Premi Hugo e Nebula

1997

Che annata…e vabbè.

Vince l’Hugo per il migliore romanzo

Vince invece il Nebula l’inedito

Non è di certo con entusiasmo che al tempo mi misi a leggere il terzo libro della trilogia marziana di Robinson. I primi due non mi erano piaciuti per niente, e ora mi toccava leggere questo, in originale, e per tutte le sue (quasi) 700 pagine. Al tempo infatti era inedito, in Italia. Sicuramente il mio giudizio poi fu un po’ influenzato dal fatto che i primi due non mi sono piaciuti, ma insomma….Ritrovi i personaggi e le vicende esattamente dove li hai lasciati dopo Green Mars. E come sempre, i personaggi sono senza spessore, noiosi; i loro pensieri non interessano nessuno (me almeno), né tanto meno sapere il loro stato d’animo, la cui condizione ti viene ripetuta inutilmente per pagine. Neppure le loro vicende suscitano il benchè minimo interesse, vista la totale mancanza di plausibilità che permea la trilogia tutta. Non parliamo poi dello stile di scrittura, lentissimo, con frequenti descrizioni inutili, sovrabbondanti, che lasciano ben intendere che l’autore fu pagato un tot a chilo e a parola. Questo almeno immagino, perché le alternative sarebbero o che odia i suoi lettori, o che il suo editore, vinto dalla sonnolenza, non fu in grado di tagliare 3-400 pagine (a caso, tanto non cambiava nulla), per recuperare un minimo di leggibilità.
Questo terzo libro, non l’avrei ritenuto possibile, è pure peggio dei precedenti. Siamo su un voto di 3, era inedito in Italia e al tempo speravo lo rimanesse. Che poi fosse stato ritenuto il meglio dell’anno, riflette una crisi mica da ridere della Fantascienza scritta nel periodo. I dialoghi erano al solito mal fatti, mal congegnati, poco plausibili, facilmente intercambiabili da un personaggio all’altro; mai brillanti. Suonano fasulli e primitivi.
E’ un libro dove, tranne un blando interesse alla fine, non accade nulla, letteralmente nulla. A metà libro vanno a male le patate che stavano crescendo a un tizio, sul suolo marziano, e questo è probabilmente la cosa più emozionante di tutte le 700 pagine.
E’ il libro ideale, d’inverno, col freddo… se avete il caminetto e vi manca della carta per accenderlo, intendo, non come lettura.
C’è un concetto che l’autore in questa trilogia dimentica: scarsezza di risorse. Non si capisce da dove piovano le risorse per fare tutto quanto descritto nei tre libracci. Per lui la grana, la pecunia, non è mai un problema, tutto viene fatto senza patemi: su Marte milioni (!) di persone vagano per i c*i loro come se non ci fossero problemi a farlo, quando se anche vivi sulla Terra, il bighellonare senza un euro in tasca presenta i suoi enormi problemi. In questo terzo libercolo, pare che un milione di persone all’anno si trasferisca su Marte. Con che soldi? Uno pensa… boh, forse l’Autore immagina una Terra ricchissima, dove semini cacca e raccogli oro…macchè, la Terra è sempre quella. Sovrappopolata, in guerra, senza risorse, colpita tra l’altro da una catastrofe biblica, come lo scioglimento di gran parte delle calotte polari e alluvioni ogni dove (ma la vita, chissà come, prosegue più o meno come al solito). Eppure, per magia, invia centinaia di migliaia di persone su Marte, quando oggi, con problemi minori, è già fuori budget spedire una cartolina sulla Luna.
Pure su Marte, pertanto, il Nostro non si pone problemi a escogitare costruzioni faraoniche, senza dimenticare che già stanno terraformando il pianeta (con gli spiccioli, immagino). Ma superata la metà libro, non ci ho visto più: “…… At the new supercollider in Rutherford Crater’s rim, they had found the second Z particle that string theory had long predicted would be there.”
Cioè, per non farsi mancare nulla, da qualche parte si costruiscono pure il niu supercollider… MA VAFFANC.
Io come lettore mi sento preso per i fondelli, e da un’opera che, se stampata su carta ruvida, non sarà neanche buona per l’ultimo utilizzo possibile.
A 280 pg dalla fine (o all’alba sarebbe da dire, e chi ha fatto la naja, mi capisce) l’Autore prima inventa dal nulla un motore che permetterà il viaggio Terra – Marte in 3 gg; poi fa partecipare uno dei protagonisti alla corsa a piedi intorno al mondo (che dura 200 gg, ma si è capito che su Marte non serve lavorare, è una continua vacanza, sorretta non si sa da cosa). Che due maroni, mi mancava che l’autore mettesse dentro anche questo Forrest Gump (film uscito un paio d’anni prima… Idea originale, soprattutto, no?).
I vari protagonisti sono simpatici come il famoso piranha nel bidè. Prendiamo ad esempio l’odiosa Zo, la ninfomane: va a fare una passeggiata con un amico su Mercurio, rischiando ovviamente la pelle. Salvi per un pelo, sfuggono all’arresto, con l’accusa di manifesta idiozia (dico io) rifugiandosi nell’immunità diplomatica. Dunque, stronza e viziata. Anche perché, dopo un viaggio Marte – Mercurio, che manderebbe Bill Gates sul lastrico (ma di ciò, come detto, l’autore mai si cura), la tizia prende una navetta per la Terra, dove va a bighellonare (ripeto, non mi pare lavori nessuno, in sta trilogia), per poi prenderne un’altra per tornare su Marte (e anche lì, a non fare una fava). Ma forse gli uomini Sapiens, nel XXII secolo, cagano oro, perché altre soluzioni non ne vedo.
Uno dei grossi problemi che ha l’autore, evidentemente, è che deve raccontare qualcosa, quando oramai non c’è nulla da raccontare, quando non hai personaggi né interessanti né plausibili, e infatti per centinaia di pagine non accade nulla degno di nota. Non solo, ma l’autore, in spaventosa crisi creativa, davanti alla pagina bianca non riesce a inventarsi nulla: un dramma, una tragedia, un giallo, un thriller, un ca**o di qualcosa che almeno giustifichi altre 1.500 pagine dopo le 600 del primo libro. Solo il primo libro, che non mi era piaciuto, aveva qualcosa da dire, e c’era almeno un conflitto tra due protagonisti; negli altri due non c’è nulla.
Vabbè, per me abbiamo uno dei peggiori premiati della storia dell’Hugo, premio che doveva / dovrebbe avere il coraggio, in certe edizioni, di dire “Sorry, a nostro giudizio nulla merita di essere premiato”. Ma poiché a votare sono i convenuti, la colpa è loro. Loro la colpa, insomma, se con premiati come questo si infanga e riduce il prestigio di un premio.

