Alla ricerca di Artù #3 – di Angelo D’Ambra

Le leggende arturiane si sono costruite nei secoli ed oggi rappresentano un corpo letterario complesso e sfaccettato, figlio di un’evoluzione che ha profondamente mutato il contenuto primigenio. La cavalleria arturiana è essa stessa una costruzione protratta nel tempo.
Agli albori la figura di Artù non risulta essere connessa a particolari valori, men che meno cavallereschi, costruzione decisamente successiva. Datiamo, infatti, il codice cavalleresco tra il 1170 e il 1220, idealizzazione, spesso malinconica, del cavaliere carolingio nella società cortese che si riverberò sino al Rinascimento.
In quel contesto profondamente violento, la figura del cavaliere esce dall’ambito puramente militare e si appropria di valori quali il coraggio, l’umiltà, la lealtà, la disciplina, la generosità, la protezione dei deboli e il rispetto delle donne. Il principio fondamentale proposto dalla visione cavalleresca è che la vera nobiltà sia quella spirituale, intima, dell’animo, non quella esteriore data dal rango di nascita e del tenore di vita. L’affermazione di questa visione del mondo è probabilmente dovuta al fatto che i cavalieri erano spesso i figli cadetti dell’antica classe nobiliare, esclusi dalla successione ereditaria dei feudi, o membri della bassa nobiltà o ancora nobili decaduti, spesso addirittura ministeriales, ovvero persone in origine di condizione servile cui un nobile aveva affidato incarichi e proprietà e quindi venivano accettati alla stregua di nobili.


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