“Forse un mattino andando in un’aria di vetro” di Eugenio Montale

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore da ubriaco.

Poi, come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi, case, colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

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Un vero racconto weird in poesia.

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Il poeta del “male di vivere” …

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Sembra una di quelle esperienze di tipo orientale da cui sono nati concetti come quello di Maya.

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Intanto, “compirsi”, anche se non è sbagliato, suona malissimo. “Compiersi” ci stava, non ha scuse.
Poi “ed io”: praticamente blasfemo.

Io lo rimando, a quello!

Rifacendomi a ricordi di studente, direi che il motivo sia questo:

arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:

Senza contare aria del verso precedente.
Si tratta comunque di virtuosismi per i quali non impazzisco.

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Lo boccio lo stesso, quel menestrello dalle rime bolse. Gli è andata bene che ha avuto prof morbidi, a quello.
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P7, non è che pensi davvero che io mi sogni di correggere Montale, vero?

Be’, io comunque preferivo Luzi, che ho anche avuto la fortuna di conoscere.

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