Per il Nebula, in questa edizione Slow River batte addirittura L’era del diamante, vincente l’Hugo l’anno prima e che avevo trovato opera niente affatto malvagia.
Si fa un po’ fatica a classificarlo SF, questo romanzo. Ok, ci sono due – tre cosette che sono di là da venire, ma sono pure un po’ marginali, se vogliamo. La storia è quella di una ragazza riccona, che viene rapita per estorsione, riesce a scappare e si crea una nuova vita. L’opera parla delle sue vicende seguendo vari filoni, e alternandoli, con flash-back. Lei bambina, lei via via più grande; lei ora, operaia; lei appena dopo il rapimento, raccolta da una salvatrice, che però la porterà su strade particolari.
La protagonista, come l’autrice del romanzo, è donna e lesbica. Fa un po’ strano vedere che la salvatrice della ragazza è pure lei donna e lesbica; al lavoro poi, la sua capa è donna e chiaramente lesbica. Non è questo che però suscita perplessità, pure essendo una coincidenza molto rara, direi. Ma è il fatto che per ben tre anni la nostra eroina incontra un sacco di gente e nessuno la riconosce (anche se il suo rapimento monopolizzò i media). O il fatto che sta cretina, una volta salva, non si riavvicina alla famiglia, perché ritiene che le vogliano male (su basi esili e discutibili assai). O che per anni lei creda una cosa, quando poi una chiacchierata (di una pagina) con la capo operaia le dimostra che la sua convinzione era assurda.
Insomma, varie incongruenze, se non vere e proprie stupidaggini, inficiano un po’ il tutto, che comunque era partito bene ma poi si era largamente perso nell’eccessiva lunghezza; non in assoluto (3-400 pagine), ma in relazione a quanto c’era da raccontare. Per il resto, il libro è scritto bene e scorre piuttosto facilmente. L’autrice è brava (tra l’altro, la sua fidanzata è pure lei autrice nel settore), ma l’opera ha due difetti principali, per riassumere. Uno, non è fantascienza, se non in senso molto lato, e due, essendo un’opera da 6, alla fine, non meritava il premio Nebula. Meglio L’era del diamante, in concorso e vincente l’Hugo la scorsa edizione. E allora? Allora magari fa più radical chic premiare l’opera della autrice lesbica e la sua operina che ricorda molto il minimalismo a la La lingua perduta delle gru o Ballo di famiglia: ben scritti, ma dove non accade nulla o quasi, gente normale, gente che parla delle sue sfighe… Libri un po’ intellettuali e perfetti per il premio Nebula, che mi sembra punti spesso a premiare l’operina sfigatina ma ben scritta. Esagero ma mah, che dire.

