incontrati ai Giardini d’Alessandro per deporre i fiori, attorniati da giornalisti presto fermati dalla polizia e poi rilasciati dopo che si era formata una piccola ma decisa folla attorno al commissariato di Kitaj-gorod per chiedere di liberare i cronisti. L’itinerario prima però ha visto una sosta al comitato elettorale di Vladimir Putin […]
Gli appuntamenti continuano a radunare sempre più gente, come si è visto domenica 11 febbraio a Mosca, e, come avvenuto nel caso delle code per la sottoscrizione della candidatura di Nadezhdin, consente una riflessione sulla ricerca di canali di protesta che non facciano rischiare la galera: al momento non sono previsti articoli né leggi e si utilizzano questi momenti per esprimere il proprio disaccordo.
Come evolverà e se crescerà la capacità delle donne dei mobiki, come vengono chiamati un po’ bruscamente gli uomini mobilitati, lo vedremo nel corso di questa primavera; di sicuro si tratta di un ulteriore effetto collaterale della guerra voluta dal Cremlino.
Qualcuno qui ha letto “la Russia di Putin” di Anna Politkovskaja? Li era già scritto tutto. Dall’invasione alle madri dei soldati.
Se non l’avete letto, fatelo.
Senz’altro. Ma anche gli altri:
Ma molte cose che oggi ci sorprendono, sono in realtà state previste ampiamente dall’autrice. Anzi, più che previste: raccontate. Perché accadevano anche all’epoca della seconda guerra cecena.
Dovremmo leggerlo tutti perché eravamo distratti.
Vengo a scoprire oggi che farebbe parte di un detto famoso (ma un link?), che però non ricordo di aver sentito - a scuola e nei libri di allora non c’era (o forse da giovanissimo non ero molto attento alle lezioni, chissà).
Comunque l’occasione è la vicenda del sabotaggio al Nord Stream, il gasdotto russo che riforniva l’Europa, vicenda che si voleva imputare al nemico, a prescindere dall’illogicità della cosa - al nemico bastava chiudere un rubinetto, non serviva piazzarsi un esplosivo nelle sue tasche.
Le nostre democrazie liberali hanno avuto la capacità di una lettura «revisionista» della propria storia, che metteva da parte i toni agiografici e analizzava i torti commessi dai vincitori. Quando a vincere è l’Occidente liberaldemocratico, non è vero che «la storia la scrivono i vincitori» (cioè cancellano le ragioni degli sconfitti): abbiamo riempito biblioteche con le nostre autocritiche.
Come no. Infatti noi eravamo tutti partigiani, e gli alleati, bombardando e sterminando, ci hanno liberati, giusto? Che noi eravamo tutti buoni e bravi, a parte un cattivissimo e una dozzina di amici suoi che, da soli (e unici responsabili) costringevano tutti i nostri bisnonni e i nostri nonni ad avere la tessera di partito (e invece, per dire, il green pass necessario per uscire di casa lo abbiamo voluto tutti tranne i terrapiattisti, no?). E avevamo un sacco di eroi e di santi -non solo noi, mezzo mondo- che, pro bono, salvavano tante persone destinate ai campi di lavoro (casualmente costruiti nei pressi delle nostre fabbriche) e ai campi di sterminio, che in Italia non c’erano (perché noialtri, all’occorrenza, piuttosto si faceva fare una gita in treno ai vincitori di vacanze premio).
Nel mio articolo sul Corriere di quel settembre 2022 avevo previsto, correttamente, che le bugie hanno le gambe corte nelle nostre democrazie: prima o poi i tentativi di occultare la verità, gli insabbiamenti, le manovre per depistare, vengono sconfitte da una stampa libera e indipendente
Ma certo: la stampa è libera e indipendente nel nostro paese, e assolutamente non politicizzata. Fa niente che sopravviva coi soldi di imprenditori o col denaro pubblico erogato da questo o quel partito, essa è libera e nessun giornalista deve rendere conto ad alcuno. E infatti, il libero giornalista in libero Stato ora ce la dice, la verità:
In realtà le cose sono andate così: Kiev è riuscita fare il colpo e nascondere la mano, abbastanza a lungo che quando la verità si è saputa le reazioni sono state blande.
