L'Angolo delle Chiacchiere Senza Contesto

Oddio, contate che il mio era solo un esempio tra i tanti possibili, e il mio discorso non si applica solo alla fantascienza.

Prendiamo le commedie romantiche, per dire, in modo da liberarci (almeno in parte) dalla questione del “moralismo” e delle dinamiche di ingiustizia sociale. Anche in quel genere tendenzialmente leggero, è abbastanza facile distinguere le opere scritte da qualcuno che ci mette dentro il suo vissuto e la sua visione di come si comportano le persone reali dalle opere scritte da qualcuno che ha visto 1000 altre commedie romantiche e le ha frullate insieme come un ChatGPT umano.

Nel primo caso ci sarà almeno un momento che ti farà sorridere e pensare: “Ah, è vero, la gente fa proprio così”; nel secondo caso penserai solo: “Ah, è vero, nelle commedie romantiche va sempre così”.

Stessa cosa, secondo me, per le AI che si ribellano agli umani. Ciò che distingue un’opera buona da una, diciamo, meno buona, non è cosa succede. E’ il fatto che l’autore abbia fatto succedere quella cosa perché è il risultato della sua personale visione del mondo, oppure che l’abbia fatta succedere perché “in quel genere si fa così”.

Se un autore scrivesse un libro in cui le AI non si ribellano, non perché ha qualcosa da dire, ma perché vuole fare il diverso e l’originale rispetto a tutti i libri in cui si ribellano, per me sarebbe esattamente tanto superficiale quanto tutti gli altri. (E io lo troverei pure un po’ più antipatico perché gli altri almeno sono ingenui, ma qui è questione di gusti)

La questione della speculazione poi arriva fino a un certo punto: se un techbro che idolizza Elon Musk scrivesse un libro di sci-fi il risultato sarebbe molto diverso rispetto a se lo scrivessi io, e questo anche se entrambi ci sforzassimo di tenere fuori qualsiasi morale e di metterci dentro solamente la nostra visione razionale e neutra di cosa potrebbe succedere in futuro. La nostra visione del mondo entra dentro le storie che scriviamo, e meno male perché è proprio questo il punto. Il “moralismo” in accezione negativa, secondo me, è quando ci sforziamo di buttarci i riflettori sopra invece di lasciare che emerga in maniera naturale dalla storia (e lì spesso è scarso rispetto per il lettore, oppure paura dei giudizi online se non metti nella storia abbastanza bandierine che facciano vedere anche agli analfabeti da che parte stai, entrambi sentimenti naturali ma che credo andrebbero superati).

Vabbè, dopo questo enorme pippone ci metto un grosso disclaimer IMHO. Non voglio dire a nessuno cosa dovrebbe pensare lui o lei delle storie e della letteratura, solo esprimere meglio la mia opinione che forse dal post precedente era arrivata un po’ distorta.

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Guarda, per fortuna qui siamo pochi e abbastanza adulti (non Jabba, in effetti) da non dover servire una sconfessione delle proprie dichiarazioni, alla fine leggo volentieri opinioni come la tua senza sentirmi minacciato tanto da doverle confinare nel recinto del “guarda che è solo una tua opinione”.
Per fortuna un discorso lungo ed articolato qui è più che apprezzato, e devo dire che è un’ottima prospettiva. Anzi probabilmente è anche più generale dell’ecologia dei social dove i giudizi trancianti e le invettive anche offensive sul lavoro altrui tendono ad essere deformate più dal peso dell’attività dei singoli utenti che dal reale valore del giudizio in sé. Immagina che già i fumetti Bonelli negli anni '90 trasudavano si spiegoni e di cliché, rendendo la narrazione del tutto macchinosa.
Poi, non so perché, ma ultimamente sembrano che il voler dare un messaggio, voler dire qualcosa di profondo, sta spingendo le persone a usare narrative zoppe si cui sopra su un substrato di idee che profondo non è, anzi. La retorica si spreca per appoggiare (anziché coprire) una superficialità che mi dà sempre più fastidio.
Capisco che non tutti possono essere Charles Stross, ma la qualità dei racconti che sto leggendo è proprio bassa bassa bassa, e parlo dal punto delle idee, delle prospettive, delle possibilità, di un futuro che non ci aspettavamo. Sono futuri piatti che si poggiano su gradini spessi come fogli di carta del luogo comune, se non proprio l’ignoranza, di cosa sono le IA - in questo caso specifico.

