Titolo: Snow Crash
Titolo originale: Snow Crash
Serie: Autoconclusivo
Autore: Neal Stephenson
Editore: Mondadori
Traduttore Paola Bertante
Genere: cyberpunk
Data d’uscita in Italia: 2022 (prima edizione 1992)
Pagine: 587 (ed. brossura)
ISBN: 9772039757378
Sinossi:
In una America del Nord che non è più Stati Uniti ma una serie ininterrotta, identica, ripetitiva ed ossessiva di catene di negozi che sono diventati stile di vita e simbolo, Hiro - ex fattorino della pizza, hacker e investigatore - incontra Y.T. korriere su skate, e dovranno unire le forze contro un virus informatico (ma anche biologico, culturale e quanto altro) che potrebbe travolgere il mondo intero.
Opinione:
Ennesima edizine di un libro che ha fatto scuola, è stato citatissimo e ha dato pure ispiraizone a Meta, la mega azienda che possiede facebook, whtsapp e quanto altr, ossia strumenti di tutti i giorni. Strano che un libro esplicitamente satirico (dopo tutto, Hiro Protagonist è il personaggio principale e consegna pizze per la mafia, che è diventato un marchio… sembra stupido, ma lo è davvero - basta non prenderlo sul serio) sia stato scambiato come una sorta di manuale, probabilmente non cogliendo alcuni aspetti di critica sociale.
Come dicevo basta non prendersi sul serio, siamo sulla scia di Judge Dredd o le opere a fumetti di Frank Miller, come Hard Boiled o Give Me Liberty; e cito i fumetti eprché velocità di narrazione, aventura e scene pittoresche sarebbero estremamente adatte - più che a un film. Eppure, a un certo punto il ilbro tende a torcersi a a prendere una piega più serie del previsto, rovinando l’effetto acquisito. Sì, perché tra spiegoni (anche se in effetti la parte archeologica è fatta bene, ci sono svariati dettagli che potrei confermare) , personaggi che scompaiono senza motivo (a volte riappaiono solo perché fanno comodo) e una visione estremamente (ex)usa-centrica, lo spettro della dittatura religioso-informatica guida la storia verso un finale estremamente prevedibile, per quanto molto godibile, ma con un piglio di chi non sa più bene se puntare su questo o quel tema.
Per cui 'sto mondo assurdo, colorato, schizzato, pieno di quegli stereotpi che hanno fatto il cyberpunk la caricatura di sé stesso, un tempo mi avrebbe fatto incavolare a morte, adesso mi fa sorridere. Sì, perché l’insisitenza ridicola della simbologia antica con 1 e 0 sembrano una illuminazione sapienzale da adolescente che non ha una vaga idea di come le cose siano mille volte più complesse, l’idea del metaverso è carina in superficie ma certamente antistorica (nel senso, che mica la navigazione su internet nasce come un immenso gioco di ruolo - prima nascono connessioni veloci e minimali, poi forse le piattaforme complesse, ma nel libro esiste solo ed esclusivamente il metaverso), le date non tornano (il padre del protagonista è stato nella WWI? E in che anno siamo, nel 1970?), il travisare il concetto di hacker (che non è un programmatore) e tanti tanti tanti piccoli grandi motivi per rendere una lettura superificale ancora divertente 30 anni e coda dopo, ma una lettura critica decisamente deludente.
Nelle prime opere cyberpunk c’era l’idea di una popolaizone che si adattava ad un mondo in estrema evoluzione tecnlogica e sapeva sfruttarla per crearsi una sua nicchia. Penso a Molly di Neuromante, che si fa piantare occhiali e lame di rasoio per essere una samurai di strada o il giamaicano che ascolta musica dub tragjhettando gente nello spazio, gente ai margini ma “integrata”. Penso ai meccanisciti e plasmatori della Matrice Spezzata, e di gente che si evolve a secondo delle esigenze. Penso alla scoperta di Sterling di un mondo fuori dagli USA, un mondo ricco, complesso, che vive senza gli USA, che si muove, pensa parallalemente, un mondo ricco, esotico, strampalato a volte, i cui “poveri” riescono in qualche modo a sopravvivere approfittando e storcendo (come un hacker appunto) tecnologie pensate per tutt’altro, come nel racconto Il Riparatore di Biciclette (sempre di Sterling), o la nuova popolazione del ponte di San Francisco nella seconda trilogia di Gibson, che crea una cultura dal nulla o dagli scarti. Vivere ai margini non significa essere fuori dal giro. Rudy Rucker fa usare la matematica trascendente ai suoi folli personaggi per divertimento, storpiando e torcendo a proprio piacimento qualcosa che è fatta per il divertimento (Chaos Surfari ad esempio).
Ecco che quindi il protagonista abilissimo e bravissimo e campione di spada è proprio l’antitesi del tema di fondo, che un mondo come quello descritto non sembra avere una vera ragione di esistere. Se poi è la goliardia satirica a fare da guida, bene, si può leggere con l’occhio di chi sa che sono esageraizoni (anche critiche), ma quando si perde l’umorismo (che nel libro va e viene) il giochino secondo me mostra la sua debolezza.
Certamente non il capolavoro tanto decantato e in italiano non ho letto mai una critica seria a questo libro (in inglese non ho approfondito eprché mi pare di averci speso abbastanza tempo)
Ecco