Orgoglio mascolino

Ecco il raccontino che avrebbe dovuto partecipare al concorso Anonimomania, direttamente dagli scantinati degli inediti di Forevera Books. Non fu mai pubblicato perché pensai che non fosse adatto a un pubblico di ragazzi.

Orgoglio Mascolino

La Cronomacchina sembrava più una faccenda architettonica che una rivoluzionaria invenzione. A chi non ne capiva nulla sembrava solo una piazza circolare col pavimento a intarsi bianchi e neri. Sembrava l’ esercizio prospettico di un architetto rinascimentale fuori tempo massimo. Lungo tutto il perimetro s’innalzavano i sessantaquattro archi metallici dei giganteschi Statori di Hawkings. Erano abbastanza massicci da resistere alle immani forze di marea che venivano generate dalle due masse lanciate a velocità relativistiche nell’anello superconduttore sospeso. Fin qui arrivava la comprensione della Cronomacchina di Gilberto. Erano cose che vedeva con i suoi occhi e che in fondo trovava rassicuranti. Per il resto il suo cervello umanistico si affidava ai pistolotti pseudoscientifici dei volantini turistici: “I due buchi neri artificiali ruotano in senso opposto e creano le crono-onde di interferenza, slabbrando così il tessuto del continuum spazio-tempo”. Uno leggeva una cosa del genere e aveva già la sensazione di sapere tutto. Si slabbra il tessuto spaziotemporale… cos’altro c’è da capire?
Il volantino diceva anche che il centro geometrico dell’anello era il punto dove la deformazione del continuum diventava una singolarità. Cosa succedeva a chi che si metteva in quel punto? Era una domanda retorica, non c’era in realtà nessuno disposto a farsi risucchiare nel centro del gorgo temporale per scoprire dove si finiva. Probabilmente si arrivava all’origine del tempo. Qualcuno teorizzava che forse il Big Bang era stato causato dai primi esperimenti con la Cronomacchina. Era stato spedito un cubo di metallo in un luogo dove le parole spazio, tempo e persino luogo non avevano ancora senso, giusto per vedere l’effetto che faceva. Il niente, non potendo più essere tale, si era talmente inviperito che era esploso sino a combinare tutto questo macello che chiamiamo ora universo. Gli anelli concentrici bianchi e neri, più vicini al centro della Cronomacchina non erano nemmeno segnati. Più ci si allontanava dal centro della piazza, più si viaggiava verso epoche vicine alla nostra. Per questo, a vederla dall’alto, la Cronomacchina sarebbe sembrata un colossale bersaglio per freccette.
Gilberto era la freccetta ben piantata sul riquadro nero che aveva come punteggio “Uruk – 2700 a.C.”. Un salto di cinquemila anni e rotti.
Le circostanze che avevamo portato Gilberto Gomez a proporsi volontario per un balzo indietro di cinquanta secoli avevano qualcosa a che fare con il suo talento di glottologo ma molto di più con la sua vita privata. La sua ex-moglie l’aveva lasciato all’improvviso. La situazione, come disse al suo avvocato divorzista, era ormai insostenibile: non sopportava più i continui approcci, le sveltine in ascensore, i bis nello studio dell’università, la biancheria a brandelli come dopo l’incontro con un licantropo feticista. Senza parlare della perenne infiammazione dove non batteva il sole.
«Gil, quando e troppo è troppo!» aveva esclamato vedendolo uscire dalla doccia del “dopo” con in mezzo alle gambe un’evidente promessa di “ancora”.
Gilberto, l’instancabile Gil, come lo chiamava la moglie, non poteva farci niente. Nella sua vita, dedicata allo studio della scrittura cuneiforme, aveva conosciuto in senso biblico una sola donna, quella che era diventata sua moglie. Purtroppo era anche la stessa che all’ultimo aveva guardato con infinito disprezzo la sua virilità. Se prima della separazione l’instancabile Gil aveva trovato sfogo per la sua inesauribile mascolinità, dopo di lei era come se fosse calato un pesante sipario sulla sua vita amorosa. Niente più era riuscito a smuovere quell’appendice flaccida, ormai solo un imbarazzante souvenir delle glorie passate.
Per questo motivo Gilberto si era offerto volontario a quella incursione in età sumera. Lo scopo ufficiale era il recupero della fonetica delle antiche lingue di Ur, quello personale era poter stare in un luogo lontano dove piangersi addosso e leccarsi le ferite per qualche anno.
Gilberto non era spaventato tanto dall’andata: tutti decantavano la capacità della Cronomacchina di depositare i cronoviaggiatori al momento giusto e nel posto giusto. Quello che lo terrorizzava era il ritorno: una risalita lungo i millenni senza scorciatoie se non quel contenitore di finta terracotta che si portava al collo legato con un laccio di cuoio. Era quello l’unico modo possibile per ritornare nel suo tempo, ovvero un contenitore pieno di nanotech autoreplicanti che, al momento opportuno, l’avrebbero avvolto in un bozzolo di lana di roccia, incistando il suo corpo, in animazione sospesa, dentro un pezzo di montagna. Gilberto doveva solo ingerire i nanotech, stendersi sopra una roccia e i microscopici automi l’avrebbero ricoperto di un materiale resistentissimo ricavato dalla roccia stessa. Doveva solo chiudere gli occhi e affidarsi al lungo sonno dell’animazione sospesa. Per cinquemila anni.