Eh sì che Shirow ha scritto cose che avrebbero dovuto essere un trampolino di lancio 30 anni fa. E invece no, siamo ancora agli '70 e reinventare la ruota, partendo da concetti vecchi, sorpassati e rileggendolo oggi, decisamente fuori luogo, proprio come le frasi riportate.

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Dal mio punto di vista non trovo contrastanti le rispettive opinioni di @Fedemone e @Cozzer. Trovo sensate le osservazioni del primo e e verosimili quelle del secondo. Per quanto mi riguarda non credo che la fantascienza debba prevedere il futuro, in quel senso le quartine di Nostradamus funzionano meglio: basta trovarne una e interpretarla e adattarla al presente che stiamo vivendo o ai fatti storici che si sono svolti. E’ stata scritta tanta fantascienza che c’è senz’altro qualcosa che si adatti ai nostri tempi come le quartine di Nostradamus, creando una lunga di profeti a posteriori.
Quello che non mi piace di molta fantascienza recente, non è tanto la sua ambizione moralistica o profetica, ma il suo recente adattarsi a canoni e canovacci ormai dati per scontati poché si considerano inevitabili.
Ad esempio uno è questo: Distopia con IA cattive > protagonisti umani che si ribellano > rivoluzione, morale = l’umanità grazie alla sua creatività e ai suoi sentimenti vince sempre contro le macchine cattive. Intorno a questo l’autore/autrice sviluppa la sua trama più o meno originale, anima i suoi personaggi più o meno abilmente tratteggiati, ne descrive le azioni più o meno plausibili in quel contesto con il suo stile più o meno raffinato.
Il risultato sarà più o meno gradevole, non ha importanza, quello che conta è che ha smesso di possedere quella caratteristica che io considero fondamentale nella fantascienza degna di questo nome: la capacità mettere in discussione i luoghi comuni e far riflettere. Al momento attuale il luogo comune è la distopia con le macchine che vogliono dominare il mondo.
Diffido sempre quando tutti si ritrovano d’accordo su quello che potrebbe succedere
(anche perché certe unanimità portano spesso alle profezie autoavveranti).
La fantascienza, per quanto mi riguarda, non sarà mai solo uno scenario fantastico dove ambientare una storia più o meno verosimile con personaggi più o meno realistici, ma l’idea originale nella creazione dello scenario con il suo world-building e le conseguenze delle azioni dei personaggi, spesso imprevedibili anche per chi narra la storia a sè stesso prima di scriverne la storia. Il risultato di questo modo di affrontare la scrittura, quand’è genuino e sincero, non contiene morali o risultati scontati ed è la cosa che, nella mia testa, assomiglia di più alla fantascienza.

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@Fedemone , riguardo la prima parte del tuo post: ci sta, essendo qui da relativamente poco e non conoscendo nessuno di persona preferisco sempre mettere qualche mano avanti. Poi c’è da dire che io preferisco da sempre la fantascienza soft, quindi secondo me cerchiamo almeno in parte cose diverse dal genere.

Domanda a latere: è davvero così comune la distopia con le IA cattive? Io è dai tempi di Terminator e Matrix che praticamente non ne vedo, ma forse sono io che sono molto fuori da questa bolla (e in quel caso non indicatemi la strada, sto bene qui, soprattutto dopo aver letto i vostri commenti :grinning_face_with_smiling_eyes: ).

Non ricordo dove, ma in un libro sulla scrittura avevo letto: chi crea opere bellissime ci mette dentro la realtà, chi crea opere belle ha guardato le opere bellissime, chi crea opere mediocri ha guardato le opere belle, e così via. Oppure, un’altra simile: se vuoi creare il nuovo Star Wars non devi guardare Star Wars, devi guardare quello che ha guardato Lucas prima di creare Star Wars.

Forse all’interno dei generi più “di nicchia” come possono essere il fantasy o la fantascienza, ci sono molti scrittori che hanno una “dieta” sbilanciata, composta solamente o quasi da opere di quel genere. Se l’ingrediente è uno solo, per quanto lo rielabori il risultato non potrà essere troppo diverso dal punto di partenza. Non ho dati su questo fenomeno, ma avevo visto un po’ di video di esperti del settore in cui se ne parlava (anche se lì era più relativo al fantasy).