Anche perché Mosca non ha saputo cogliere l’opportunità per segnare un punto nella sua propaganda. È successo anche questo: ora che è uscita la verità sull’attentato ucraino, Putin la rifiuta. Perché? Non è funzionale alla sua narrazione, secondo cui l’Ucraina è una miserabile nazione-fantoccio, manipolata dalla Nato e dall’America. Nella propaganda di Putin è inaccettabile che l’Ucraina sia capace di exploit come l’esplosione sottomarina che mise fuori gioco Nord Stream. Deve essere stata la Nato a farlo
Sicuro: hanno stato gli ucraini, da soli, con una barchetta, senza che nessuno ne sapesse niente. Anzi, come spiegato all’inizio, Biden, informato prima, ha messo il veto, però il povero Zelnsky non è stato obbedito da quel manipolo di sub - saranno state 4 o 5 persone - che ha fatto di testa sua.
Sì, certo, è stato detto anche di Nazioni che hanno ostacolato le indagini, ma si sarà trattato del solito impiegato infedele, magari di origini russe. Che qualche infiltrato o qualche terrapiattista c’è sempre.
Del resto c’è sempre qualcuno, fra noi, che mette sullo stesso piano democrazie e dittature, e accusa l’Occidente di essere altrettanto bugiardo. A queste voci non bisogna rispondere in modo dogmatico. Ogni tanto siamo bugiardi anche noi, purtroppo, è vero. Alla lunga però siamo capaci di una trasparenza che altri regimi politici ignorano.
Ecco, diciamolo: noi siamo i più bravi e il nostro è il Paese più bello del mondo. Viva la stampa libera in libera guerra!
Siccome alla fine gira sempre tutto intorno all’economia, non fa male seguirne l’andamento in Russia. Riporto l’ultimo post dal canale Telegram del prof. Savino:
Il rublo si indebolisce di nuovo rispetto a dollaro e euro: oggi ci vogliono 109,58 rubli per un dollaro e 116,14 per un euro.
È un bene o è un male?
Dipende da quali indicatori si prendono in considerazione: per l’export russo - ancora oggi prevalentemente pagato in dollari e euro nonostante i proclami di ricorso ad altre valute - vuol dire incrementare i profitti, così come le entrate del fisco russo;per la gente comune però è un male, aumenta l’inflazione, cioè i prezzi, e già in questi giorni si è assistito a un aumento degli elettrodomestici, dei device informatici e di altre merci prevalentemente importate.
In questo frangente si assiste anche all’ennesima polemica sulle politiche della Banca centrale russa, il cui tasso d’interesse è molto alto (21%, si discute di alzarlo ulteriormente a dicembre al 23%).
Però Elvira Nabiullina, la governatrice della Banca centrale, è in missione per conto di Vladimir Putin: infatti le lamentele del mondo imprenditoriale riguardo al livello “anormalmente alto” del tasso d’interesse di riferimento non hanno trovato una sponda nel presidente, anzi. Putin sostiene la rigida politica della Banca Centrale e ha dichiarato:
«alcuni esperti ritengono che con un’inflazione dell’8,5% un tasso del 21% sia eccessivo, troppo elevato. Se dite che i prezzi continuano a salire, allora bisogna comunque riflettere se questo tasso sia effettivamente troppo alto o no». Oggi per quanto riguarda il tasso reale (corretto per l’inflazione), la Russia è già al secondo posto a livello mondiale, ma nemmeno questo approccio riesce a ridurre l’inflazione, che si attesta all’8,6% su base annua e che, probabilmente, supererà le previsioni recentemente riviste al rialzo dalla Banca Centrale.
Molti sottolineano che l’alto tasso ha reso i prestiti troppo costosi, impedendo così possibilità di investimento alle imprese. Il centro analitico vicino al governo, lo TsMAKP, ha evidenziato che la redditività in molti settori si è allineata o è persino scesa al di sotto del rendimento dei titoli di stato (OFZ), rendendo gli investimenti privi di senso: perché rischiare avviando un progetto, quando si può prestare denaro al Ministero delle Finanze senza complicazioni? Dmitrij Alekseev, fondatore della rete DNS, ha definito la situazione economica «imprevedibile e strana, in cui… è difficile immaginare un’attività commerciale che possa competere in termini di redditività con un deposito presso Sberbank».
Già. Poi se ti mandano la casa a fuoco perché non sei simpatico al regime… No, vabbè, non voglio fare il complottista, ma pensavo a quel che è successo alla moglie del prof Savino, che è dovuta tornare per un po’ in Russia per sistemare alcune cose e giorni fa ci ha quasi rimesso la pelle nell’incendio della sua abitazione. È riuscita a salvare uno dei suoi cagnolini, ma l’altra e il gatto non ce l’hanno fatta. Senza contare tutto il resto che è finito in cenere. Da notare che in casa non c’era nessun fuoco acceso, la prof era andata a dormire e quindi aveva spento tutto. Un corto circuito “patriottico”?