Seminudo, con i capelli acconciati in una lunga treccia, Gilberto toccò la boccetta di finta terracotta come se fosse un prezioso amuleto e in quel momento il ronzio della Cronomacchina crebbe sino a diventare un sibilo assordante. Si stava ancora domandando per quanto avrebbe dovuto sopportare quel frastuono infernale, quando tutto intorno a lui cambiò.
Niente di melodrammatico, semplicemente l’universo si “slabbrò”. Ci fu un rumore di seta strappata e lui si ritrovò a carponi su un sentiero polveroso, percependo immediatamente i raggi del sole cocente sulla pelle. Era passato. Era “nel” passato.
Gilberto si rimise in piedi e si guardò intorno non trovando niente di attraente in quella pianura desertica se non un agglomerato di squallide casupole e un boschetto di alberi bassi più vicino. Stava ancora domandandosi se quello fosse veramente Uruk, quando udì un urlo di donna provenire dal boschetto poco distante.
Quasi immediatamente da quella direzione Gilberto vide sopraggiungere qualcuno di corsa.
Il nuovo arrivato era completamente nudo ed evidentemente maschio. Si fermò davanti a Gilberto ed iniziò a girargli intorno come se lo stesse studiando. Era giovane, poco più di un ragazzo. Aveva uno sguardo intenso però con una scintilla animalesca. Il suo corpo era snello e muscoloso e quando si muoveva aveva qualcosa del predatore. Sotto l’arruffata massa di capelli neri, il viso si illuminò con un sorriso allegro e quasi infantile. Gilberto stava per accennare a un timido saluto quando l’altro afferrò fulmineo la fialetta dei nanotech e scappò via ridendo.
Gilberto guardò esterrefatto quello strano uomo correre via giubilante, mentre teneva in alto il nuovo trofeo: il suo biglietto di ritorno per il futuro. Ancora stordito dal balzo temporale, Gilberto impiegò parecchi secondi prima di rendersi conto della portata dell’avvenimento. Crollò in ginocchio, inebetito, sconvolto per l’ennesimo scherzo giocatogli dal destino. Ormai era bloccato per sempre nel passato. All’improvviso fu preda della disperazione. Pianse per il mondo moderno che aveva perduto per sempre. Pianse per la moglie che l’aveva abbandonato portando via con sé l’unica porta del paradiso che avesse mai conosciuto. Pianse per l’ignoto, per i pericoli che l’attendevano e, dato che c’era, pianse anche per la sua virilità umiliata, ferita e senza speranza di redenzione.
Piangeva ancora a dirotto, squassato dai singhiozzi quando si sentì sfiorare delicatamente una spalla. Accanto a lui era arrivata una giovane donna. Nuda anche lei. Era una ragazza bassa di statura, ma di una bellezza sconvolgente. Sembrò impietosita quando si rivolse a Gilberto in una lingua che a primo acchito gli sembrò sconosciuta. Subito il dottorato in glottologia del crono-viaggiatore prese il sopravvento. Era quella, dunque, l’antica lingua parlata di Ur? Com’è che le simulazioni al computer non erano arrivate nemmeno vicine?
«Come stai straniero [uomo sconosciuto-esterno a…]? Ti è accaduto qualcosa di male [brutto- cattivo]?»
«Donna gentile, ho ricevuto un torto, [sono stato/a derubato] da un uomo selvaggio [essere-animale]. Ho perduto un oggetto di molto importante», fece lui cercando di imitare l’accento della donna.
«Però qualcosa ti è rimasto», osservò lei con un tono malizioso, ma con gli occhi puntati in basso.
Chissà per quale portentosa alchimia temporale, in quel polveroso passato Gilberto aveva ritrovato quello che nel futuro aveva ormai perso irreparabilmente. Anche Gilberto arrossì, accorgendosi della nuova portentosa ed evidente (persino sotto il perizoma), energia che lo pervadeva.
La ragazza sorrise civettuola:
«Io sono Shamkat, la prostituta [colei che apre le gambe]. L’uomo selvaggio [essere-animale] che ti ha derubato si chiama Enkidu. Egli è il flagello di questi luoghi. Molesta ogni brava donna che va alla fonte. Sono stata pagata per concupirlo e condurlo con l’inganno ad Uruk [ovile-grande].
Tu chi sei straniero [uomo sconosciuto-esterno a…]?»
«Gil… Gomez… e vengo da molto lontano.»
«Gil…gamesh? Buffo nome, straniero. »
Gilberto aprì la bocca per ribattere, ma una fulminea consapevolezza lo fermò e iniziò a ridere.
C’era di peggio che ritrovarsi nel passato nei panni di un leggendario semidio con una vita lunghissima, ricca di peripezie e di portentose avventure. Gilberto sorrise sfiorando la mano di Shamkat e decise che quel futuro nell’antico passato gli piaceva.