Perdonami - non è mia intenzione fare polemica - ma trovo queste definizioni di una banalità disarmante.

Sì, ci sta, era una cosa molto semplificata per farne uscire fuori la frasetta quotabile, però il principio alla base personalmente lo condivido.

Forse l’esempio dopo con Star Wars rende meglio l’idea di quello che intendo: mi sembra che nella narrativa mainstream ci sia molta roba che a guardarla si vede che le influenze del creatore erano solo altra narrativa mainstream. In questo modo credo sia inevitabile un ciclo di minestra riscaldata che sa un po’ più di vecchio a ogni riscaldamento (e qua mi ricollegavo alla storia con le AI che si ribellano solo perché lo facevano in tutte le storie precedenti).

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Coincidenza vuole che in questi giorni abbia tra le mani “L’eroe dai mille volti” di Joseph Campbell. Testo di settant’anni fa che George Lucas considera una delle sue principali fonti di ispirazione:

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In effetti il mio discorso non è contrario a quello di Cozzer, è un mio pallino personale, trovo molta narrativa retorica e per quanto sia uno strumento legittimo, quando va a supporto di una visione superficiale, mi irrita due volte.
Poi che ci siano scrittori mediocri purtroppo ci sta, ma lo vedo anche con scrittori affermati in Italia, e questo è meno tollerabile.
Per quanto riduttivo, è vero che scrivere secondo un modello preciso ti limita, vista la volontà di aderire a certi canoni. Puoi scrivere bene ma non esci dal recinto di quanto pensato da altri. Non è tutto così, non è sempre così, ma tra ispirarsi e seguire pedissequamente un solco ce ne corre (tra l’altro, lessi l’eroe dai mille volti una ventina di anni fa, ma rimane un pilastro dell’analisi strutturalista, di cui sono fan).

Purtroppo nei racconti che sto leggendo, manco quello c’è. È una scrittura sciolta, anche accattivante, ma del tutto priva o di idee o di senno. Non sembra che gli autori si siano legati ad una certa idea di fantascienza, anzi, sembra che non ne leggano da 49 anni. Non è tanto questione di cliché (sì, le IA cattive ci sono ma non è tanto quello, ma è che lo sono senza motivo) ma proprio di prospettiva.
Ok, la fantascienza non è futurologia, va bene, lo ammetto e alzò le mani; ma almeno aderire un minimo alla realtà? Almeno avete idea di che diavolo sia un programma, come funziona, quali sono i limiti? Sembrano scritti da ragazzi delle superiori, anche dotati, ma che devono mangiare pane e volpe per almeno altri 10 anni.

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49? Non 50? :grin:

Li ho contati! :winking_face_with_tongue:

Nella mia ingenua gioventù pensavo che gli scrittori scrivessero quando avevano qualcosa da dire. Hai un’idea, una genialata, uno spunto….scrivi. Non hai niente da dire, non scrivi. Ovviamente mi risero in faccia, perchè non è così, beata gioventù.

Lo scrittore scrive. Punto. Non ha nulla da dire? Scrive lo stesso, si arrabatta, un po’ rubicchia, usa idee che andavano scartate perchè no, non funzionano, tappa, mette toppe, corregge, si dispera, infine pubbilca e amen. Perchè? Beh, perchè ha il mutuo le bollette….oppure, non vuole scomparire….oppure il suo editore non vuole che scompaia….o vuole che cavalchi l’onda, finchè è famoso, o finchè è in un momento creativo, seppure a precipizio…sai tu, le motivazioni.

Però se fa lo scrittore di mestiere, scrive. Se fai l’architetto, architetti, se fai l’ingegnere, ti ingegni, se fai il macellaio, macelli, etc….Lo scrittore che scrive solo perchè ha avuto la Santa Ispirazione (e solo quando) è un’immagine molto bella e molto falsa.

