“Credi davvero di riuscire a rinchiudere il diavolo?
Di incatenarlo con delle manette al soffitto e con dei ceppi ai piedi?
Pensi che io non sia in grado di liberarmi e di divorare il tuo cuore?
Bendarmi non sarà sufficiente a nascondere la tua paura, io la percepisco, io sento il tuo odore, io sento il profumo della mia cena.
Liberami!
Parla!
Dimmi cosa vuoi?
Potere? Un mondo tutto tuo? Essere una Dea?
Liberami e sarai ciò che brami, liberami e avrai ciò che desideri.
Parla!
Parla!
Dì qualcosa!”
La grotta è piccola, buia e di roccia umida, bagnata dall’acqua scura che scorre dalle pareti. Solo una debolissima fiammella proveniente da una piccola candela di sego balla sul muro difronte al prigioniero. Il lume si trova sullo stesso tavolo dove la cacciatrice dagli occhi d’ambra sta mangiando una zuppa bollente al pomodoro; dà le spalle al mostro, non per sfida o perché si sente sicura, ma per il semplice fatto che ha trovato la sedia sotto il tavolo rivolta verso la parete.
Insulti, urla e minacce di morte infestano quel luogo lugubre, ma queste non bastano a spaventarla.
Lei usa le urla per sapere che il mostro è ancora appeso alla volta e soprattutto per ricordarsi perché lo ha intrappolato.
Seduta, assaporando la minestra, rimane affascinata dal gioco delle ombre che si formano con il danzare della fiamma mossa dalla leggera brezza proveniente da qualche fenditura.
Lo strepitare del mostro cresce di intensità e di aggressività.
Lei si sbuccia una mela in modo meticoloso. Crea una sottilissima scorza circolare, vuole vedere quanto lunga può essere la superficie del frutto. È un filo verde decisamente lungo. Taglia la mela a spicchi molto sottili e assaggia la prima fetta: aspra, croccante ma poi diventa piacevolmente zuccherina. Decide di mangiarne un’altra.
Il male si dimena, le catene sbattono da tutte le parti, il rumore del ferro e gli sbraiti sono spaventosi, l’ira cresce in lui e le minacce divengono oscene.
La carceriera si lava le mani e il viso prendendo l’acqua da un secchio. Si sente sporca. Decide di rovesciarsi in testa l’intero recipiente. Pessima decisione, si vede costretta a spogliarsi perché ha bagnato tutti i vestiti: il clima della grotta potrebbe causarle un noioso raffreddore.
Il malefico riesce a spostare la benda e a avere la visuale da un occhio: la vede mentre si spoglia nuda e accende un fuoco per riscaldarsi.
Il prigioniero trova un’opportunità, cerca di dimenarsi per staccare il gancio delle manette dal soffitto. Niente più urla, solo il flebile stridìo delle catene.
Lei si è accovacciata svestita davanti al fuoco: si sta scaldando. Estrae dalla sua sacca un unguento profumato e se lo cosparge su tutto il corpo. Il suo corpo sinuoso, perfetto ed eccitante si riflette sulla parete della grotta. Il maligno lotta per fuggire: guardare quella sensualità non gli interessa, deve uscire, deve scappare. È ancora infuriato per come si sia fatto ingannare da una stupida femmina. Lui è un Dio, com’è potuto accadere? Perché è cascato nella trappola? Perché non riesce a liberarsi?
Intanto lei comincia ad indossare un nuovo completo da contadina. Lunghi mutandoni pesanti e pungenti, calzettoni di lana neri lunghi fino al ginocchio. Si guarda e si sente ridicola. Pensa a quando indossava un leggero vestito rosso scollato e sotto era nuda. Era un altro tempo e un altro luogo.
Il demone non le presta attenzione. Sente che la vita lo sta lasciando. Si dimena molto lentamente per non farsi sentire mentre cerca di liberarsi. Sbatte le braccia prima a destra e poi a sinistra, movimenti forti e decisi.
La ragazza dagli occhi nocciola si passa le dita sotto il seno e con un sorriso malizioso fa passare una lunga fascia bianca sul petto e poi sulla schiena, più e più volte: è un arcaico reggiseno. Infine si mette una sottogonna, una maglia pesante e anche il vestito intero da contadina. Si stiracchia a destra e a sinistra per indossare quella tunica bianca e poi fa due saltelli per sistemare tutti vestiti.
Sua malvagità ha strappato il gancio, è libero anche se i catenacci gli intrappolano ancora i piedi. Fa i pochi passi possibili e si avvicina alla carnefice. Vuole strangolarla, vuole mangiarle il cuore, vuole rubarle l’anima.
Lei indossa una buffa cuffia nera, si gira e vede il viandante difronte a lei, fa due passi e lo affronta.
La luce e le ombre create dal minuto falò rendono il mostro ancora più spaventoso. Lui è pronto alla vendetta, ma vede un sorriso sul volto della donna, vede la sua pace, vede la sua gioia. Fantastico, godrà ancora di più nell’ucciderla.
Lei muove il corpo verso di lui e gli dona un bacio sulla guancia, poi si gira ed esce.
Il diabolico la rincorre, vuole strangolarla con le catene, vuole staccarle la testa, ma lei non c’è più, è scomparsa.
L’odio e il rancore del recluso crescono a dismisura. Urla impazzito.
Improvvisamente sente il profumo dell’essenza all’olio iperico.
Sente che sta per morire.
Per poter essere libero la sua parte peggiore deve morire. Per poter correre felice e leggero nel mondo, il suo lato oscuro deve scomparire.
Ha un’intuizione: anche in quella disperazione, in quella violenza, l’alchimista della piccola casetta ha voluto stargli vicino, non ha voluto lasciarlo solo.
Tutto è ormai chiaro, oggi morirà. La sua nuova esistenza ha bisogno di questo, è l’unico modo per rinascere.
La cacciatrice dagli occhi ambrati ha il dono della vita e lui le sarà sempre grato, la parte di lui che è sopravvissuta la amerà per sempre.
La parte di lui che morirà la amerà ancora di più.