Titolo: Stazione Undici
Titolo originale: Station Eleven
Serie: Autoconclusivo
Autore: Emily St. John Mandel
Editore: La Nave di Teseo
Traduttore Milena Zemira Ciccimarra
Genere: Fantascienza
Data d’uscita in Italia: 2015
Pagine: 464 (ed. brossura)
ISBN: 9788834620441
Sinossi:
Kirsten Raymonde non ha mai dimenticato la sera in cui Arthur Leander, famoso attore di Hollywood, ebbe un attacco di cuore sul palco durante una rappresentazione del Re Lear. Fu la sera in cui una devastante epidemia di influenza colpì la città e, nel giro di poche settimane, la società, così com’era, non esisteva più. Vent’anni più tardi, Kirsten si sposta tra gli accampamenti sparsi in questo nuovo mondo con un piccolo gruppo di attori e musicisti. Si fanno chiamare Orchestra Sinfonica Itinerante e si dedicano a mantenere vivo ciò che resta dell’arte e della musica per il bene dell’umanità.
Opinione:
Spoiler: mi è piaciuto.
Tanti ottimi autori si sono cimentati in questo tema; accettare questa sfida significa partire in salita: la disgregazione della società umana a causa di pandemie apocalittiche è nella letteratura di fantascienza come uno standard jazz. Se non si usa un’idea originale bisogna lavorare sullo scenario e fare in modo che tutto resti coerente con i personaggi che lo popolano. Non basta: per catturare un lettore maturo bisogna che la storia sia originale e sappia sfuggire agli stereotipi dopo averli usati a proprio vantaggio. Come nel Jazz per spiccare occorre essere bravi nell’esecuzione e nell’improvvisazione. Bisogna saper sorprendere.
Dopo “La Strada” di Cormack Mc.Carthy è dura inventarsi qualcosa di nuovo sull’umanità alle prese con quello che resta dopo la fine del mondo. Invece, in “Stazione Undici”, si introduce una variazione sul tema: la leggerezza nella narrazione ottenuta grazie a un sapiente alternarsi di salti temporali utili per svelare i personaggi nel loro “prima” e nel loro “dopo”. Un accorgimento che si trasforma nel legante necessario, non solo per raccontare una storia corale, ma anche per allentare la tensione e togliere cupezza.
L’autrice, con il suo stile diretto e mai eccessivo, non cade nella facile trappola dell’horror o del granguignolesco. Emily St.John Mandel è una vera “creatrice” di universi (anche “distruttrice”, se per questo): il mondo dopo la fine del mondo immaginato da lei è persistente nelle suggestioni quasi fino a sembrare reale. Quello che resta dopo l’apocalisse ha nostalgia del vecchio mondo, ma in una maniera inquietante: come se quel male che perseguitava l’umanità fosse una inevitabile eredità. Così, la caduta della civiltà, finisce, come sempre, per liberare l’orrore intrinseco nell’anima umana non più prigioniero delle leggi e delle convenzioni sociali; ma non senza validi antagonisti: anche la cultura, la leggerezza, l’empatia, la speranza riescono a sopravvivere per tenerlo a bada.
Raccontare questa lotta senza forzature, esagerazioni, facili concessioni al buonismo è una missione difficile se non impossibile. Contro tutte le aspettative Emily St. John Mandel riesce a fare un bel lavoro grazie a uno stile spigliato e moderno, aggiungendo ottime invenzioni e un punto di vista originale. Si lascia l’ultima pagina del libro soddisfatti. Ottima lettura.