Persero, per l’Hugo: Memory, di Lois McMaster Bujold (stesso titolo in originale), Non umano, di Elizabeth Moon, Starplex, di Robert J. Sawyer (stesso titolo in orginale), Fuoco sacro, di Bruce Sterling.
Per il Nebula: l’inedito The silent strength of stones, di Nina Kiriki Hoffman, l’inedito Winter rose, di Patricia McKillip, l’inedito Expiration date, di Tim Powers, Starplex, di Robert J. Sawyer e L’era del diamante, di Neal Stephenson, vincente l’Hugo l’edizione scorsa.

Romanzo breve, vince l’Hugo Sangue di drago , di George R. R. Martin. Vince il Nebula l’inedito Da Vinci rising, di Jack Dann.

L’Hugo per trovare qualcosa degno di nota deve addirittura buttarsi nel Fantasy, premiando il romanzo breve di Martin. Nel luglio ’96 codesto uscì su Asimov’s, precedendo di poco (agosto) l’uscita del romanzo completo, che si chiama Il trono di spade. Il resto è storia, sarebbe da dire, dato l’enorme successo che ha avuto la saga, per non parlare della serie tv. Questo romanzo breve è un definitiva un estratto, pari ad alcuni capitoli del libro completo.
Fantasy di ottima qualità. Niente di originale, ma scritta benissimo, con una prosa fluida e avvincente. La storia ricalca tante cose già viste, magari modernizzate nell’approccio, eppure funziona benissimo. Bravi, tutto bello, ma ahimè, confermerebbe che la SF traballa più del genere Fantasy, che pare essere in buona salute. Insomma, un premio fuori tema (ma estremizzo, chiaro). La storia non la narro… ma sì dai, accenniamo che narra la storia di questi due fratelli, un lui sfigato e una lei poi protagonista, che va giovanissima sposa a un re di un popolo barbarico (ma tutto il mondo narrato è barbaro assai). Seguono vicende avvincenti, in un gran crescendo.
Il Nebula ha ritenuto l’opera di Dann meglio di questa, e anche dell’onesto vincente l’Hugo nell’edizione scorsa. Il Da Vinci del titolo è proprio lui, il nostro genio Leonardo. L’operina parte bene, poi si arena, si incaglia e alla fine stuficchia pure. Si immagina il Leonardone, che a bottega ha pure il giovane Machiavelli (cosa che non mi pare vera), e che è intento a inventare il primo aereo. Poi però in seguito a tragici collaudi e a sopravvenuti scrupoli di coscienza, il Nostro lascerà perdere tutto. Ci sono Lorenzo Il magnifico, Botticelli, Firenze, la Toscana, ….il pubblico anglosassone sarà andato in visibilio. Molto meno il sottoscritto, però, a cui non basta sbolognare qualche collina o il Leonardo che scrive al contrario, per incantarlo. E la fantascienza? Boh, non pervenuta. Siamo nel fantastico, nell’immaginato, nell’immaginario. L’avesse chiamato Il codice da Vinci, magari l’autore avrebbe avuto più successo, ma sarebbe stato troppo avanti per i tempi. Sarebbe stato fantascienza, a pensarci, insomma. Opera inferiore a quelle premiate con l’Hugo.

Persero: l’inedito Immersion, di Gregory Benford; I viaggiatori del tempo non muoiono mai, di Jack McDevitt; l’inedito The cost to be wise, di Maureen F. McHugh; l’inedito Abandon in place, di Jerry Oltion; l’inedito Gas fish, di Mary Rosenblum. Questi per l’Hugo.
Persero per il Nebula Liberazione della donna, di Ursula K. Le Guin; Sangue di drago, di George R. R. Martin; I viaggiatori del tempo non muoiono mai, di Jack McDevitt; L’inedito The cost to be wise, di Maureen F. McHugh; La morte di Capitan Futuro, di Allen Steele (vincente la scorsa edizione l’Hugo).