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Buono. Per me era da 5/5.

Dopo qualche piccola limatura, ovvio


Erano cose che vedeva con i suoi occhi e che [virgola] in fondo[virgola] trovava rassicuranti.

Le circostanze che avevamo portato Gilberto Gomez a proporsi volontario
Avevano.

Però la frase va sistemata, anche per evitare la ripetizione di “avevano”.
Invece di:
“Le circostanze che avevamo portato Gilberto Gomez a proporsi volontario per un balzo indietro di cinquanta secoli avevano qualcosa a che fare con il suo talento di glottologo ma molto di più con la sua vita privata.”
Propongo:
Le circostanze, che avevano portato Gilberto Gomez a proporsi volontario per un balzo indietro di cinquanta secoli, erano legate anche al suo talento di glottologo, ma molto di più alla sua vita privata.

«Gil, quando e [<- è] troppo è troppo!» aveva esclamato [<- virgola] vedendolo uscire dalla doccia del “dopo” con [virgola] in mezzo alle gambe [virgola] un’evidente promessa di “ancora”.
ma anche meglio:
«Gil, quando è troppo è troppo!» aveva esclamato, vedendolo uscire dalla doccia del “dopo” con un’evidente promessa di “ancora” in mezzo alle gambe.

Purtroppo era anche la stessa che [virgola] all’ultimo[virgola] aveva guardato con infinito disprezzo la sua virilità.

Se [virgola] prima della separazione[virgola] l’instancabile Gil aveva trovato sfogo per la sua inesauribile mascolinità, dopo di lei

[Qui sotto servono soprattutto per prendere fiato. Ci sono posizioni alternative]
una risalita lungo i millenni [qui anche no, sebbene io una virgola l’avrei messa] senza scorciatoie [virgola] se non quel contenitore [virgola] di finta terracotta [virgola] che si portava al collo legato con un laccio di cuoio.

Gilberto doveva solo ingerire i nanotech, stendersi sopra una roccia e i microscopici automi l’avrebbero ricoperto di un materiale resistentissimo [virgola] ricavato dalla roccia stessa.

[anche qui: più per riprendere fiato]
Gilberto si rimise in piedi e si guardò intorno [<- virgola] non trovando niente di attraente in quella pianura desertica [<- virgola] se non un agglomerato di squallide casupole e un boschetto di alberi bassi più vicino.

Quasi immediatamente [virgola] da quella direzione Gilberto vide sopraggiungere qualcuno di corsa.

Si fermò davanti a Gilberto ed iniziò a [e iniziò a]

Aveva uno sguardo intenso [virgola] però con una scintilla animalesca.

Pianse per la moglie [virgola?] che l’aveva abbandonato [virgola] portando via con sé l’unica porta del paradiso che avesse mai conosciuto.

Piangeva ancora a dirotto, squassato dai singhiozzi [virgola] quando si sentì sfiorare delicatamente una spalla.

Sembrò impietosita quando si rivolse a Gilberto in una lingua che [virgola] a primo acchito [virgola] gli sembrò sconosciuta

«Donna gentile, ho ricevuto un torto,[<- virgola da togliere] [sono stato/a derubato] da un uomo selvaggio [essere-animale]. Ho perduto un oggetto di molto importante»,

Chissà per quale portentosa alchimia temporale, in quel polveroso passato [virgola] Gilberto aveva ritrovato quello che [virgola] nel futuro [virgola] aveva ormai perso irreparabilmente.

Sono veramente tante virgole, non sono sicuro di potermele permettere, forse dovevo chiedere un preventivo :grinning:

Ad ogni modo, grazie. Un po’ mi dispiace che questo racconto non andrà mai altrove

non è detto: Anonimania ricorre ogni anno. Lo imboschi a febbraio 2023 e glielo rifili. MA solo dopo aver messo via i soldi per quelle virgole. Comunque devi correggere due refusi (avevamo, è) e - per quanto mi secchi doverlo evidenziare - togliere quella virgola extra che hai messo verso la fine.

Molto bello, molto ben scritto. Non capisco perché rifiutarlo .

Comunque, esistono un tot di posti dove proporlo. Silicio e Lumen, ad esempio, se no Robot, Dimensione Cosmica, Andromeda, e altri ancora, cartacei .

Per me merita di più ci altri letti sulle suddette

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In realtà l’amministratore è stato carinissimo e mi ha spiegato che, purtroppo, avevano deciso di fare marcia indietro sull’idea di riaprire la competizione oltre i termini già scaduti a causa della defezione di un partecipante. Immagino per questioni di coerenza o di regolamento. Ad ogni modo mi è sembrato una persona squisita. Mi ha invitato al prossimo concorso

Sono certo anch’io che non dipenda dal racconto, ma dalla loro ossessione per il rispetto delle regole, a prescindere dal fatto che le circostanze abbiano modificato il contesto.

In pratica, se davvero gli si votasse 10 un racconto fantasy in un concorso di fantascienza, quello vincerebbe. E Max, muto.