L’idea che uno scrittore debba scrivere per qualcosa, o in generale, che un artista debba fare un’opera per comunicare qualcosa, la trovo abbastanza limitata.
O meglio: l’arte in generale è sempre stata un’attività un po’ ambigua. Nel passato remoto, ci insegnano, i preistorici usavano l’arte per fini esoterici, poi si è passati all’arte utilitaristica, quella usata per “abbellire” i luoghi di culto e quelli civili, con piccole invasioni nei campi della provocazione e dell’intrattenimento, proprio e altrui. Piccoli, si fa per dire. In realtà, volutamente ignorati da una critica e storiografia dell’arte piuttosto indottrinata, che vede l’arte solo come qualcosa di nobile, e non come qualcosa di prettamente umano, e come tale, spesso grossolano, volgare, istintivo.
Pensiamo alle accademie e scuole dei secoli passati, e a quanto hanno fatto fatica a capire l’arte nuova, quella introdotta dagli impressionisti, ma più in generale, sospetto, che strisciava silenziosa ma che si preparava ad esplodere. Penso a L’origine du monde di Courbet, provocatoria all’ennesima potenza, sintomo di qualcosa che voleva, e si preparava, a uscire fuori.

Ora, in questo contesto, per me è un po’ limitativo pensare che qualcuno dovrebbe scrivere per aver qualcosa da dire. O meglio, che sia qualcosa di importante. A volte si scrive anche solo per piacere proprio, ovvero per raccontare una storia senza tante pippe. Oppure, per raccontare un punto di vista, se pur limitato e ignorante. Non vedo perché uno si debba trattenere.

C’è, che esistono ovviamente opere belle e opere brutte, banali, insulse. Botero, se pur celebrato, è abbastanza insulso. Si, ok, le prime opere forse ci stavan anche, ma anche basta. Le ultime canzoni dei Pink Floyd, questi rigurgiti di atmosfere che servono solo a titillare i fan, quelli più sfegatati che fanno collezione dei bootleg più inascoltabili, va bene, ma anche stop.

E infine ci sono quelli che proprio, dio liberi. E sono la maggior parte, perché diciamocelo, scrivere bene qualcosa di interessante è tremendamente difficile. C’è però che l’industria dell’arte (includendo qui la narrativa, la musica e anche le arti decorative) è abbastanza marcia, è alla disperata ricerca di qualche nuovo genio (e son pochi), è disposta a pagare nulla a fronte di una offerta enorme – sono tutti scrittori, tutti musicisti, tutti pittori appena sanno tenere in mano un pennello – e per questo il pubblico mangia qualunque cosa. Guardiamo al cinema, o, peggio, alle serie TV. Non so voi ma spesso mi chiedo a che pro pago 4 servizi di streaming: le cose davvero belle sono pochissime, e la maggior parte delle opere è un rigurgito di qualcosa già rigurgitato prima. I primi anni di netflix hanno bruciato capolavori senza un domani, e ormai da qualche anno, sono solo riedizioni di quelle serie più fortunate, ma senza la notivà, la verve, dell’originale.

Tutto questo pippone per dire cosa? che l’arte è in crisi profonda, la narrativa è per lo più roba da intrattenimento e siccome abbiamo inflazione di prodotti, è un gioco al ribasso.

A proposito di cliché. Perché tutti gli psicopatici dei film ascoltano opera a volumi da stadio?

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Utopia esiste ed è possibile averlo sul passaporto.

Io ero rimasto al caffè con utopia:

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Ho creato per Voi Pelandroni un tool per aiutarvi nel fare il vostro dovere.
Ora non avete più scuse.

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L’altro gg mi pare fu FB girava sta storia della nascita della parola idiota, mi ha incuriosito.

Pare sia tutto vero, la parola ha origine greca e voleva dire colui che non solo non ha cariche pubbliche, ma che pure è completamente disinteressato della comunità, è un privato cittadino che si occupa solo dei suoi affari. Per i Greci, idiota.

Aveva già un valore dispregiativo? Eh un po’ sì, perchè chi si comportava così alla lunga era fuori dal mondo, era isolato, non era al corrente e dunque era ritenuto ignorante, grezzo, bifolco, incompetente, inesperto, addirittura inutile, dato che per i Greci la massima virtù era la partecipazione alla vita della comunità: in contrapposizione c’era il polites (contrapposto all’idiotes); polites, anche per me che non so un ACCA di Greco (o un’alfa, o altre lettere), deriva da città, e fa derivare politica.

Leggo che il termine idiota fu poi importato dai Romani, sempre come sinonimo di inesperto o ignorante, mentre successivamente è andato a significare uno stupido, un imbecille.

