La Giraffa Panata di Napoleone
– Che mortorio – mormorò Daneel Olivaw guardandosi intorno nel locale vuoto.
La “Giraffa Panata di Napoleone” a quell’ora era vuoto. Anzi, precisò Salvatore, – lo è probabilmente a tutte le ore –
– Che fregatura – ribatté il Jabba, – e quell’archibugio lì, sulla parete, è finto e non è neppure francese. Altro che Napoleone, l’imperatore si starà rivoltando nella tomba –
– Perché siamo venuti? – chiese Fedemone al Babbano.
– Colpa di AccaCì. Si annoiava e ha chiesto un’azione collettiva. E ci ha fregato cooptandoci tutti prima di dirci che voleva mangiare cinese in un locale diverso dal solito.
– Non vi lamentate – Ribatté AccaCì scorbutico. – Qui almeno il POS funziona --.
– Sì, però di là il coniglio non si muoveva – obiettò Daniel Olivaw infilzando un cosciotto che ancora grondava uno strano liquame.
– Sssssh – fece P7. – Il cuoco ci sta guardando malissimo. –
In effetti da dietro il bancone il grosso cuoco cinese, un corpulento omone che riempiva l’arco che separava lo spazio dedicato ai clienti dalla cucina, li stava osservando serio affilando un coltellaccio.
– Chissà perché è così crucciato – chiese Salvatore perplesso.
– Sempre colpa di Accacì – rispose Fedemone. – Ha prenotato per otto e siamo in sette, e si è scusato col proprietario dicendo che la sua personalità multipla non si è presentata all’appuntamento. –
Il Jabba iniziò a ridere e a tossire, versando il vino sulla tovaglia.
– Inutile che ridi – grugnì AccaCì. – Davvero non si è presentato –
– Vabbè, ma come è possibile che un locale del genere sia ancora aperto in un quartiere così carino della città? – Chiese Daneel mettendo di lato il coniglio e provando ad addentare un panino. – Il pane era già vecchio col cliente precedente, e sicuro, non era questa settimana.
– Ssssh – fece di nuovo P7. – Qui ci buttano fuori –
– Sicuramente – ipotizzò Fedemone ad alta voce – E’ una lavenderia della mafia cinese. C’era anche sul numero 58 del “Pugnale d’ebano”, e ogni tanto qualche cliente spariva –
– Ah si certo – ridacchiò il Babbano – sicuramente un fumetto è una fonte attendibile
– Manga – ribattè Fedemone. – Non confondiamo –
– Vabbè, mango, banana, che differenza fa? –
– Ragazzi? – disse il jabba sotto voce – Io inizio a preoccuparmi –
I commensali si voltarono a guardare un gruppo di cinesi in gessato che stavano parlando col cuoco. I quattro, nascosti da occhiali da sole nonostante l’ora tarda, sembravano usciti da un vecchio film noir con Charlie Chan.
– Io vado al bagno – P7 si alzò, seguito subito da Jabba, Salvatore e Daniel.
Un cameriere intanto aveva chiuso le porte di ingresso, sbarrando ogni possibilità di fuga del gruppetto.
Il Babbano, Accacì e Fedemone si alzarono a loro volta e si precipitarono nel retrobottega.
– E ora? – chiese il jabba infilandosi nella stanza da bagno. Non c’erano finestre e l’unica porta era in fondo al corridoio ma aveva uno strano cartello con una figura inquietante e una scritta in cinese.
– Entra, che hai paura, della multa? –
C’erano delle scale che scendevano nel sotterraneo, al termine del tunnel da una stanza filtrava una strana luce azzurra. I sette percorsero il tunnel in fretta e furia e si chiusero la porta alle loro spalle, spostando un armadio di ferro per bloccare l’accesso.
– Perfetto! – mormorò P7. – siamo fregati. Che facciamo? Qualcuno ha un telefono?–
– Non prende niente – Rispose Salvatore. – Non possiamo chiamare la polizia. –
– Cerchiamo una via di uscita! – propose AccaCì.
– Facile – rispose il Babbano – Ci serve solo una via d’uscita –
– Fai lo spiritoso? – chiese AccaCì di rimando.
– Eh, ma ci hai messo nei guai, ora ci tiri fuori. –
– Ma che ne so! – rispose AccaCì con rabbia. – Salvatore, che dici, quella porta d’acciaio dove porta? –
– Sembra lo sportello di una nave spaziale… – commentò il Jabba.
– Inifiliamoci lo stesso – Propose Salvatore – Ci faremo venire una qualche idea. –
L’interno della stanza sembrava davvero una cabina di comando di una nave spaziale. Una consolle piena di indici scritti in cinese, piena di leve e pulsanti, manopole e display. Il Babbano iniziò a premere e spostare leve.
– Non toccare! – raccomandò P7. – Facile che combini qualche casino! –
– E che mi fanno, mi picchiano? – rispose l’altro.
Fedemone era chino su un display. – Ragazzi, qui c’è un pulsante con scritto “avvio”. Che faccio?
– Premilo! – propose il Babbano – Così non potete dire che è colpa mia.
– E’ sempre colpa tua – rispose il Jabba.
Lì fuori si sentivano dei colpi sbattere, l’armadio stava cedendo e i 4 cinesi stavano per entrare nella stanza.
– Salvatore chiudi tutto. Gli altri, sedetevi e allacciate le cinture. Qui siamo nella cacca. – Gridò Fedemone.
– Ah, se ne usciamo vivi, io stavolta ti ammazzo, AccaCì. Tu e tutte le tue personalità alternative. – Minacciò P7 nel panico.
Il gruppo si sedette di getto. Salvatore chiuse il portello e diede due giri al voltantino di sicurezza, poi si precipitò al suo posto.
– Portata massima, 7 persone – lesse il Jabba dal pieghevole sulla sicurezza in volo. – Accacì, quanto cubano le tue personalità?
– Ci dovremmo stare – disse Fedemone. – Tenetevi, partiamo.
Fedemone premette con un pugno il pulsante di avvio. Il veicolo si illuminò di una inquietante luce rossa e tutto iniziò a ruotare, ruotare, ruotare…
Quattro virgola ventotto secondi dopo i sette ripresero conoscenza. Il veicolo era piantato in una folta e bassa boscaglia, in una pianura dai colori strani.