Racconto, ancora una scelta diversa. Vince l’Hugo per il migliore racconto Il riparatore di biciclette, di Bruce Sterling. Il Nebula premia l’inedito Lifeboat on a Burning Sea, di Bruce Holland Rogers.
Per l’Hugo, finalmente un racconto di fantascienza e finalmente una cosa bella, e che è bello premiare! Una boccata di ossigeno, che ci regala un simpaticissimo riparatore di biciclette, con la sua peculiare officina, che vive d’amore (poco) e d’anarchia nel suo quartiere che ricorda il migliore Pennac. In tanta vita modesta ma onesta a modo suo, si intromette una specie di ninja pseudo governativa, esponente di quei gruppuscoli pseudo fascisti che fanno quello “che deve essere fatto”, per salvare la civiltà e la società (almeno nelle loro teste bacate). Che poi ciò sia completamente illegale, fuori da ogni controllo, e opinabile, non sfiora i loro cervellini.
Ma troverà una spassosa reazione, nel momento che cercherà di fregare il riparatore e i suoi fighissimi amici. Di più non è da dire, perché è un racconto che sarebbe da rispolverare e ritrovare (e leggere). L’ho trovato come una bottiglia di acqua fresca, in mezzo al deserto di proposte lette ultimamente. Premio meritato.
Molto minore invece il racconto vincente il Nebula, che deve molto a Killer on-line di Sawyer. Certi spunti sono presi di peso da quel romanzo, anche se con esiti molto modesti. Vorrebbe poi essere anche uno pseudo – thriller, ma non è all’altezza. Parla di queste persone morte, di cui si ricreano a computer le personalità, tanto che poi alla fine puoi dialogare coi loro ologrammi e vedere reazioni e sentire discorsi come fossero ancora vivi. Mah, è un’opera inedita in Italia e ciò non sorprende. Non completamente malvagio, ma una sufficienza stentata e discutibile non mi pare meriti premi di sorta.

Perdenti per l’Hugo: l’inedito Age of Aquarius, di William Barton; l’inedito Beauty and the Opéra or the Phantom Beast, di Suzy McKee Charnas; l’inedito Mountain ways, di Ursula K. Le Guin; l’inedito The Land of Nod, di Mike Resnick.
Perdenti al Nebula: Erase/Record/Play, di John M. Ford; l’inedito Mirror of Lop Nor, di George Guthridge; l’inedito The Chronology Protection Case, di Paul Levinson; Il dovere e la gloria, di Harry Turtledove; l’inedito The Perseids, di Robert Charles Wilson; Dopo un duro inverno, di Dave Wolverton.

Infine, il racconto breve. Altra scelta diversa. L’Hugo va a L’anima sceglie i propri compagni: Invasione e repulsione: Reinterpretazione cronologica di due liriche di Emily Dickinson: una prospettiva wellsiana , della Connie Willis.
Il Nebula va a A Birthday , della Esther M. Friesner.

Ordunque, l’opera della Willis è un piccolo e intelligente divertimento, un saggio in cui vuole dimostrare che la poetessa Dickinson ebbe una parte importante nel fare fuggire i marziani (a loro volta immaginati da Wells). Il tutto è fatto con garbo e umorismo, con tanto di finte note a piè di pagina, citazioni di libri mai esistiti, dai titoli divertenti… Insomma una cosuccia inoffensiva ma simpatica.
La Friesner che vince il Nebula invece deve essere stata incazzata assai (come ebbe a dire, peraltro), perché immagina una storia in cui mette tutto il suo livore. Immagina una società dove chi abortisce viene punito vedendo il proprio figlio mai nato in ogni dove (a video), non solo, durante gli anni il bambino cresce e interagisce a video con la donna che preferì abortire. La protagonista dunque per anni, ogni volta che accedeva a una tv, a un monitor, a un bancomat, veniva perseguitata da questo rimorso elettronico, e l’opera narra la fine della condanna, al compimento del sesto anno della figlia, che coinciderà con l’ultima visione della figlia stessa, a cui poi negli anni si è affezionata. La protagonista infine si suicida. Mah, trovo perfino spregevole questa impostazione e questa idea, malgrado il raccontino si faccia leggere bene. E’ proprio lo spunto iniziale che mi pare pornografia sentimentale. Chissà, si vede che l’autrice non ha in simpatia chi abortisce, che ne so, però che me ne frega a me dei pensieri della Friesner?

Artista: vince ancora Bob Eggleton.

Film e compagnia bella, vince Babylon 5: Sogni spezzati , decimo episodio della terza serie.
Come ho detto in altre occasioni, non ho visto la serie (che mi incuriosisce ancora assai); sono pertanto il meno indicato a parlare del premiato. Ricordo solo che su IMDB ha un incredibile voto di 9,6, evidente frutto di cultori della serie (infatti dopo tanti anni i voti sono ancora pochi). Questo episodio, citando Wiki, è quello dove il Presidente Clark cerca di prendere il controllo di Babylon 5 con la forza, costringendo Sheridan e il suo equipaggio a prendere le armi contro il proprio governo. Delenn si confronta con il Consiglio Grigio. Boh, per qualcuno sicuramente il tutto vorrà dire qualcosa.
Foto come sempre da IMDB

Tra gli sconfitti, Indipendence day e Mars attacks!