I Greci, per dire, avrebbero considerato chi si astiene e non va a votare come degli idioti. Senza offesa, parliamo dell’accezione greca.

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Mi chiedo cosa avrebbero pensato dei candidati.

Nel manuale di Microeconomia che sto leggendo (ma sto già rileggendo, mi ha appassionato, dopo 30 anni buoni….ho addirittura arruolato ChatGPT per ripassare con me, dunque se a voi va lenta, amen, è impegnata al 99% con me, e i suoi consumi sono alle stelle, per i suoi server, ma che dire, Ubi maior, etc etc…).

Dicevo, perchè sono vecchio e lascio le frasi in sospeso, che in Microeconomia si può porre la domanda: Ma conviene votare?

Razionalmente, la risposta è no.

Primo, il tuo voto non sarà determinante. A meno che non sia una riunione di condominio (e anche là…) ben difficilmente la votazione regionale, o comunale, o nazionale, vedrà prevalere uno o l’altro per UN voto.

Secondo, votando rinuncerai a fare altro. C’è il cosidetto costo opportunità: il valore, in euro, di ciò che non hai fatto perchè invece sei andato a votare (pochi euro, magari, forse zero).

Terzo, votare ha un costo: l’auto, se vai in auto, le scarpe, se vai a piedi, il tempo che ci metti, magari anche se c’è la fila, e se tu valuti che il tuo tempo valga qualcosa. Ma qua, vedendo la quantità di persone IMPRESSIONANTE che perde tempo sul cellulare, forse è giusto pensare che la gente valuti il proprio tempo con valore nullo.

“EH ma se tutti fanno così nessuno va a votare!”, direbbe il genio del bar, cioè quello scemo.

FALSO, ovviamente, il comportamento degli altri in questo caso non influenza MINIMAMENTE il tuo, tu voti indipendentemente da quello che fanno gli altri (o non voti), anche perchè di quello che faranno gli altri non sai un bel c****o di nulla.

Ovviamente, se veramente tutti NON andassero a votare, TU dovresti proprio farlo, perchè in quel caso sì il tuo voto sarebbe DETERMINANTE (ragionando per eccessi)

La MIcroeconomia deve dunque spiegare perchè milioni di persone vanno a votare, se razionalmente non ha senso. Il Microeconomista furbo se la cava facile (e non vale): eh no! infatti in tutto il mondo (ormai) MILIONI di persone NON vanno a votare, visto?

La risposta è invece implicita nella domanda…quel CONVIENE.

Non sempre, per fortuna, l’uomo fa ciò che conviene. Spesso fa ciò che è giusto fare, o ciò che lui considera giusto fare. E meno male, aggiungo, perchè conviene a un vigile del fuoco rischiare la vita per salvare delle persone? Ma lui e i colleghi si buttano nel pericolo, più o meno imminente, più o meno grave, per farlo. Lo so che in economia ciò può sconcertare, tipo sapere che l’uomo, a differenza di altri animali, salva i vecchi e i malati e si prende cura degli altri, ma è proprio compito anche dell’economia (e non solo, chiaro) spiegare le motivazioni dei comportamenti.

Razionalmente, potrei dire che il mio disagio nel non votare supera di molto la fatica di vestirmi e fare la fila per farlo. Dunque, volendo, possiamo mettere le due cose sul piatto della bilancia e dire che me il beneficio di votare supera i costi per farlo, e dunque voto, e dunque, che c****o.

Un po’ come tornare al proprietario un portafoglio perso da altri: dal punto di vista razionale, economico non ha senso, ti tieni i soldi, cavoli loro, e eviti lo sbattimento nel cercare il distrattone…ma non lo fai. La grande parte delle persone torna il portafoglio. Magari si aspetta un premio, magari non lo riceve e dice la prossima volta col cavolo, e invece, se ricapita, io lo torno di nuovo. Lo so che magari mando in bestia l’economista e l’Homo Oeconomicus, così lo faccio anche per quello, tiè.

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Ma tu hai visto la farsa della mia regione? C’è tutta una serie di politici indagati, e quindi in teoria incandidabili col proprio partito, che non si fanno problemi a cambiare schieramento pur di poter ancora essere candidati e aspirare a una poltrona. Ed è solo la punta dell’iceberg. Secondo te cosa devono pensare della classe politica gli elettori?

Ora ti manca solo di leggere The Public Choice e sei a posto.