– Gracias Señor – mi dice questo nonnino con due cannette nel naso, mentre lascio due euro e spicci nel suo cappello.
Magro come un palo, minuto, è passato cantando vecchie canzoni spagnole per questa placa in fondo alla calle del cavaller, mentre noi e altri turisti ci ingozzavamo di Paella a la Valenciana cercando di ignorarlo. La sua voce tremula e la sua dignità mi hanno schiaffeggiato chino sul mio piatto; mi alzo e lo raggiungo.
– Gracias Abuelo – vorrei dirgli, ma la sua dolcezza mi ha strizzato il cuore e riesco solo a bonfonchiare un inchino.
Me ne torno al mio piatto, con la Spagna che mi ha già lasciato il segno.
In certe città italiane, anche grandi, puoi passare tutta la giornata senza mai sentire una parola che non sia dialetto stretto.
Sono seduto sul bus e una ragazza bellissima parla con un ragazzo in inglese. Lei è tedesca, di Frankfurt, lui di origini marocchine, lei ha studiato in Spagna, lui in Francia, parlano in inglese, di dove è più interessante vivere e lavorare in Europa.
Attorno sento parlare italiano, spagnolo, inglese, catalano.
La signora accanto a me messaggia con qualcuno in cirillico.
Non mi sono mai sentito così tanto un campagnolo in visita nella grande città.
Vuoi venire in metropolitana a Milano? C’è da divertirsi, a volte.
Sono un sasso.
Sono un sasso levigato dalla instancabile risacca sulla spiaggia di Almerìa.
Una volta ero un enorme macigno lanciato contro le mura della Cittadella, poi un masso a rinforzare le mura cristiane, poi un frammento staccato da una bombarda.
Ora sono un umile sassolino, rotolo avanti e indietro mosso dal costante andirivieni delle onde del mare.
Finalmente sono un ciottolo, durissimo ma inoffensivo. L’acqua e il tempo mi hanno rimosso ogni asperità, ogni angolo tagliente, ogni desiderio di ferire.
Guardo trascorrere gli anni mentre attendo di dissolvermi in questo grande mare.